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MERCATI INTERNAZIONALI. LE MOLTEPLICI CAUSE DI UNA CRISI ANNUNCIATA

A dispetto dell’attenzione prestata alla crisi finanziaria vi è ancora un po’ di confusione su alcuni aspetti importanti che la riguardano, e in modo particolare le sue origini. A differenza delle crisi degli anni ’90, questa nasce nel centro del sistema finanziario internazionale (gli USA) ed è in primis una crisi di liquidità, non di insolvenza.

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Andrea Fracasso e Stefano Schiavo
nelMerito.com

A dispetto dell'attenzione prestata alla crisi finanziaria vi è ancora un po' di confusione su alcuni aspetti importanti che la riguardano, e in modo particolare le sue origini. A differenza delle crisi degli anni '90, questa nasce nel centro del sistema finanziario internazionale (gli USA) ed è in primis una crisi di liquidità, non di insolvenza.

Ma la specificità più importante, e anche ciò che la rende così complessa, risiede nella sua triplice natura: macroeconomica, finanziaria e istituzionale. Questa molteplicità di cause sta favorendo un palleggio di responsabilità tra i vari attori coinvolti nella sua gestione ed anche per questo è importante fare un po' di chiarezza.

La specificità più importante della crisi finanziaria in atto, e anche ciò che la rende così complessa, risiede nella sua triplice natura: macroeconomica, finanziaria e istituzionale. Questa molteplicità di cause sta favorendo un palleggio di responsabilità tra i vari attori coinvolti nella sua gestione, ed anche per questo è importante fare un po' di chiarezza.

Aspetti Macroeconomici

Un primo canale macroeconomico di incubazione va individuato nella politica monetaria seguita dagli Stati Uniti alla fine degli anni '90. Per scongiurare una recessione (ed il rischio di deflazione evocato da Greenspan), la Fed ha sostenuto la crescita del valore delle abitazioni e i consumi americani attraverso tassi di interesse particolarmente contenuti. Se da un lato questo ha limitato gli effetti reali della crisi delle Borse legata allo scoppio della bolla della New Economy, iniettando liquidità nel sistema economico la politica monetaria ha contribuito a gonfiare i prezzi immobiliari e ad abbassare il prezzo dei titoli rischiosi.

Un secondo aspetto rilevante è costituito dal ruolo avuto dagli squilibri commerciali e finanziari globali nella crescita della bolla immobiliare e nell'instaurarsi di una eccessiva liquidità sui mercati. Il deficit commerciale statunitense, il forte avanzo registrato da Cina e paesi esportatori di petrolio, e la volontà di numerosi governi di questi paesi di stabilizzare il cambio nei confronti del dollaro – anche attraverso l'accumulazione di ingenti riserve valutarie – hanno contribuito a far sì che i capitali continuassero a fluire copiosamente verso gli USA e quindi al mantenimento di tassi a lungo termine molto bassi.

A dispetto di ciò che spesso si legge sui media, la perdita di valore del dollaro non è una conseguenza della crisi finanziaria (almeno non in primis) e quindi sostenere il dollaro non serve a fermarla. Il deprezzamento del biglietto verde continuerà per aiutare l'assorbimento del deficit americano. Il fatto che gli investitori si aspettino un andamento di questo tipo non fa che abbassare ulteriormente il rendimento atteso dei titoli americani e quindi stimolare un riaggiustamento dei portafogli verso le altre valute. Uno dei modi per accelerare questo aggiustamento è stimolare la domanda interna sia in Europa sia nei paesi in surplus commerciale come Cina e paesi del Golfo.

Aspetti Finanziari

Dal lato finanziario, la persistenza degli squilibri e la grande liquidità nel mercato globale nel periodo successivo al 2002 hanno contribuito a ridurre gli spread di tutti i titoli più rischiosi emessi nei paesi avanzati e in quelli in via di sviluppo. Valori mobiliari e immobiliari crescenti, inoltre, hanno determinato un processo di aspettative auto-realizzantesi che è spesso alla base della formazione di bolle speculative.

La propensione al rischio è aumentata anche in conseguenza di un andamento senza precedenti delle Borse negli ultimi 20 anni dello scorso secolo. Una ricerca riportata da The Economist (link) mostra come nei 18 anni prima del 2000 un tipico portafoglio composto da azioni, titoli, e liquidità abbia garantito un ritorno reale annuo del 14%, circa 4 volte il ritorno medio registrato nelle decadi precedenti.

Questo fenomeno, associato ad una abbondante liquidità monetaria, oltre a spingere il credito al consumo ha incentivato la concessione di mutui per l'acquisto di case. Un mercato immobiliare in crescita ha generato un forte effetto moltiplicativo sul credito: prezzi crescenti delle case aumentano il valore delle garanzie e quindi permettono di ottenere linee di credito più ampie. Questa accresciuta disponibilità finisce poi per alimentare ancor più la bolla immobiliare. Un andamento pro-ciclico di tal genere si osserva anche per il debito contratto degli intermediari finanziari. Nel 1980 il debito del settore finanziario statunitense era un decimo di quello del settore industriale, mentre oggi è la metà. Questo implica che gli stessi intermediari hanno costruito i loro profitti e le loro operazioni su una rete sempre più complessa di debiti e di legami intrecciati tra loro.

Ecco quindi che gli scricchiolii di Bear Stearns generano una potenziale crisi sistemica non perché la banca sia grossa in sé, ma perché è al centro di una rete molto complessa di posizioni che attraversa l'intero mercato dei titoli strutturati e derivati; titoli il cui effettivo valore sta diventando sempre più difficile da determinare. L'incertezza complessiva ha fatto sì che il mercato secondario dei titoli, e in particolare il mercato del credito interbancario, sia divenuto illiquido in un contesto di ancor buona liquidità monetaria: in altre parole, i valori dei titoli sono divenuti estremamente volatili e molti soggetti coinvolti (società veicolo, hedge funds, e anche banche commerciali e di investimento) hanno incontrato difficoltà sia a raccogliere nuovi finanziamenti, sia a liquidare una parte dei titoli in portafoglio.

Aspetti Istituzionali

Sul piano istituzionale molto si è detto e scritto sulle colpe dell'eccessiva deregulation finanziaria, sul ruolo delle agenzie di rating, sulla remunerazione dei manager degli istituti finanziari.

È senz'altro vero che la ricerca di profitti a breve termine, ha di fatto aumentato il grado di rischio degli investimenti. Va però ricordato come, nella misura in cui numerosi manager sono pagati in azioni che non possono vendere immediatamente, la loro remunerazione è già parzialmente legata alle performance a medio termine. Inoltre, i dipendenti di Bear Stearns detenevano circa un terzo del capitale dell'azienda, ma questo non ha impedito alla stessa di fallire. Pare più condivisibile l'osservazione che negli anni passati i manager non abbiano tenuto in debito conto le osservazioni dei colleghi del risk management. Ciò è spiegabile col fatto che, in questo periodo, le singole imprese e i singoli investimenti erano poco rischiosi mentre aumentava il rischio di un crack a livello di sistema.

Per quanto riguarda invece la deregulation del settore finanziario e lo scarso coordinamento tra autorità di controllo nazionali, è bene fare una distinzione. Il fatto che non tutti i soggetti coinvolti siano sottoposti alla supervisione delle banche centrali e delle troppo numerose autorità di sorveglianza dei vari paesi, ha reso la quantificazione del rischio globale nell'economia e la comprensione della sua distribuzione in capo a diversi soggetti molto complessa. In particolare negli USA è stata rimossa a partire dal 1999 la netta separazione tra operatori assicurativi, bancari e finanziari in vigore dal 1933: ciò ha aumentato l'interdipendenza dei vari attori, senza che questo fosse accompagnato da un'adeguata ristrutturazione dei meccanismi di regolamentazione e vigilanza. Analogamente, la nascita e lo sviluppo delle società veicolo sono stati regolati in modo diverso anche all'interno della stessa UE, con le autorità spagnole che ne hanno permesso l'istituzione solo a fronte di accantonamenti prudenziali in bilancio da parte delle banche di riferimento (e finora la Spagna sembra essere immune alla crisi anche a fronte di grosse tensioni nel settore immobiliare).

Allo stesso tempo però, un forte impulso all'attività di cartolarizzazione è venuto proprio dalle limitazioni imposte dagli accordi di Basilea I e II che si focalizzano sul rapporto tra il capitale delle banche e le loro attività, ma non regolamentano le questioni riguardanti la liquidità degli investimenti, né l'esposizione relativa ad attività fuori bilancio. In pratica, le stesse regole studiate per proteggere gli investitori hanno generato un incentivo perverso a creare strutture (le società veicolo) non sottoposte a tali vincoli. Proprio l'opacità di questa struttura parallela ha dato il la alla crisi. Inoltre gli accordi di Basilea attribuiscono un ruolo importante alle agenzie di rating nella valutazione del rischio dei titoli e dei loro emittenti, senza tuttavia fare in modo che le loro valutazioni prendano in considerazione i rischi relativi alla stabilità del sistema. Il fatto poi che siano gli emittenti dei titoli e non i compratori a pagare il servizio di rating ha finito per generare un pericoloso conflitto di interessi.

 

La difficoltà del coordinamento istituzionale è accentuata dal fatto che nei diversi paesi esistono strutture e concezioni differenti della relazione tra mercati e operatori finanziari. Quello che fino a poco tempo fa veniva visto come un eccesso di regolamentazione, oggi è salutato come indice di buono e lungimirante governo dell'economia. La pressione sui legislatori motivata dalla ricerca di maggiori profitti ha portato ad un progressivo allinearsi delle norme sulle posizioni più liberiste. Le difficoltà di questi mesi hanno reso evidente il problema del coordinamento ed è quindi auspicabile che sulle macerie della crisi si possa stabilire una maggiore e più efficace cooperazione economica internazionale.







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