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Amartya Sen, New York Review of Books, 26 marzo 2009,

Amartya Sen, Nobel per l'economia nel 1998, è una delle voci più ascoltate nel panorama internazionale per la sua capacità di affrontare con un approccio multidisciplinare ed approfondito le questioni della grande finanza globale. Nel suo recente contributo per la rivista statunitense, New York Review of Books, Sen propone un discorso ad ampio raggio per comprendere a pieno il significato epocale degli avvenimenti degli ultimi mesi. Il 2008 è stato un anno caratterizzato dalle crisi. In primo luogo, abbiamo dovuto affrontare la crisi alimentare, che ha colpito duramente i consumatori più poveri, in particolare in Africa. Nel frattempo, abbiamo assistito ad una crescita record dei prezzi del petrolio, che ha minacciato il livelli di vita di tutti i Paesi importatori di greggio. Infine, quasi all'improvviso, durante l'autunno è esplosa la recessione globale e subito molti economisti hanno preconizzato l'insorgere di una disastrosa depressione economica, paragonabile a quanto era accaduto negli anni trenta del secolo scorso. Una conclusione già la possiamo trarre: benché molte fortune siano state dilapidate, i danni maggiori sono stati patiti da chi era povero già prima del tracollo finanziario.

Proprio i concetti di nuovo e vecchi o capitalismo hanno avuto notevole seguito nella pubblicistica internazionale e negli ambienti diplomatici, al punto da indurre la presidenza della Repubblica francese ad organizzare la conferenza “New World, New Capitalism”, che si è tenuta a Parigi lo scorso mese di gennaio. Padrini dell'iniziativa Nicolas Sarkozy e Tony Blair, che nei loro interventi si sono dichiarati convinti che la necessità di cambiamento fosse desiderabile e urgente. Su una lunghezza d'onda non dissimile la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha rispolverato per l'occasione la proposta di instaurare un'economia sociale di mercato in grado di correggere gli eccessi individualistici, egoistici ed irresponsabili del vecchio capitalismo. Un modello di riferimento, ha suggerito Merkel, che già orienta l'azione del governo tedesco. Tuttavia, Sen nota come il sistema Germania non si sia affatto sottratto alla spirale recessiva.

Smith, nel suo lavoro pionieristico nel XVIII secolo, dimostrò come la liberalizzazione dei commerci potesse essere estremamente efficace nel generare prosperità economica mediante la specializzazione nella produzione, la divisione del lavoro e l'utilizzo ottimale delle economie di scala. Intuizioni che rimangono valide ancora oggi, come dimostra il successo riscosso da un grande economista come Paul Krugman, che ha ampiamente ripreso le idee di Smith. Se gli analisti e i politici che si riempiono la bocca citando il nome di Smith avessero realmente letto e compreso gli scritti del grande pensatore scozzese, forse oggi non saremmo nella precaria situazione in cui ci troviamo, puntualizza Sen.

A questo proposito, conclude Sen, sarebbe desiderabile riscoprire non solo la diagnosi di Pigou ma anche la sua ricetta per sciogliere la coltre pessimistica che soffoca l'economia mondiale. Una ricetta apparentemente semplice: “scongelare il credito”. Infatti, a fronte delle abbondanti iniezioni di liquidità disposte dai governi occidentali nei mesi passati, le banche e le istituzioni finanziarie si sono sinora dimostrate piuttosto recalcitranti nel concedere crediti alle imprese in difficoltà. Senza uno sforzo in tal senso, il sistema rimarrà bloccato dal pessimismo e non potrà rilanciarsi. Forse non serve un ripensamento globale del capitalismo, come molte Cassandre lasciano presagire, ma una saggia applicazione delle regole e dei principi che hanno permesso al sistema di funzionare e progredire nel corso dei secoli.

 

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