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di Stefano Carluccio, Critica Sociale, n.9/2009,

Prima ancora di pensare all'unità del proprio partito, Togliatti ed il gruppo dirigente del Pci avrebbero dovuto pensare di salvare chi era stato condannato ingiustamente per delitti commessi da altri.
Il sen. Leo Valiani ritiene che qualsiasi vecchio anarchico, di fronte al fatto che qualche proprio compagno fosse finito in prigione ingiustamente, si sarebbe costituito.
La polemica sul «triangolo della morte» e sulle coincidenze tra settori della vecchia guardia partigiana e ripresa del terrorismo negli anni '70 è alimentata da una serie di coincidenze. Togliatti e il Pci, secondo Valiani, si sono sempre opposti al terrorismo e alla linea insurrezionale leninista nel dopoguerra. Ma l'eredità dello stalinismo e della lotta armata per la presa leninista del potere è sempre rimasta nelle file comuniste ed ancor oggi costituisce una contraddizione con cui Occhetto deve fare i conti per superare, come dice di volere, la «doppiezza» togliattiana.
«È forse casuale la coincidenza che le Brigate Rosse siano nate a Reggio Emilia, città al centro del “triangolo della morte” – dice il senatore Valiani – Il brigatista Franceschini, nel suo libro sugli anni di piombo ha dichiarato che le sue prime armi gli furono date da vecchi partigiani comunisti. È una mera coincidenza che sia gli uni che gli altri abbiano trovato rifugio a Praga». Forse sì, ma non lo sappiamo. A mio giudizio sarebbe il caso non già di aprire una indagine giudiziaria sugli episodi che insanguinarono l'Emilia nei primi anni del dopoguerra, poiché si tratta di reati caduti ormai e giustamente, in prescrizione, ma di avviare un'inchiesta conoscitiva, da parte della Regione Emilia-Romagna su alcuni episodi di cui si hanno recenti notizie.

Togliatti sapeva e coprì la verità per non dividere il partito?
«Togliatti è criticabile per il fatto di aver fatto fuggire i veri responsabili degli assasinii in Cecoslovacchia anziché costringerli a costituirsi alla giustizia. Questo sarebbe stato tanto più necessario perché al loro posto erano stati condannati degli innocenti. È evidente che nel comunismo, ma anche nel socialismo marxista e tra gli anarchici prevaleva l'idea di non fidarsi mai della “giustizia borghese”. Però qui si trattava d'altro, cioè di salvare degli innocenti da cinque e dieci anni di carcere, anche se questo avrebbe potuto mettere a dura prova l'unità del partito. Il primo pensiero di Togliatti e del gruppo dirigente avrebbe dovuto essere questo: qualsiasi vecchio anarchico si sarebbe costituito in casi analoghi, così come fecero solo due comunisti emiliani. Oppure i latitanti, avrebbero dovuto testimoniare dall'esilio sulle proprie responsabilità e scagionare così i loro compagni».

Un filo rosso ha percorso la storia comunista dal '46 al terrorismo degli anni di piombo?
«Il presidente Sandro Pertini più volte mi disse di essere convinto delle protezioni estere del terrorismo italiano. Durante una sua visita in Algeria, il presidente dello Stato africano mostrò a Pertini le fotografie scattate dai propri servizi segreti di campi di addestramento per i terroristi in Libia. I brigatisti furono aiutati prima di tutto da Gheddafi e dai palestinesi. Pertini però conosceva anche le radici interne del fenomeno terroristico che era volto a fini opposti a quelli della Resistenza. A mio avviso è improbabile che i brigatisti siano stati aiutati in misura importante da vecchi partigiani rifugiati a Praga. Penso comunque che l'asilo a Praga ai brigatisti sia avvenuto in un secondo tempo, quando cioè il brigatismo stava già uccidendo. Penso ai fatti di Genova. A Viel che uccise un fattorino durante una rapina in banca e che venne aiutato da Feltrinelli a trovare riparo a Praga».

In una recente intervista all'Unità lei afferma che Togliatti fu il «maggior costruttore di un riformismo post-fascista». Togliatti riformista e leninista, ha dunque titolato l'organo del Pci la sua intervista.
«Devo dire che l'intervista che l'Unità mi ha fatto nell'insieme è esatta, contiene però due vistosi errori. Il primo errore, il più grave, è che il giornale del Pci mi fa dire che Togliatti già “bordighista” seguì nel 1923 Gramsci e caratterizzò da allora come riformista la propria politica. Non posso aver detto una cosa assurda come questa. Nel '23 nessun comunista avrebbe potuto caratterizzarsi come riformista. La scissione di Livorno era appena di due anni prima e si era verificata proprio sulla questione dell'espulsione di riformisti dal Psi: Togliatti, il cui riformismo è molto posteriore, seguì Gramsci su una linea rivoluzionaria meno rigida e dogmatica di quella di Bordiga.
Il secondo errore dell'Unità consiste nell'avermi attribuito l'affermazione che Togliatti sia stato il maggior costruttore del riformismo post-fascista. Io ho parlato invece di “riformismo comunista”. I veri costruttori del riformismo del dopoguerra furono Saragat, Romita, Lombardi e dopo il '56 lo stesso Nenni Non si deve dimenticare Ugo La Malfa. Sul versante cattolico si distinsero De Gasperi, Vanoni e Saraceno. Ad essi togliatti fece opposizione. Quello che io definisco il “riformismo comunista di Togliatti” fu un riformismo diverso, perché importante e realizzato da un partito che esaltava l'Urss, paese nel quelle il riformismo socialdemocratico era addirittura proibito penalmente».

Il legalitarismo di Togliatti fu dunque realismo tattico indotto dalle condizioni internazionali?
«La linea di Togliatti fu effettivamente dovuta all'impossibilità di una rivoluzione comunista in Italia. Le convinzioni democratiche di Togliatti non scaturivano da revisioni ideali, ma dalla prospettiva del successo politico che la linea legalitaria offriva al Pci. E in effetti vide giusto poiché i rapporti di forza tra comunisti e socialisti si rovesciarono. Togliatti, dunque, poté essere “riformista” perché Stalin glielo consentiva in cambio della carta bianca che l'Urss aveva ottenuto dagli Alleati nella propria zona di influenza nell'Europa cento-orientale. Se Togliatti avesse voluto fare come i comunisti greci, cioé insorgere, Stalin non avrebbe acconsentito. L'Urss non voleva rivoluzioni in paesi nei quali non fosse giunta l'armata sovietica. Stalin fu contrario persino alle rivoluzioni jugoslava e cinese. Togliatti nella conduzione di questa linea affermò una certa autonomia da Stalin. Tuttavia la sua politica aveva, non per colpa sua, delle contraddizioni. Non è forse una contraddizione che proprio Reggio-Emilia, dove i comunisti conquistarono le organizzazioni del riformismo padano e la maggioranza dei suffragi, sia stata anche la città del “triangolo della morte?”. Togliatti non fu dunque un riformista come Turati, nel senso che penso sempre alla superiorità del sistema sovietico da Turati contestata sin dal 1920. Rosselli, al contrario, credeva molto più anche di Turati in un socialismo non marxista. Craxi ha avuto ragione a rivalutare la figura di Carlo Rosselli. Questi pensava ad un socialismo liberale che mantenesse la sostanza dell'economia di mercato.
Togliatti ha sempre mirato a conquistare l'egemonia del Pci sul movimento operaio a scapito dei socialisti e a ridurre i laici, in particolare quelli che sostenevano il socialismo liberale.
Credo che ci sia un solo modo per introdurre il socialismo liberale in Italia: realizzare una Repubblica presidenziale, quella che Craxi sostiene da ormai un decennio e che Calamandrei, Lombardi ed io sostenemmo al tempo della Costituente. La sola riforma elettorale ormai non basta più per fronteggiare la grave crisi politica. Poteva essere sufficiente ancora 5 anni fa, ma ormai si deve imboccare la via delle riforme istituzionali. In un contesto di Repubblica presidenziale, sarebbe il candidato più moderato, e quindi socialista riformista o laico, quello che potrebbe portare la sinistra italiana al successo. Sono infatti i voti del «centro» quelli che determinano, con il proprio spostamento, l'affermazione di una coalizione o di un'altra. Un candidato comunista non potrebbe farcela».

E Occhetto?
«Anche in Occhetto ci sono contraddizioni. Credo che l'attuale segretario del Pci voglia superare l'eredità di Togliatti. Ma quando si parte da posizioni leniniste e ci si avvicina necessariamente, in Occidente, al riformismo, questo processo porta con sé numerose resistenze e contrasti. L'eredità stalinista e leninista è anche per Occhetto un grosso peso».

Lei ha recentemente auspicato l'unità delle forze riformiste. Ne intravede le condizioni nell'attuale situazione del Pci?
«No, nel Pci non ci sono ancora le condizioni per un ritorno all'unità di tutti i riformisti. Lo stesso Occhetto lo esclude. Non credo che sia un processo che si possa compiere dall'oggi al domani. Ma dal momento che lo stesso Terracini, che ebbe, più di Gramsci e di Togliatti, un ruolo di primo piano nella scissione di Livorno, ha detto anni fa che “Turati aveva avuto ragione” non vedo motivo nel persistere in quella scissione. Occorre che i partiti della sinistra si ritrovino insieme. E credo che la proposta della Repubblica presidenziale possa accelerare questo processo».

(dall'Avanti! del 9 settembre 1990)
 

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