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New Republic, 23 gennaio 2010,

Tutte le parole spendibili per descrivere la tragedia haitiana sono state utilizzate. Dalla cronaca si è passati all'analisi storico-sociologica, per poi tornare all'attualità per criticare l'inefficienza dei soccorsi, nonostante la generosa mobilitazione della comunità internazionale. Molti hanno ricordato la lunga serie di disgrazie che si è abbattuta sul piccolo paese caraibico, a partire dal colonialismo, passando per le sanguinose dittature dei Duvalier, per arrivare appunto al disastroso terremoto del gennaio 2010. Il colpo di grazia per "gli ultimi dell'Occidente". La tentazione della retorica e della polemica è forte quando un ci si trova a dover commentare un'apocalisse del genere. Leon Wieseltier, literary editor della rivista americana New Republic cerca di sottrarsi a questa impostazione e sceglie un piano d'analisi originale per raccontare ai suoi lettori la tragedia haitiana.

La popolazione locale, osserva Wieseltier, dimostra una Fede disarmante, che qualcuno potrebbe confondere per fatalismo. Osservando con attenzione le masse raccolte in preghiera nei giorni successivi al sisma, non si può che riconoscere l'autenticità dei sentimenti religiosi di questo popolo, per cui la Fede resta immune rispetto all'esperienza, incrollabile di fronte ad accadimenti di una gravità tale da far vacillare le convinzioni più salde. Paradossalmente, i sopravvissuti si rivolgono supplicanti a Colui che le anime più semplici potrebbero considerare il responsabile primo della devastazione. Eppure, benché gli eventi sembrerebbero dimostrare l'inesistenza di una forza divina benigna, gli haitiani trovano proprio nella metafisica il proprio rifugio.

Questo fiducioso abbandonarsi alla provvidenza divina desta sentimenti di solidarietà, e persino di ammirazione, nell'osservatore esterno, laico e disilluso. Insieme, tuttavia, induce una riflessione realistica e cupa, evidente per quanto banale, ricordando come sia superficiale ricollegare o meno il riconoscimento della presenza del divino al verificarsi di avvenimenti favorevoli o avversi.  Tra le rovine di Port-au-Prince non vedo come qualcuno possa essere consolato dalla presenza di Dio o come possa esserlo dalla sua assenza, annota la penna del New Republic.  Certo, per colui che è privo dell'illuminazione della Fede rimane la consolante speranza che gli uomini, gli stati, la comunità internazionale, possano trovare le risorse per superare simili catastrofi. Tuttavia, anche qui la delusione è grande.

E' stato giustamente notato come l'entità del cataclisma haitiano non sia solo dovuta a cause naturali, ma anche alla lunga teoria di guasti sociali, politici ed economici che ha tormentato il piccolo inferno caraibico per tutto il novecento: povertà cronica, corruzione governativa, istituzioni lacerate, infrastrutture quasi inesistenti. Queste sono responsabilità umane, non divine.  Gli haitiani lo hanno imparato a proprie spese e preferiscono rivolgersi a Dio piuttosto che confidare negli uomini. Molti si stupiscono per la relativa calma della popolazione allo sbando nelle strade distrutte della capitale; ci si aspetta un'esplosione incontrollata di violenza che in realtà sinora non si è manifestata. Il malcontento di fronte ai ritardi e alle inefficienze esiste, ma pare mitigato dalla rassegnazione di un popolo che forse, dopo decenni di sofferenze, non considera più la speranza come una possibilità di questo mondo.

Come suonano distanti le parole dei leader della Terra, per i quali il sisma sembra rappresentare l'ennesima occasione da non perdere per dimostrare la volontà della comunità internazionale di riunire gli sforzi e gli intenti per raggiungere un risultato condiviso. Subito dopo l'evento, l'amministrazione Usa, gli altri grandi governi e le varie organizzazioni (governative e non) hanno ribadito che questa volta sarebbe stato diverso, che il mondo avrebbe trovato il modo per cooperare felicemente a vantaggio di una popolazione perseguitata dalla Storia.  Ma, nonostante le rassicurazioni di Barack Obama, di George W. Bush o di Ban Ki-Moon, gli avvenimenti e le dinamiche della Storia stessa hanno insegnato ai più avveduti che non tutto è possibile.

Anche se il mondo si è finalmente (e a che prezzo!) ricordato della sua tragedia, Haiti non potrà liberarsi facilmente dall'eredità storica che porta sulle spalle. La speranza, come la paura, è un'emozione facile da sfruttare nel breve periodo, ma la delusione della speranza conduce  alla disperazione.  Tra qualche settimana l'attualità inghiottirà l'emergenza haitiana, come è successo tante volte in passato. E' colpa della naturale incostanza degli uomini, dell'irriducibile complessità degli affari internazionali, del cinismo che li permea.  Ciò considerato, conclude Wieseltier, mi accontenterei che a Port-au-Prince e dintorni si perseguissero obbiettivi raggiungibili, salvando quante più vite possibili, e amerei che i leader mondiali interrompessero la loro insopportabile  litania di promesse palingenetiche e irrealizzabili. (F.L.) 

 

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