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Spiegel International, 22 gennaio 2010,

Non si è perso tempo. Poche settimane dopo il fallito attentato di Natale sul volo Amsterdam-Detroit, si è tenuto a Toledo un vertice tra i ministri degli interni dell'Unione europea e il segretario americano per la Sicurezza nazionale, Janet  Napolitano. In quella occasione europei e statunitensi hanno approfondito la collaborazione in materia di scambio reciproco dei dati dei passeggeri e deciso di investire su più efficaci tecnologie di  monitoraggio degli utenti e dei bagagli negli aeroporti. Al proposito, la Napolitano ha annunciato la decisione del suo governo di accrescere la dotazione dei body scanner negli aeroporti americani, mentre diversi governi europei hanno deciso di introdurli nei propri scali e altri ancora ne stanno valutando l'adozione o prevedendo la sperimentazione.

Il dibattito è aperto. I fautori dell'impiego della tecnologia del body scanner, con in testa l'autorità aeroportuale statunitense, sostengono che il sistema sia in grado di rilevare oggetti nascosti e materiali esplosivi che sfuggono all'ormai "obsoleto" metal detector. Gli scettici, tra i quali vanno annoverati diversi specialisti del settore delle sicurezza, mettono invece in guardia sul fatto che gli scanner non riescano a vedere oltre la gomma o materiali simili alla pelle, né ad intercettare le sostanze a bassa densità (plastica, polveri chimiche, liquidi). E che dire della preoccupazione delle compagnie aeree, timorose per i forti ritardi che potrebbero essere causati dai controlli con le nuove apparecchiature?
In Europa il dibattito si è rivelato particolarmente vivace in Germania, soprattutto a causa del clamore suscitato da un incidente verificatosi il 20 di gennaio nell'aeroporto di Monaco di Baviera; un episodio che non ha fatto che rinfocolare il clima da psicosi collettiva suscitato dal fallito attentato del 25 dicembre. Durante un controllo di routine, è stata segnalata un'anomalia nel computer di un passeggero, tale da far presumere che potesse contenere dell'esplosivo. Tuttavia, il personale aeroportuale non è riuscito a bloccare l'uomo che si è allontanato tra la folla. E' partita una gigantesca caccia all'uomo per catturare il presunto terrorista, mentre il terminal 2 dello scalo veniva chiuso con pesanti conseguenze per il traffico aereo di tutta l'Europa.

Commentando il fatto, Charles Hawley, Spiegel International , cita la posizione del giornale finanziario Handelsblatt, che sottolinea come sussistano due errate concezioni di fondo alla base dell'attuale dibattito sulla sicurezza aeroportuale e aerea.

In primo luogo, le strette nei controlli che si verificano per solito dopo un attentato (tentato o riuscito) si fondano sulla convinzione che un più intenso e intrusivo controllo sui passeggeri possa garantire di per sé una maggiore sicurezza a tutti. Tuttavia, i passeggeri rappresentano solo una parte del problema. Che dire di coloro che attendono aldilà della security area? Del personale stesso? O di coloro che sono interessati unicamente alle attività collaterali che si possono svolgere in un aeroporto, ad esempio fare shopping? Concentrarsi solo sui passeggeri denuncia una carenza nella comprensione complessiva del fenomeno da parte delle autorità, che preferiscono non pianificare, ma rincorrere di volta in volta l'emergenza.

In secondo luogo, si tende a far credere ai cittadini che sia ipoteticamente possibile garantire al 100% la sicurezza. Una pia illusione, raggiungibile solo nel caso gli individui smettessero di prendere l'aereo. Eventualità, quest'ultima, che potrebbe paradossalmente diventare plausibile se si continuasse a far credere ai fruitori dei servizi aeroportuali di poter garantire loro la sicurezza assoluta. Una garanzia che verrà puntualmente disattesa dal prossimo incidente. 

Secondo il Süddeutsche Zeitung le varie misure preventive introdotte negli aeroporti negli ultimi anni sono puramente simboliche (utenti costretti a togliersi le scarpe, a presentare borse di plastica colme di flaconi e ad aprire i propri laptop davanti ad addetti alla sicurezza sempre più fiaccati dalla routine). Ogni giorno centinaia di migliaia di persone si riversano negli scali di tutti il mondo. Gli agenti della security, per quanto possano essere addestrati, davanti a questa moltitudine quotidiana finiscono per perdere il senso dell'urgenza e per deconcentrarsi fatalmente.
Se non si vuole "anestetizzare" ulteriormente il personale addetto o paralizzare definitivamente gli aeroporti, è necessario spostare l'accento dalla quantità alla qualità, dalla ottusa routine all'intelligenza. I controlli non dovrebbero perciò concentrarsi sugli oggetti pericolosi, poiché ne esistono di potenzialmente letali anche oltre le barriere di sicurezza (e dunque non soggetti a controlli prima dell'imbarco). Sarebbe preferibile approfondire il monitoraggio degli individui pericolosi, come il giovane nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, l'attentatore mancato del volo per Detroit. Un personaggio di cui si conoscevano le inclinazioni estremiste, che era stato segnalato dal padre alle autorità americane e al quale è stato nondimeno permesso di salire su aereo diretto negli Stati Uniti. Effettuare controlli intelligenti significa identificare simili individui per tempo, significa innalzare gli standard qualitativi. Ciò implica la disponibilità a pensare e ripensare la sicurezza, a non adagiarsi sulle procedure esistenti in modo da modificarle per tempo e in maniera efficace. Attendere il prossimo incidente per rendere più restrittive misure di sicurezza che si sono già rivelate inutili (o peggio inefficaci) finirebbe per accrescere ulteriormente le nostre insicurezze e paure. (F.L.)

 

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