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Haaretz, marzo/aprile 2010,

Considerando i tempi lunghi con cui il governo cinese imposta la sua agenda politica, potrebbe sembrare azzardato utilizzare espressioni come "svolta" o "rottura", ma le ultime scelte compiute da Pechino in merito all'annosa questione nucleare iraniana segnano quantomeno un significativo cambio di passo. Durante una conference call, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Russia e Germania hanno raggiunto un accordo con la Cina sull'opportunità di nuove sanzioni nei confronti dell'Iran. "L'intesa raggiunta potrebbe condurre a breve a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu", sostiene la fonte riservata citata dal corrispondente del quotidiano israeliano Haaretz che ha diffuso la notizia. Come al solito, la posizione di Pechino è molto cauta, data la tradizionale opposizione della Cina a ogni presa di posizione netta e sanzionatoria nei confronti di un membro della comunità internazionale. In effetti, sempre secondo la fonte del giornale israeliano, il governo cinese avrebbe accettato in linea di principio la proposta delle diplomazie occidentali, auspicando tuttavia l'adozione di misure piuttosto blande nei confronti di Teheran.

Dal canto loro, le quattro potenze occidentali vorrebbero che una risoluzione anti-iraniana venisse adottata entro il prossimo mese, prima dello svolgimento (nel mese di maggio) di una lunga conferenza delle Nazioni Unite incentrata sul Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Se le rivelazione giornalistiche fossero confermate, la diplomazia americana potrebbe vantare un risultato di tutto rilievo, coinvolgendo la Cina in una risoluzione "morbida" del Consiglio di Sicurezza e tenendosi aperta l'opzione di intraprendere altre iniziative parallele, più incisive, fuori dal quadro Onu. In questo secondo caso, la collaborazione sarebbe ristretta alle sole potenze occidentali. Consapevole della difficoltà di attrarre Pechino e Mosca su posizioni troppo antagoniste nei confronti di Teheran, l'amministrazione Obama e gli europei starebbero insomma esercitando una pressione diplomatica a due velocità sulla leadership iraniana.

Un'altra novità risiede nelle determinazione mostrata dai leader europei, che dichiarano di abbracciare in toto la linea di Washington. Nicolas Sarkozy, Gordon Brown e Angela Merkel concordano sulla necessità di stringere i tempi perché "l'Europa intera si impegni a favore dell'imposizione di un regime sanzionatorio efficace." Nel merito, le sanzioni prese in considerazione dagli Stati Uniti punterebbero alla limitazione della libertà di movimento degli alti funzionari governativi iraniani, alla restrizione del traffico merci in entrata nel paese e all'indebolimento delle istituzioni finanziarie nazionali.

La conferma indiretta della bontà delle manovre diplomatiche in corso, giunge dalle mosse difensive del governo iraniano. Oltre alle consuete roboanti e assertive dichiarazioni pubbliche sull'inutilità degli sforzi della comunità internazionale per bloccare il proprio programma nucleare, Teheran si sta concretamente muovendo per limitare i danni. L'agenzia ufficiale del regime, l'IRNA, ha dato notizia di un colloquio del capo negoziatore iraniano Saeed Jalili con il governo cinese. Incontro dal quale Jalili è uscito, apparentemente, piuttosto rinfrancato: "Durante i nostri colloqui, i rappresentanti cinesi hanno ammesso che lo strumento delle sanzioni è inadeguato...la Cina ha compreso la posizione dell'Iran."  Tuttavia, il ministro degli Esteri cinese, Yang Jiechi, parlando alla stampa, ha usato toni differenti: "La Cina auspica che le parti rafforzino l'impegno diplomatico per trovare una soluzione e mostrino la flessibilità necessaria per creare le condizioni per risolvere la questione nucleare iraniana mediante il dialogo e il negoziato." Al di là della cautela cinese e del pronto tentativo iraniano di convincere Pechino a non seguire gli occidentali, qualcosa è cambiato. Lo dimostra la decisione del presidente della Repubblica Popolare, Hu Jintao
di partecipare al vertice sul disarmo nucleare voluto da Obama il 12 e il 13 aprile prossimi a Washington. Una decisione che vale più delle parole moderate e accondiscendenti utilizzate dai dirigenti cinesi per rassicurare Teheran. (F.L.)

 

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