2014, Numero
La tecnica prenderà il sopravvento sulla politica. E l'efficienza subordinerà la solidarietà sociale
Due Interviste (su carta e online - tramite il barcode) al filosofo Emanuele Severino
di Silvia Truzzi
L'umanità è molto vecchia, l'eredità, gli incroci hanno dato una forza insuperabile alle cattive abitudini, ai riflessi viziosi”, ammonisce Proust ne La prigioniera. Il taxi attraversa Brescia, gelida. L'indicazione stradale è precisa e, nel finale, perfino letteraria: “La via è lunga, io abito in quel tratto di strada dove amava passeggiare Foscolo”. Giunti nei pressi dei luoghi cari al poeta - che a Bre scia, oltre ad amare appassionatamente una gentildonna, diede alle stampe i Sepolcri- si apre la porta di casa di Emanuele Severino. Entriamo non senza timori (ben riposti: il primo scivolone arriva al minuto tre, su un frammento de La gaia scienza di Nietzsche), in un soggiorno che ospita mille libri, un pianoforte a coda e un'imponente scultura del figlio Federico. È un Orfeo che ha per duto Euridice: “È così, testa a terra e piedi in aria”, spiega il professore, “e getta in faccia lo sconvolgimento del cuore”. Per capire qual è lo sguardo di un filosofo sull'Italia (e se Proust - di cui il professore si occupa ne La filosofia futura - aveva ragione), partiamo da Leopardi, perché al piano di sotto c'è uno studio “riservato” dove il pr...
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