Alla fine George W. Bush dovrà farsene una ragione. Presto o tardi, sarà costretto a spendere qualche parola a favore di John McCain. L'ultima fiammella di speranza per evitare al presidente uscente questa non graditissima incombenza è rappresentata da Mike Huckabee, l'ultimo ostacolo tra McCain e la nomination. Mitt Romney, il candidato indubbiamente più gradito alla Casa Bianca, ha lasciato, schiacciato da una serie perentoria di sconfitte. L'ex governatore del Massachusetts dichiara di ave preso la decisione per il bene del Partito Repubblicano e dell'America, desideroso di evitare che il Grand Old Party si divida alla vigilia dello scontro decisivo di Novembre. Romney ha aggiunto di voler in tutti i modi scongiurare che alla Casa Bianca salga un presidente (democratico) pronto ad arrendersi ai terroristi. Meglio dunque lasciare, a malincuore, il proscenio a John McCain.
L'UNITA' DEI REPUBBLICANI
Parlando a Washington, alla Conservative Political Action Conference, il presidente George W. Bush ha spinto a fondo sulla questione della sicurezza nazionale, sottolineando il proprio apprezzamento personale per ciascun candidato del suo Partito attualmente in corsa per la nomination. I tempi non sono ancora maturi per un endorsement pro-McCain, ma Bush ha fatto capire che l'amministrazione si spenderà per difendere il proprio operato in questi sette anni e per garantire la successione repubblicana alla Withe House. Nonostante il suo tasso di popolarità si sia attestato sotto il 30%, Bush raccoglie ancora larghi consensi tra i conservatori e la platea lo accoglie con affetto intonando “four more years”, il grido di battaglia che accompagnò la sua rielezione nel 2004. Meno ne raccoglie McCain, che su quello stesso palco ha ricevuto fischi e contestazioni. Non c'è proprio amore tra lui e la base tradizionalista.
Bush, se lo vorrà veramente aiutare, dovrà cercare di spingere il suo fedele elettorato evangelico verso il senatore dell'Arizona, l'uomo che il presidente ha trattato da acerrimo nemico nella campagna per le primarie del 2000. I dissidi sono proseguito l'anno successivo, quando McCain, dopo essere stato estromesso dalla corsa alla nomination 2000 da una durissima sequela di colpi bassi orchestrata dallo staff di Bush Jr, si è opposto al primo pacchetto di tagli fiscali del nuovo presidente. Dopo il Settembre 2001, le differenze sono aumentate anche in relazione alla postura critica di Mac rispetto alle leggi emergenziali varate dall'esecutivo ed al trattamento riservato “ai nemici dell'America” dall'amministrazione repubblicana impegnata nella war on terror.
Ora, proprio in tema di sicurezza nazionale, i due uomini potrebbero trovare una comunità di intenti. Entrambi sono convinti che una presidenza democratica indebolirebbe l'America su quel versante. “Il giorno in cui un presidente americano dovesse decidere di ritirarsi dall'Iraq, al Qaeda dichiarerebbe la sua vittoria. Io non lo permetterò mai, non mi arrenderò mai”, ha scandito McCain parlando a Wichita, in Kansas. La ricostruzione dell'unità dei repubblicani parte proprio da qui. La riproposizione della necessità di assicurare al Paese una guida forte e determinata in tempi di guerra e di crisi. Una leadership che non può essere affidata al Partito Democratico. Si ritorna perciò ai toni del 2004. Allora fu un trionfo, questa volta la sfida si preannuncia molto più complicata.
“IT'S THE ECONOMY, STUPID”
Con l'intento dichiarato di semplificare le cose per il suo Partito si è appunto ritirato Mitt Romney, l'uomo con più risorse da spendere nella campagna elettorale e che più d'ogni altro sembrava indicato a raccogliere l'eredità di Bush. In retrospettiva gli errori strategici compiuti dal manager mormone appaiono macroscopici, al di là della sua incapacità di instaurare un feeling, un rapporto diretto, con gli elettori. Carenza gravissima in una campagna elettorale trascinata, non solo sul fronte democratico, da messaggi visionari, entusiasmi e passioni politiche che non si vedevano da tempo negli States. Nonostante la sua competenza, Romney è apparso statico e ingessato, travolto dal carisma di McCain e dall'allegro dinamismo di Huckabee.
Oltre all'atteggiamento colpevolmente remissivo, Romney sconta delle pecche strategiche di non poco conto. Il continuo oscillare della sua campagna tra le tematiche del conservatorismo sociale e del liberismo economico hanno fatto sì che gli elettori non associassero il suo nome ad una main issue, vanificando il suo progetto che prevedeva una partenza sprint nei primi Stati, anche grazie alle ingenti risorse economiche investite. Un abbrivio iniziale che gli avrebbe premesso di eliminare i due rivali che considerava più pericolosi, Giuliani e McCain, per poi gestire comodamente il suo vantaggio nel Super Tuesday. Non è andata così. Memori dei suoi accenti liberal ai tempi delle campagne elettorali nel progressista Massachusetts, i conservatives gli hanno preferito Huckabee in Iowa (il qu...