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REQUIEM PER IL CLINTONISMO. OBAMA GUARDA AVANTI

L’ex first lady, dopo aver concesso la nomination al senatore dell’Illinois, è alla ricerca di un ruolo e spera in un’offerta del vincitore. Obama non ha fretta e parte per un tour economico. La sfida a McCain è iniziata. Forze e debolezze dei due candidati

Data: 2008-06-10

Fabio Lucchini

Un ruolo per Hillary. Da avversaria tenace a sconfitta scomoda
Tuttavia, conscia dei mal di pancia del Partito di fronte alla sua ostinata resistenza, Clinton ha optato per il buon senso ed ha deposto le armi. I due sfidanti per la nomination Democratica si sono già incontrati per delineare un primo abbozzo della strategia che dovrà orientare il cammino del senatore dell'Illinois verso la Casa Bianca. Ora, molti clintoniani sperano che Obama offra la vice-presidenza, ma il candidato in pectore del Partito non si sbilancia. Ai microfoni della NbcIl deve così registrare il fallimento del suo endorsement pro-Hillary di mezzo inverno. La prestigiosa redazione new-yorchese accetta il verdetto e sgombra il campo da ogni equivoco. “Noi, mesi fa ci siamo schierati al fianco di Hillary Clinton, convinti delle sue grandi doti politiche e della sua straordinaria intelligenza. Doti che la lunga campagna elettorale ha confermato. Purtroppo, essa ha pure confermato la tendenza della senatrice di New York a dividere, dilaniare ed irritare… Barack Obama ha vinto e i due devono lasciarsi alle spalle le loro marginali differenze, ingigantite nella concitazione dello scontro, e recuperare quanto li unisce politicamente in opposizione a John McCain e, soprattutto, ai disastrosi sette anni e mezzo di amministrazione Bush…Obama non ci convinceva per la sua eccessiva genericità su quello che intendeva fare. Noi gli chiediamo di entrare nel merito, di spiegare agli americani in che modo e in che misura la sua presidenza sarà diversa da quanto i Repubblicani hanno realizzato, male, durante i due mandati di George W. Bush.”

Dopo aver osservato con divertito interesse lo scontro intra-Democratico, molti conservatori Usa non possono che salutare con soddisfazione la sconfitta patita dal Clintonismo, uno stile politico accusato dalla destra americana di aver subordinato verità, decenza ed interesse nazionale all'ambizione personale dell'ex presidente e della moglie. Ciononostante, gli editorialisti della rivista conservatrice ammettono di preferire Hillary ad Obama che, a differenza della first lady, non sembra disposto ad assumere una postura centrista sulle tasse, la politica estera, i diritti sociali ed il commercio. Con Obama potrebbe tornare in auge l'anima più propriamente liberal del Partito Democratico, ciò che i conservatives più avversano. “Ci auguriamo che l'uscita di scena dei Clinton sia permanente...(ma) temiamo che il Clintonismo possa essere sostituito dalla peggiore delle alternative.”

Politico
Sicurezza, economia e valori: forza e debolezza di Obama e McCain
In occasione di una recentissima uscita pubblica, Obama è entrato nel vivo della questione mediorientale ed ha affrontato le hot issues relative allo status di Gerusalemme ed al nucleare iraniano. Parlando a Washington presso l'American Israel Public Affairs Committee (Aipac), la più importante lobby israeliana in America, ha ribadito che, auspicando una soluzione che comporti la nascita di un'entità statale palestinese, egli ritiene che Gerusalemme debba restare la capitale indivisa dello Stato ebraico. Inoltre ha rinnovato la sua amicizia al popolo ebraico e si è impegnato a tutelare la sicurezza di Israele. Dichiarazioni che hanno provocato le stizzite reazioni del mondo palestinese, in primo luogo del presidente dell'Anp, Mahmud Abbas. Rivolgendo la sua attenzione al dossier Iran, il senatore dell'Illinois ha riaffermato la sua fiducia in un approccio diplomatico “aggressivo, orientato dai principi e senza precondizioni, senza tuttavia perdere di vista i nostri interessi.” Obama ha proseguito mostrandosi pronto a “fare qualsiasi cosa in suo potere per evitare che l'Iran entri in possesso dell'arma atomica. Qualsiasi cosa.” Una risposta a quanti, McCain e Bush in primis, ma, indirettamente, anche Hillary Clinton, lo avevano accusato di eccessiva morbidezza nei confronti di Teheran. Considerazioni che trovano comunque riscontro nelle perplessità nei confronti del senatore di Chicago di parte della comunità ebraica americana e dell'opinione pubblica israeliana.

Dimostrazione di trasparenza, ma forse anche di insospettata ingenuità, se si pensa che, al momento, la tematica centrale della campagna presidenziale è l'economia, ed in particolare l'aumento dei prezzi del petrolio, la crescita della disoccupazione (+ 320.000 unità dall'inizio dell'anno) e le conseguenze della crisi dei mutui. Per non parlare dei beni di prima necessità, sempre più cari, così come la sanità e le rette scolastiche. Barack Obama parte perciò all'attacco, con un tour economico di 11 giorni, accompagnato dallo slogan Change That Works For You, che lo vedrà impegnato in una serie di Stati che in autunno si risolveranno plausibilmente in un testa a testa tra i due candidati, ossia North Carolina, Missouri, Iowa, Florida, Ohio e Pennsylvania. La fase emozionale della campagna elettorale di Obama sembra alle spalle e dovrebbe cedere il passo ad un approccio che tocchi la sostanza delle questioni che stanno realmente a cuore agli americani, soprattutto se riguardano le loro tasche.

dimostra che il 48% degli americani preferirebbe affidare la traballante situazione economica ad Obama, solo il 38 a McCain.

Si ha comunque l'impressione generale che McCain avrebbe potuto sfruttare meglio i mesi di vantaggio che la complicata e macchinosa procedura di selezione Democratica gli aveva concesso. E questo appare tanto più vero oggi che quella posizione di rendita non esiste più. Infatti, il senatore dell'Arizona si trova finalmente davanti un avversario. Più pericolosa per Mac l'entusiasmo del senatore dell'Illinois o la competenza di Hillary Clinton? Oramai il quesito non ha più senso. Il campaign manager del candidato Repubblicano, Rick Davis, si profonde in tecnicismi e presenta un'analisi confortante, che vede il suo assistito pressoché alla pari con il rivale. Altri dati, meno partigiani, rintracciabili sul seguitissimo blog , delineano un quadro sensibilmente diverso e meno favorevole. Negli stessi ranghi del Grand Old Party la preoccupazione è tangibile e l'atteggiamento non è propriamente positivo, né rispetto alle possibilità di vittoria né in merito alla valutazione del tenore della campagna sin qui condotta da Mac. Troppo tempo perso a difendersi dall'accusa di aver arruolato lobbisti nel suo staff, lui che ha sempre evidenziato la propria indipendenza dai poteri forti, e troppo poco a serrare le fila di un Partito che passa, da due anni a questa parte, da una cocente sconfitta all'altra. E ancora. Come pensa McCain di recuperare il consenso della destra religiosa e tradizionalista, che mesi fa gli aveva dichiarato guerra? Sotto questo profilo, il candidato Repubblicano sembra scontare difficoltà di dialogo con una parte rilevante di quello che dovrebbe essere il suo elettorato di riferimento. Un'analogia con i problemi di Obama con la base tradizionale dell'elettorato Democrat.

Washington Post
, di un caso Jeremiah Wright in salsa Repubblicana. Gli evangelici, da trent'anni punta di lancia dell'ala più conservatrice del Gop, si esprimono nei sondaggi a favore del candidato Repubblicano, ma una loro partecipazione elettorale meno massiccia rispetto al passato potrebbe farsi sentire a novembre.






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