Filippo Turati. L'origine della Democrazia in Italia
All'interno gli interventi sul volume
di Spencer Di Scala
Editore: critica sociale
Prezzo: 12,00 €
dalla Prefazione di Giuliano Amato
Turati di sicuro non fu un socialista liberale (i tempi della storia sono quelli che sono), ma di sicuro la sua sensibilità per il rapporto di coessenzialità fra libertà e socialismo non fu inferiore a quella di coloro che, dopo di lui, avrebbero portato quel nome. E non poteva essere che così per un uomo che vedeva crescere la forza del movimento attraverso i diritti e le reti di sicurezza che rendevano ciascuno dei suoi componenti libero di esprimersi, di farsi valere e di fare in tal modo ulteriori passi avanti. La nozione stessa di avanguardia era per lui una nozione infida, vi leggeva una auto-legittimazione che riteneva pericolosa, lo scivolo che avrebbe trasformato la dittatura del proletariato in dittatura di un partito, lo scrigno che avrebbe sprigionato un potere dell'uomo sull'uomo mai visto nella storia precedente. E queste sono cose che non dico io ora, le disse lui, più o meno con le stesse parole, quando la storia del comunismo era appena ai suoi inizi, quando metteva radici un partito comunista in Italia e perciò oltre sessant'anni prima dell'amaro risveglio dei tanti che il comunismo avrebbero idolatrato per decenni come la fabbrica dell'uomo nuovo. Nelle pagine che seguono Spencer Di Scala dimostra con sottile perizia che i primi a doverlo considerare un anticipatore dovrebbero essere gli ex comunisti, che, proprio in ragione dei loro ritardi nel superare sul piano dei principi i miti della rivoluzione, hanno finito per ricalcarne i passi anche sul terreno di quel suo gradualismo che tanto risentiva del determinismo dei suoi anni.
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