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AFFARI E PRINCIPI. IL MODELLO BRITANNICO

Una concezione dell’interesse nazionale equilibrata, rafforzata dalla vitalità intellettuale di una classe media ispirata da principi comuni, che non disdegna gli affari ma non perde di vista i propri riferimenti culturali

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Nel mese di gennaio Gordon Brown ha effettuato la sua prima visita in Cina nelle vesti di premier. Pechino rappresenta oramai un appuntamento quasi obbligato per i principali leaders occidentali, così come la necessità di interloquire con le autorità della sorgente superpotenza asiatica.  Lo stesso primo ministro ha riconosciuto che la Cina costituisce un' enorme opportunità per il commercio britannico ed ha specificato, parlando alla BBC,  le modalità che gli affari tra Pechino e Londra dovrebbero naturalmente assumere nei prossimi anni.

Fedele ai principi liberoscambisti, da sempre alle fondamenta della politica britannica di apertura al mondo, Brown non teme la concorrenza cinese nella produzione di beni a basso valore aggiunto, quindi più economici, e ravvisa piuttosto le complementarità tra le due economie. “Se noi permetteremo l'accesso nel nostro mercato ai beni cinesi, potremmo esportare qui i nostri servizi bancari e finanziari, nuove tecnologie per la tutela ambientale ed i nostri prodotti di qualità superiore. Certo i produttori britannici dei beni di bassa qualità verranno penalizzati, ma avremo modo di utilizzare la nostre capacità tecnologiche per inserirci nel più grande mercato interno del mondo.” Insomma, Brown dimostra di abbracciare in toto l'approccio multilaterale al commercio internazionale e di respingere ogni forma di protezionismo, conscio dei vantaggi competitivi su cui il Regno Unito può contare nel suo rapporto con il mercato cinese.

Brown ha concordato con il premier cinese Wen Jiabao di accrescere il volume degli scambi fra i due paesi del 50% entro il 2010. Il primo ministro laburista spera inoltre che la Gran Bretagna diventi rapidamente il primo terminale degli investimenti cinesi e si augura che almeno 100 nuove aziende cinesi entrino nel mercato britannico nei prossimi due anni. Brown ha infine offerto alle autorità di Pechino un contributo di 50 milioni di sterline per il miglioramento degli standards e delle tecnologie ambientali. A Londra si è consci del fatto che la lotta al riscaldamento globale non può essere vinta senza la collaborazione cinese.

D'altro canto, pressato dall'opposizione, Brown non ha potuto eludere la spinosissima tematica del rispetto dei diritti umani. In particolare, il conservatore David Cameron ed liberal-democratico Nick Clegg hanno ricordato a Brown la necessità di stimolare Pechino rispetto alla situazione in Darfur. Considerando i forti legami politici e commerciali con il Sudan, ci si aspetterebbe dalle autorità cinesi un intervento forte ed autorevole nei confronti di Khartoum perchè cessi l'indiscriminata violazione dei più elementari diritti nella devastata regione africana. Pechino deve essere indotta a ricordare al Sudan le proprie responsabilità. Nonostante il focus del suo viaggio cinese fosse prevalentemente economico, Brown non ha potuto esimersi dal richiamare la questione durante il primo giorno di colloqui, oltre a discutere, in termini generali, del carente rispetto dei diritti fondamentali nella stessa Cina. Amnesty International aveva precedentemente sollecitato Brown su questo punto, inviando al premier una lettera aperta, dove venivano elencate quattro aree sensibili e meritevoli di approfondimento: la diffusa pratica della pena capitale in Cina (Pechino è primatista mondiale), la detenzione senza giusto processo, la persecuzione dei dissidenti e l'assenza di libertà d'espressione.

Non è la prima volta che il mondo britannico dà prova di trasparenza nel districarsi tra affari e difesa dei principi cardine della propria civiltà. Da mesi prosegue il braccio di ferro con l'illiberale Russia putiniana, con cui peraltro il Regno Unito mantiene fiorenti relazioni commerciali. Le recenti polemiche rispetto alla volontà russa di chiudere due sedi del British Council a Mosca rappresentano uno strascico della vertenza sollevata, e non lasciata cadere, da Londra in seguito all'uccisione sul suolo britannico del dissidente russo Alexandr Litvinenko. Un omicidio rispetto al quale le responsabilità del Cremlino appaiono evidenti. Lo stesso ministro degli Esteri, David Miliband, impegnato in prima fila nell'aspra polemica con le autorità moscovite, ha garantito, a margine della recente Conference annuale della più antica organizzazione laburista, la Fabian Society, il suo impegno personale in sede europea per indurre il governo castrista a mitigare la repressione della dissidenza cubana.

Un impegno, quello delle autorità britanniche, sostenuto da un'opinione pubblica attenta ed impegnata, conscia dei vantaggi economici dell'apertura dei mercati e del dialogo con le economie emergenti, ma indisponibile a negoziare sui principi. Una concezione dell'interesse nazionale equilibrata, rafforzata dalla vitalità intellettuale di una classe media ispirata da principi comuni, che non disdegna gli affari ma non perde di vista i propri riferimenti culturali. Una classe media che non sta vivendo quel processo di sfaldamento, economico e culturale, che si sta purtroppo verificando in Italia. Una società, la nostra, dove viene inesorabilmente meno quella centralità degli interessi e dei valori comuni che dovrebbe orientare l'azione politica interna ed internazionale.







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