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DOSSIER RUSSIA 4/ DITTATORI DEL MONDO, UNITI ATTORNO A MOSCA

E' il ritorno al vecchio schema geostrategico dell’Unione Sovietica che alleava, sotto l’ombrello di Mosca, il variegato spettro dell’antagonismo illiberale

Data: 0000-00-00

Simona Bonfante

Per Vladimir Putin e Dmitri Medvedev la reazione dell'Occidente alla guerra d'agosto è stata l'occasione per giustificare il ritorno della Russia al vecchio schema geostrategico dell'Unione Sovietica
che alleava, sotto l'ombrello di Mosca, il variegato spettro dell'antagonismo illiberale: da Cuba al Venezuela, dal Nicaragua alla Corea del Nord, dall'Iran alla Siria, fino al golfo persico ed al Caucaso. In quest'ottica, la crisi georgiana non ha isolato Mosca dalla comunità internazionale, piuttosto ne ha marcato il riposizionamento.  A giugno,  una delegazione guidata dal Vice Primo Ministro russo, Igor Sechin, si reca a La Havana per discutere, con la nuova leadership Castro, come ristabilire la cooperazione economica e militare che aveva dato lustro all'era sovietica”. “Quello che il Venezuela non dice – osserva tuttavia Mary Anastasia O'Grady sul Wall Street Journal – è che, come rivelato dal Dipartimento di Stato Usa, “l'aviazione americana ha intercettato gli aerei russi ad ovest della Norvegia e li ha scortati da lì fino al Venezuela.” Mosca insomma bara. Con la sua rete di alleanze sussidiarie agli interessi del mondo anti-democratico, cerca di estorcere agli Usa la concessione a ristabilire l'antica egemonia sovietica là dove, attraverso i mezzi di una volta - dall'ideologia, alla solidarietà economica - non è più in grado di assicurarsi.

Sia in casa, sia nel recinto che si estende lungo i confini dell'antico blocco sovietico e delle aree di influenza regionale in America Latina, Asia e Medio Oriente, Mosca gioca la carta della propaganda anti-imperialista, proponendosi come un baluardo contro il sistema unipolare americano. Se l'obbiettivo è far capire che la Russia intende opporsi con tutta la propria forza all'unilateralismo di Washington, la soluzione di Mosca è lasciar credere ad un'alternativa, unipolare ma mosco-centrica, all'unipolarismo democratico a marca Usa. Da una parte, allora, Stati Uniti, Europa ed il mondo libero in generale; dall'altra Mosca, il Venezuela, la Libia, la Corea del Nord, l'Iran, la Siria, Cuba… e tutte quelle dittature minori che, dall'America latina al Golfo persico, non riescono a emanciparsi dalla sindrome di inferiorità agli Usa.

Ora, questo scenario può apparire impressionante. È stato ampiamente dimostrato, tuttavia, che Mosca non ha alcuna possibilità – né a breve né in prospettiva – di ritornare la grande potenza della Guerra Fredda. Oggi, la Russia, con la sua economia asfittica e senza prospettiva, la sua arretratezza strutturale, l'inadeguatezza del suo patrimonio militare non vale che una frazione infinitesima della forza americana.
Mosca ha solo il petrolio. E se anche oggi avere il petrolio significa avere molto, quel molto – in linea prospettica – non è ancora abbastanza. Mosca questo lo sa. Lo sa talmente bene che dietro tutto questo movimento attorno alle petro-dittature sud-americane e mediorientali più che una reale minaccia all'ordine costituito sull'egemonia americana, non va letto altro che un segnale a Washington, perché riconosca a Mosca il diritto ad esprimere una “sensibilità particolare” per gli amici della vecchia tradizione sovietica.

La boutade artica
In fondo, si deve riconoscere, i russi sono dei sentimentali. Non solo tengono alle loro tradizioni ma si preoccupano di garantire alla progenie il diritto a ritornare sulle terre degli avi. Soprattutto se ricche di petrolio, come l'Artico.

Lo scorso agosto, un mini-sottomarino russo ha trasportato politici e scienziati fino agli abissi del polo Artico, alla ricerca della linea di confine autentica – adesso smarrita a causa della fusione dei ghiacci.
“È nostra precisa responsabilità, è un nostro preciso dovere verso i nostri discendenti” – ha dichiarato il Presidente Medvedev nello spiegare l'iniziativa appena decisa dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale.La spedizione ha avuto grande risonanza sulla Tv di stato che ha trasmesso a ripetizione le immagini dei conquistatori che, trionfanti, rendevano giustizia alla geografia nazionale, apponendo bandiera russa sull'area artica che il surriscaldamento climatico aveva sottratto ai confini nazionali.Quelle immagini, tuttavia – si scopriì successivamente – non avevano nulla a che fare con la spedizione, non essendo altro che le scene del kolossal hollywoodiano “Titanic”.

Ora, i 320 km di costa che le Nazioni Unite riconoscono alla Russia - come agli quattro legittimi “proprietari” dell'Artico – hanno senz'altro per Mosca un valore affettivo ancestrale. Ma l'importanza della regione è dovuta a due altri fattori: il petrolio e la vicinanza con gli Usa.
“Questa regione – riconosce Medvedev – ha per noi un valore strategico significativo. Il suo sviluppo è direttamente legato alla possibilità di realizzare tutte le grandi opere dello stato e di essere competitivi sui mercati globali.”La decisione del Consiglio di Sicurezza Nazionale, presieduto da Medvedev, di ristabilire per legge i confini della Russia in Artico – osserva il Telegraph di Londra – è stata comunicata il giorno dopo che Putin aveva annunciato l'aumento del 27% delle spesse per la difesa.Difficile non vedere un legame tra le due iniziative.

Il Cremlino come Al-Qaeda
In effetti, tuttavia, la Russia “né può, né vuole reingaggiare una guerra fredda” – osserva Mikhail Delyagin, direttore del Institute of Globalization.“Nonostante la loro ostilità per l'Occidente – osserva inoltre Yulia Latynina, sul Moscow Times – l'elite patriottica russa guida Mercedes, manda i figli nelle scuole di Londra, compra ville a Nizza e mette i soldi nelle banche svizzere. I negozi russi vendono toilettes finlandesi, abiti dei designer occidentali e frigoriferi tedeschi. Purtroppo, invece, c'è molto poco da comprare dalla Siria o dalla Corea del Nord. La sola cosa che si produce lì è una gran quantità di retorica anti-occidentale, che però non si può impacchettare e vendere al supermercato.”“Si sottolinei inoltre – osserva ancora la giornalista russa - come persino la Gunvor, la compagnia petrolifera di Gennady Timchenko, uno stretto sodale del Primo Ministro Vladimir Putin, non ha sede nella nativa Russia ma nella borghese Svizzera.” Scrive Karasik: “Dopo il discorso di Monaco, agli inizi del 2007, in cui attaccava gli Usa per la loro politica in Iraq e nel resto del mondo, Putin venne subito in Arabia Saudita e Qatar” e, successivamente, negli EAU.“La visita di Putin fu un colpo da maestro che ripiazzò la Russia dentro e fuori il litorale del Golfo.” Da lì cadde infatti arrivò a Mosca una pioggia di contratti, da tutti i principali interlocutori del Golfo, da Abu Dhabi a Bagdad.“Le prospettive per la sicurezza della regione – continua Karasik – cambiano completamente l'8 agosto, una data che sarà ricordata come l'inizio di una nuva fase delle relazioni multi-polari. Il Presidente Medvedev lo ha chiamato, non a caso, “l'11 settembre della Russia.”Secondo lo studioso dell'INEGMA, per capire in che modo l'occupazione della Georgia abbia cambiato la posizione di Mosca nel Golfo, vanno seguite le seguenti quattro direttrici.

La debolezza dell'America. Per gli Stati del Golfo, la non-risposta degli Usa alla manovra militare russa in Europa è il segno inequivocabile della perdita di autorità degli Usa.

Il rafforzamento delle relazioni Russia-Iran. Dopo la Georgia, la Russia potrebbe intensificare il suo rapporto con Teheran su due fronti:la presenza militare (a nord, nella provincia di Eastern Azerbaijan e a sud, sull'Isola di Qeshm, nello Stretto di Hormuz); la creazione formale di un OPEC del gas.La base a nord permetterebbe ai Russi di controllare Georgia e Turchia, la presenza a sud di ispezionare tutte le navi in transito.Mosca riconoscerebbe agli iraniani, in cambio della presenza militare, aiuti in tecnologia e infratsrutture per la difesa, ed una integrazione delle rispettive economie energetiche.

Sistema di difesa russo nel Golfo Persico.
Il 28 agosto – scrive Karasik – il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dichiarava in un'intervista ad Al-Hayat che “Mosca è fortemente determinata a implementare un sistema di difesa nel Golfo Persico in grado di soddisfare gli interessi di difesa comuni, agevolando il mercato energetico.” “In futuro – osservava Lavrov – la sicurezza del Golfo Persico potrebbe divenare una componente inseparabile della composizione di tutto il Medio Oriente.”

Collaborazione Russia-Opec
Il 9 settembre, il Principe saudita Bandar bin Sultan bin Abdulaziz, si recava a Mosca per la prima volta dalla crisi georgiana.  “Russia e Arabia Saudita – dichiarava il Principe –  hanno una totale identità di vedute su qualunque aspetto della politica energetica.” Nello stesso momento, il Vice-Premiere, nonché Presidente di Rosneft, Igor Sechin, si trovava a Vienna per partecipare alla 149esima assemblea annuale dell'Opec.

(continua)






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