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"UN'ALLEANZA TRA OCCIDENTE E RUSSIA PER IL CONTROLLO DELLE RISORSE CENTRO-ASIATICHE"

L’analisi dell’economista Carlo Pelanda: sì al realismo politico del governo Berlusconi

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Intervista a cura di Francesca Morandi

«La Russia ha una posizione centrale nel nuovo scacchiere geopolitico e l'interesse di Stati Uniti e Europa è quello di fare in modo che Mosca faccia parte di un sistema occidentale». L'analisi è del professor Carlo Pelanda, docente di Politica ed Economia internazionale presso il dipartimento di Relazioni Internazionali della School for Public and International Affairs dell'Università della Georgia, secondo il quale un'alleanza con la Russia è necessaria agli occidentali per contenere l'espansionismo della Cina in aree strategiche del globo come quella centroasiatica.  «L'Occidente deve scegliere tra i cinesi e i russi – spiega l'economista e già consulente della Farnesina –  Gli europei sicuramente scelgono i russi mentre gli americani hanno sempre un dubbio con i cinesi. Un dubbio che rappresenta il grande problema della politica estera americana di oggi e che fa spesso arrabbiare il premier russo Vladimir Putin. In passato sono stati fatti degli errori da parte dell'amministrazione di Washington che hanno portato a un allontanamento della Russia dall'Occidente. Ora è necessario riportare Mosca verso un'alleanza solida con gli occidentali. A questo fine – sottolinea Pelanda – il realismo politico seguito dal governo di Silvio Berlusconi è una linea auspicabile».

Professor Pelanda, tra americani e russi si è appena conclusa una fase di duro confronto originato dal recente conflitto in Ossezia del Sud... cosa ci può dire?

«Non ci sono mai state vere tensioni tra Stati Uniti e Russia, c'è stato un accordo sottobanco o meglio un negoziato riservato, come accade in questi casi. Gli scenari di guerra sono stati “montati” dai giornali, la verità è che la Russia ha una capacità di ricatto nei confronti dell'Occidente sul problema iraniano e su altre questioni, e l'Occidente ha interesse affinché la Russia resti nella sua orbita e non passi dalla parte della Cina».

Che cosa è accaduto allora in Ossezia del Sud?

«Quello che è successo veramente è che i russi hanno avuto il permesso di  “prendersi” le minoranze russofone di Ossezia del Sud e Abkhazia».

Da chi hanno avuto il permesso?

«Dall'Europa sicuramente. Nel novembre 2006 ci sono stati una serie di incontri informali bilaterali tra Stati europei e la Russia, in particolare tra la Russia e la Germania, che hanno portato a un “nuovo trattato di Yalta”».

Cosa intende?

«Parlo di un'intesa raggiunta da russi e europei sulla base della quale questi ultimi, con la Germania in testa, hanno bloccato l'espansione a Est dell'Unione europea lasciando fuori l'Ucraina, come auspicato dal Cremlino. L'Ue ha accelerato l'ingresso di Bulgaria e Romania nell'Unione, anche se i due Paesi non erano pronti, e poi ha chiuso le porte a ulteriori allargamenti. In cambio l'Europa ha avuto la “pace energetica” da Mosca, cioè la promessa di rifornimenti energetici a prezzi razionali.L'obiettivo degli europei era quello di dare un segnale alla Russia su una definizione certa dei confini dell'Unione europea e tranquillizzare in tal modo Mosca, preoccupata di una destabilizzazione interna alla Federazione russa in seguito all'allargamento a Est dell'Ue. Tali manovre si sono replicate in Georgia, dove i russi hanno chiesto di prendersi le enclavi russofone di Ossezia del Sud e Abkhazia offrendo in cambio di sospendere ogni interferenza nella politica di Tblisi e rinnovando la “pace energetica”. E la proposta è stata accettata».

Quali sono i reali interessi di Occidente e Russia che muovono le “trattative riservate”?

«Ci troviamo in una fase tipica della geopolitica che prevede la definizione dei confini.  A parole Stati Uniti e Unione europea vogliono impedire alla Russia di accrescere il proprio spazio ma nei fatti fanno concessioni. Mosca ha chiesto confini certi e l'Occidente glieli ha concessi. Il problema che resta aperto è quello dell'Ucraina che l'Ue ha consegnato nelle mani dei russi. La funzione che è stata assegnata all'Ucraina è quella uno Stato-cuscinetto, sebbene le divisioni interne al Paese siano un ostacolo a questo scopo. Vi è poi il “nodo del Kosovo” che la Serbia vuole trattare come questione interna all'Unione europea. Si prospettano inoltre problemi con le minoranze russofone degli Stati baltici con i quali andrà trovato un compromesso.  Ormai da anni la Russia sta combattendo una battaglia per stabilire i propri confini: tra il  2001 e il 2004 Putin ha cercato di ricostruire i confini dell'impero interno ri-centralizzando il potere. Dal 2004 l'allora presidente russo ha iniziato invece a ricostruire le proprie frontiere verso l'esterno, con operazioni minori in Georgia e altre ex repubbliche sovietiche. All'Occidente non interessano granché gli aggiustamenti dei confini russi perché la vera guerra sarà quella con la Cina per il controllo delle risorse energetiche dell'Asia centrale. Per quanto riguarda la Russia, sistemato il fronte ovest con l'Europa, il problema è il fronte sud, dove Mosca vorrebbe rafforzare il proprio potere per attingere alle risorse minerarie dei Paesi centroasiatici. In questo quadro gli interessi occidentali e russi convergono».

Occidentali e russi possono allora essere alleati e non rivali in Asia centrale?

«Sì. Rispetto alle ambizioni russe nelle repubbliche centroasiatiche  di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, ricche di risorse minerarie, l'Occidente non si mette di traverso perché ha convenienza che la Russia contrasti l'egemonia della Cina in quest'area e spera di mettersi poi d'accordo con i russi. Si ipotizza inoltre uno scenario in cui potrebbe saltare il controllo della proliferazione nucleare in un mondo basato sull'energia atomica. In questa prospettiva la Russia gioca un ruolo di primo piano. L'Occidente ne è cosciente e per questo lascia a Mosca una certa libertà e permette a Putin di usare un certo linguaggio da “mafioso” o da “nemico” quando va in Venezuela o in Siria. Anche perché gli occidentali sanno che Putin può gestire, almeno in apparenza, i rapporti con questi Paesi a scopi propagandistici interni, ma poi, dietro le quinte “ci si mette d'accordo” sul concreto».

Come si colloca in questo scenario l'Afghanistan?

«Il conflitto afghano deve essere risolto. I russi non possono occuparsene perché sono stati cacciati dall'Afghanistan e allora devono essere gli occidentali a farsene carico.  L'Occidente ha interesse a lasciare le proprie truppe in Afghanistan non tanto per contrastare i talebani o Al Qaeda, ma sulla base di una strategia che punta al controllo delle risorse minerarie, in particolar modo uranifere, dell'Asia centrale».

Il timore dell'Occidente è che Cina e Russia si coalizzino e si spartiscano le risorse dell'Asia centrale ai propri danni?

«Come ho scritto in un mio libro, intitolato la “Grande Alleanza – L'integrazione globale delle democrazie” (edizione Franco Angeli, 2007) , l'interesse occidentale è quello di cercare di evitare che Russia e Cina diventino alleati. Si tratterebbe di un'amicizia forzata, perché i due Paesi in realtà hanno profonde rivalità e divergenze, ma che possono convergere pericolosamente a danno degli interessi occidentali. L'Occidente ha dunque convenienza ad avvicinarsi alla Russia attraverso un approccio economico che permetta alla Federazione di avere un mercato “normale”.  È chiaro che se Mosca fa i soldi solo vendendo petrolio e armi, userà l'energia come strumento di ricatto e gli armamenti per fare i suoi interessi. Ma se il mercato russo inizia a strutturarsi in maniera tale da produrre beni di consumo o prodotti esportabili che non siano gli armamenti, le cose potrebbero cambiare.  Un nuovo modo di rapportarsi con la Russia dovrà essere elaborato dalla prossima amministrazione americana, in maniera concertata con gli europei, anche se gli Stati d'Europa, non avendo una politica estera integrata, è probabile che si muovano come hanno fatto finora: in ordine sparso».

Quanto la dipendenza dal petrolio e dal gas russo influisce sulla politica dei Paesi europei nei confronti di Mosca?

«Il condizionamento è totale. Se la Russia “chiude i rubinetti”, la Germania è morta. E l'Italia pure. Nel 2006 quando l'Unione europea, capitanata da Berlino, ha bloccato l'allargamento a Est, contemporaneamente si è riavvicinata all'amministrazione Bush anche allo scopo di avere più forza per negoziare con i russi. Il presidente francese Nicolas Sarkozy è invece tornato al fianco degli Stati Uniti al fine di ritagliare uno spazio di interesse nazionale per la Francia all'interno dell'azione americana. Sarkozy mira a ottenere un potere delegato, di vice-console degli Usa su un'area che è quella mediterraneo-africana, che è di interesse nazionale francese».

Qual è l'interesse italiano?

«L'interesse del nostro Paese è quello di mantenere ottimi rapporti con la Russia, che avrà un ruolo di primo piano nella partita centro-asiatica, vitale per l'Occidente, oggi un impero in caduta libera. La linea pragmatica di Berlusconi con Putin è efficace».

Nonostante la Russia viaggi ad alti livelli di crescita, che si attestano al 7,9% annui, la sua economia presenta delle fragilità di tipo strutturale. Ce ne vuole parlare?

«Non esiste un'economia russa. In Russia non c'è un mercato che stia in piedi, tutto è finanziato dalle risorse energetiche. In Cina esiste un mercato pur con squilibri notevoli mentre in Russia l'economia sopravvive solo grazie ai settori dell'energia, dell'industria pesante e della tecnologia. Putin si è illuso di poter capitalizzare il sistema interno nazionalizzando le risorse energetiche e tenendo in piedi l'industria pesante. In realtà l'allora presidente e oggi premier russo ha ottenuto buoni risultati grazie all'aumento dei prezzi del petrolio ma adesso che il costo del greggio è in discesa la Russia si trova nei guai».

Secondo alcuni analisti economici (Douglas Reynolds e Mark Kolodziej) la Russia di oggi corre il rischio di un nuovo “Peak Oil”,  un fenomeno simile a quello avvenuto tra il 1986 e il 1997, quando l'Unione Sovietica affrontò un calo del 43% della produzione domestica di petrolio che causò una diminuzione vertiginosa del Pil che portò il Paese sull'orlo del collasso. È possibile che si possa ripresentare un fenomeno di questo tipo?

«Se il prezzo del petrolio scende è chiaro che ci sono meno ricavi per la Russia. Il costo del greggio può diminuire da 140 a 80 dollari al barile ma non tornerà a 20 dollari. È probabile, quindi, che si ridurrà il margine di profitto della Russia ma non il profitto. Inoltre Mosca ha accumulato in questi anni un surplus enorme: ufficialmente si parla di qualche decina di migliaio di dollari, ma in realtà le cifre sono assai maggiori. Con queste riserve Putin sta investendo in tecnologie allo scopo di diventare il più grande fornitore di armi del mondo e riuscire a bilanciare i propri armamenti con quelli occidentali. Il governo russo punta inoltre a esportare uranio,  che possiede in buone quantità.  Il prezzo di questo combustibile ha subìto negli ultimi anni una forte impennata sul mercato mondiale e, se a livello globale si procede, come è probabile, sulla strada dell'energia nucleare, si può ipotizzare che nei prossimi 40 anni saranno costruite mille centrali. E la richiesta di uranio crescerà notevolmente. A quel punto la Russia potrebbe aumentare il proprio business energetico attraverso la vendita di uranio, un materiale molto presente anche in alcune repubbliche centroasiatiche».

Ritiene vi sia un contrasto interno all'élite russa? Esistono divisioni tra il premier Putin e il presidente Medvedev?

«Non ci sono diversità di posizioni nella politica estera russa. Non bisogna confondere la tecnica di negoziato con la politica estera. L'élite russa in questo momento viene gestita con la pistola e con il coltello, nel senso che se qualcuno dice qualcosa di scomodo al Cremlino, viene ucciso. Il sistema di potere russo non è tuttavia stabile. Putin deve esagerare con il linguaggio nazionalista perché è sempre più assediato dal neo-nazionalismo russo che ha anche delle espressioni politiche. Questo aspetto tuttavia non riguarda l'attuale assetto di potere che è blindatissimo. Nonostante Putin faccia la parte del poliziotto cattivo e Medvedev di quello buono, è stato fatto un accordo tra una parte della politica russa legata agli ambienti di intelligence, vicina a Putin, e i nuovi tecnocrati rappresentati da Medvedev. A comandare la politica russa è comunque Putin. Il sistema di potere russo sta accumulando enormi tensioni perché, nonostante l'alleanza tra ex agenti dei servizi segreti e tecnocrati, sta emergendo una nuova generazione di nazionalisti russi, composta da circa 200 personalità, con cui l'attuale establishment politico russo entrerà in conflitto nel futuro. Il vero problema dell'Occidente non è tanto l'eventuale contrasto tra Putin e Medvedev ma quello di capire che cosa faranno i nuovi nazionalisti russi emergenti. L'Occidente deve capire se è meglio sostenere Putin o destabilizzarlo».






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