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IL SOCIALISMO LIBERALE. GLI SCRITTI DI LEO VALIANI NELLA CRITICA SOCIALE

La ricchezza del contributo di cultura politica alla Ricostruzione e al progresso italiano negli articoli dal dopo-guerra agli anni ’90

Data: 2009-10-27

di Carlo Tognoli, Critica Sociale, n.9/2009,

La Critica Sociale ricorda Leo Valiani nel centenario della nascita ripubblicando una serie di saggi e articoli apparsi sulla rivista nel dopoguerra. Politico, giornalista, storico, ‘padre della patria’, fu socialista, comunista, socialista liberale nel Partito d’Azione, indipendente nel PRI da senatore a vita. In realtà fu sempre se stesso, non classificabile se non come democratico che attraversò criticamente il marxismo stimolato dall’aspirazione alla giustizia sociale e all’uguaglianza per il mondo del lavoro, che combatté l’oppressione fascista, che lasciò il comunismo dopo il patto Ribbentrop-Molotov, che approdò a ‘GL’ alla vigilia della guerra, senza mai perdere la bussola della libertà.
Amico di tanti personaggi dell’antifascismo, due volte arrestato nel 1928 e nel 1931, consolidò tra gli altri un rapporto stretto con Sandro Pertini (con il quale fece parte del CLNAI) con Aldo Garosci, con Franco Venturi, con Ernesto Rossi, con Umberto Terracini, con Altiero Spinelli, con Ugo La Malfa, con Giovanni Spadolini, con Raffaele Mattioli e molti altri.
L’attività svolta nell’ambiente di Mediobanca e della Banca Commerciale per molti anni gli fecero acquisire una notevole competenza nel campo economico, che si aggiungeva alla sua grande cultura storico politica.
Particolarmente attento alle vicende e alla storia del socialismo, oltre ai numerosi libri che ha scritto, sono molti gli articoli e i saggi per la Critica Sociale.

FILIPPO TURATI
Il suo richiamo al socialismo democratico è costante. La sua esperienza comunista, sfociata nel socialismo liberale, non gli impedì di fare un percorso simile a quello di Carlo Rosselli il quale, pur attratto dal riformismo turatiano, ideologicamente e metodologicamente condiviso, ne scorgeva le insufficienze sul piano dell’azione politica.
Il saggio dedicato da Valiani a Filippo Turati per il 70° della Critica – “Turati e la sintesi delle tendenze risorgimentali” – è il ritratto di un ‘leader’ legato al suo tempo, ma al quale si deve la nascita e la crescita del socialismo in Italia e il progredire della democrazia.
Valiani critica l’eccessiva fiducia di Turati nella ‘non violenza’ e nella forza educativa del riformismo, riconoscendogli tuttavia di avere propugnato, da solo, ‘un’azione audace’ proprio dopo il delitto Matteotti e, in ogni caso, condividendo la superiorità della politica delle riforme sull’azione violenta:
“…Nessuno più di lui ha incarnato la generosità e la capacità di aiutare ed educare i bisognosi, di costruire un assetto più libero e giusto del precedente e insomma di fare del bene sulla via del progresso nonostante ogni contraddizione”.
Già nel 1957 nel centenario della nascita di Turati (Il contributo al progresso della società italiana) Valiani aveva scritto sulla rivista socialista, richiamando autorevoli giudizi di Antonio Labriola, di Benedetto Croce, di Vilfredo Pareto e di Gaetano Salvemini, che il partito socialista “…sotto la guida effettiva di Turati aveva agito come un movimento di lotta per la democrazia liberale…”.
E ancora – dopo avere richiamato la tiepidezza ‘turatiana’ sulla trasformazione del ‘mezzogiorno’ d’Italia (la stessa critica che muoveva Gaetano Salvemini) e constatata la impossibilità per Turati di partecipare ai governi guidati da Giovanni Giolitti (per attuare e gestire le riforme democratiche e sociali) a causa dell’ostilità della maggioranza massimalista del PSI – Valiani ricorda la lungimiranza del fondatore del PSI a proposito della rivoluzione bolscevica (che solo nei primi mesi suscitò il suo interesse, tramutato presto in giudizio nettamente negativo) e cita il giudizio profetico che diede nel 1919 (congresso di Bologna) sulla maggioranza massimalista che aveva abbracciato, a parole, i Soviet: “…è una farsa che peraltro può tralignare in tragedia, preparando i tribunali di guerra, la reazione più feroce, la rovina del movimento per mezzo secolo, non solo sotto la compressione militarista, ma sotto l’ostilità di tutte le classi medie…”.
Ho dato spazio alle valutazioni su Turati perché spesso ricorrono nei saggi e negli articoli di Valiani, ma non posso tralasciare la citazione di un suo articolo di vera ammirazione per Claudio Treves (Claudio Treves internazionalista-1969): “…Se volessimo dividere, per comodità giornalistica, quel che fu indiviso ed è in verità indivisibile, potremmo dire che Turati fu l’uomo dell’organizzazione dei lavoratori e della legislazione sul lavoro e Treves della democrazia operaia e dell’internazionalismo…Gli davano dell’intellettuale perché rivendicava la necessità dello spirito critico nella propaganda socialista…Claudio Treves disprezzava i demagoghi perché credeva profondamente nella maturazione democratica della classe operaia italiana…”.
Anche in questo articolo c’è un rammarico per la mancanza di decisione in Treves e Turati che pure giudicavano necessaria la partecipazione al governo ‘borghese’ per resistere al fascismo, ma c’è anche la giustificazione di una indecisione dovuta non all’incapacità di comprendere la situazione, bensì alla volontà di mantenersi legati alla classe operaia che, dominata dai massimalisti, come abbiamo visto, non era disposta alla collaborazione governativa.

UN’ANIMA DI FUOCO
La figura di Valiani, ovviamente con le debite differenze che esistono tra personalità di grande talento, può essere avvicinata a quelle di Carlo Rosselli e di Pietro Nenni, un ‘mix’ di socialismo, di ‘libertarismo’ e di passione democratica. Non è un caso che, approdato a Milano imberbe, nella temperie del 1926, si sia avvicinato alla redazione del ‘Quarto Stato’, diretto da Rosselli e Nenni, cui collaborava anche un giovanissimo Giuseppe Saragat.
Riccardo Bauer lo definì “un’anima di fuoco”, il che dà un’idea immediata dell’uomo, del suo carattere, della sua irrequietezza intellettuale, dei suoi molteplici interessi culturali.
Va riconosciuta a Valiani la capacità di avere visto lontano quando lasciò definitivamente il comunismo in occasione del patto di non aggressione tra URSS e Germania nazista. Per la verità già durante la guerra di Spagna era rimasto colpito dalla spregiudicatezza con cui i comunisti si muovevano nel sia pur disordinato campo repubblicano: l’obbiettivo degli stalinisti non erano la democrazia o il socialismo in Spagna, ma gli interessi dell’URSS come potenza.
Nella sua biografia, che pubblichiamo in questo numero, emergono episodi, della sua vita di nomade democratico antifascista, assolutamente avventurosi ed eroici, come la sua decisione di non distinguersi dai comunisti allorché venne arrestato in Francia dopo la guerra di Spagna (pur avendo preso le distanze dal partito) per non apparire ‘opportunista’. Ciò lo avrebbe portato nel campo di concentramento di Vernet (Pirenei) dove avrebbe fatto la conoscenza di un altro comunista in crisi, Arthur Koestler del quale avrebbe letto, per primo, ‘Buio a mezzogiorno”.
Tornando alla Critica Sociale, va rilevato che sono numerosi i suoi testi pubblicati dal 1949 in poi sul socialismo democratico e sul socialismo liberale, a ribadire una tendenza netta e chiara.
Pur parteggiando senza esitazioni per la sinistra e scevro di anticomunismo ‘viscerale’, egli non approvava la stretta alleanza del PSI con il PCI, scrivendo (Gli sviluppi ideologici del socialismo democratico in Italia-1952) che “…questa alleanza socialista-comunista poteva contare su una parte del proletariato, ma contro di esso si schieravano compatti, di nuovo, la media e la grossa borghesia…si sarebbe tornati alla situazione del 1920, con la differenza che una parte notevole dei militanti socialisti di base (e non dei soli dirigenti) sapeva che la vittoria dei comunisti avrebbe significato la loro repressione politica e l’eliminazione definitiva dello stesso partito socialista a profitto del partito unico comunista…”.
Un’analisi perfetta dell’esito delle elezioni del 1948, quando il ‘Fronte Popolare’ subì una netta sconfitta e il PSI dimezzò i suoi voti: dal 20,7% delle elezioni del 1946 per la Costituente a circa il 9% dei deputati eletti nel ’48.

REPUBBLICA PRESIDENZIALE
D’altra parte il suo giudizio sul quadro politico italiano (Socialismo Liberale – 1979) nel momento in cui il PSI sotto la guida di Craxi imboccava senza più remore la via del socialismo democratico e liberale, era molto preciso. Dopo avere osservato che la DC non era un partito liberal-conservatore (come altri in Europa) – “…per la sua tradizione, la sua ideologia, i suoi legami con la chiesa e con le organizzazioni sindacali…” aggiungeva che “…manca in Italia un grande partito socialdemocratico…” – per il prevalere troppo a lungo del marxismo (all’italiana) che ha impedito che si creasse in Italia un partito di democrazia socialista non marxista, lasciando spazio a sinistra alla forza preponderante del partito comunista.
L’ultimo tentativo in tal senso, l’unificazione socialista, fallì nel 1969, ma il fatto che il PSI si ponesse il problema dell’alternanza non egemonizzata dal PCI, andava apprezzata anche perché messa in connessione con l’assetto istituzionale – commentava Valiani.
A questo proposito non va dimenticato che, deputato alla Costituente, esponente del Partito d’Azione, Valiani fu un fervido sostenitore della necessità di tornare alla democrazia repubblicana parlamentare, ma con un esecutivo forte.
Come Piero Calamandrei anch’egli riteneva che un ‘parlamentarismo’ inconcludente avrebbe determinato paralisi e nuovi rischi per la democrazia e fu quindi fautore di una ‘repubblica presidenziale’ che desse al rappresentante eletto dal popolo, la forza del potere democratico.
“…Fui io a scrivere, nell’aprile 1946, il manifesto elettorale del Partito d’Azione che propugnava la soluzione presidenzialista come quella che avrebbe potuto garantire meglio sia la forza riformatrice dell’esecutivo, sia l’alternanza…”. E’ la dimostrazione che l’ipotesi presidenzialista non era il prodotto di una visione autoritaria della politica come ebbero a sostenere comunisti e molti democristiani quando Bettino Craxi rispolverò, insieme ad altre, questa possibile riforma istituzionale per superare la crisi italiana alla fine degli anni ’70.
Forse è anche per questo che il ‘leader’ socialista nel 1992, dopo le dimissioni di Francesco Cossiga, avanzò la prestigiosa candidatura di Leo Valiani per la presidenza della Repubblica.
Ho fatto cenno ad alcune amicizie con autorevoli protagonisti della lotta antifascista e della politica democratica.
Tra queste vanno particolarmente sottolineate quelle con Ernesto Rossi, con Pertini, con La Malfa e con Spadolini,
Il primo lo trascinò alla fondazione del partito radicale nel 1955, che peraltro vedeva la presenza del gruppo de “Il Mondo” e dei liberali guidati da Villabruna. Quì rimase per un paio di anni, auspicando un ricompattamento delle forze socialiste e laiche, da lui ritenute fattore innovativo per la politica italiana, per bilanciare lo strapotere della DC e favorire le condizioni per le riforme, che sarebbero arrivate solo con il primo centro sinistra di Fanfani e Nenni, nel 1962.
Pertini lo nominò senatore a vita permettendogli di riprendere un’attività parlamentare (come indipendente nel PRI) interrotta nel 1948, dopo l’esperienza dell’Assemblea Costituente.
La vicinanza con La Malfa e con Spadolini caratterizzò la seconda parte della sua vita, sia come giornalista commentatore del ‘Corriere della Sera’ che come senatore nel gruppo repubblicano.
A La Malfa era legato, tra l’altro, da una comune sensibilità sui problemi economici, di cui c’è traccia negli articoli che pubblichiamo: ‘Una politica nella realtà finanziaria italiana’,1949 – ‘Note sul bilancio dell’economia nazionale’, 1950 – ‘Il piano CGIL e l’esperienza dei piani esteri’, 1950 – ‘La politica della Banca d’Italia’, 1950. Emerge nei commenti sulla situazione economica di quel periodo, ma anche dopo, la preoccupazione che non venisse innescata la spirale ‘prezzi-salari’ pur nella convinzione che i salari dovessero essere adeguati, per favorire il mercato interno e per ragioni sociali, ma in proporzione alla produttività.
I segni dell’amicizia con Spadolini sono molteplici, ma quello simbolico è la trentennale collaborazione a “La Nuova Antologia”.
Durante il sequestro Moro si espresse per la linea della fermezza, come del resto Nenni e Pertini: la loro esperienza generazionale e il loro carattere non ammettevano alcun compromesso con i terroristi.

INTRANSIGENTE VERSO IL TERRORISMO
E infatti di fronte al terrorismo Valiani fu intransigente quanto lo era stato contro il fascismo e criticò il ‘rovinoso lassismo e i pavidi cedimenti davanti alle infinite violenze nere e rosse’ della classe politica. Apprezzò l’atteggiamento di Pertini, il cui ingresso al Quirinale aveva determinato una svolta nella lotta al terrorismo, con risultati evidenti. Il presidente, affermava Valiani (‘La svolta Pertini-1982) “…ha avuto il merito di denunciare (tra lo scetticismo prevalente) gli aiuti internazionali che il terrorismo riceveva…” dalla Libia, dal Libano, dai palestinesi, con l’interessamento di paesi dell’Est europeo alla Brigate rosse.

La sua vita è stata un esempio di amore per la libertà e per la causa degli oppressi e di disinteresse personale. Il suo percorso politico ideologico è stato coerente con i suoi princìpi e con i suoi ideali di democratico convinto, mai fazioso, sempre tollerante, disponibile, salvo che con gli arroganti, con gli autoritari, con gli intolleranti.
Nella prefazione a ‘Scritti di storia’ (Sugarco,1983) dice di se stesso e della sua cultura storico politica: “…Il mio marxismo non era ortodosso. Le critiche di Benedetto Croce al materialismo storico non mi parevano facilmente confutabili. Gli scritti di Croce, di Guido De Ruggero e Adolfo Omodeo e, in questioni economiche, di Vilfredo Pareto, di Luigi Einaudi e degli altri grandi economisti italiani, mi rendevano familiare il pensiero liberale più maturo…”
“…il movimento socialista dovrebbe andare nel senso di un socialismo liberale, che sappia scartare le tentazioni di nazionalizzazioni o autogestioni classiste anacronistiche e puntare su una programmazione sovranazionale, resa compatibile con la libera economia di mercato e col rispetto e la difesa delle libertà politiche…”. E davanti all’ipotesi del diradarsi della classe operaia in conseguenza dell’avvento della società postindustriale automatizzata e robotizzata: “…Potrebbe rimanere egualmente viva ed immortale l’aspirazione alla comunanza, alla solidarietà, alla giustizia, le versioni socialistiche della libertà, dell’eguaglianza e della fratellanza…ereditate dalle rivoluzioni democratiche borghesi e da tutta la storia dell’incivilimento umano”.






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