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L'ONDA VERDE IRANIANA POTREBBE RIMANERE SENZA LEADER E "INFRANGERSI"

Un movimento per i diritti civili è nato in Iran. Si ipotizza una rivoluzione ma anche una strategia degli ayatollah: usano i leader riformisti per far venire allo scoperto gli oppositori e neutralizzarli

Data: 2010-01-28

Francesca Morandi,

Non una rivoluzione per abbattere la teocrazia islamica ma il riconoscimento dei diritti civili in Iran. È questo l'obiettivo che emerge con forza sempre maggiore dalla protesta di massa che infiamma da otto mesi le città iraniane, nonostante decine di morti e centinaia di arresti tra i dimostranti. Ma il fronte di opposizione potrebbe spaccarsi al suo interno e disconoscere gli attuali leader politici, con conseguenze imprevedibili.

"Dov'è il mio voto?" urlano dalle piazze migliaia di anti-governativi, uomini e donne, che chiedono le dimissioni di Mahmoud Ahmadinejad, al quale contestano le irregolarità elettorali che lo scorso giugno lo hanno riconfermato alla presidenza, sbarrando la strada ai candidati riformisti, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi. Sono tuttavia più complesse le richieste e la composizione del movimento, battezzato l'"Onda Verde" per il colore verde, che è anche simbolo dell'Islam, scelto da Mousavi per la sua campagna elettorale contro l'ultraconservatore Ahmadinejad, dalla quale il movimento Verde trae origine. Il "mowj-e-sabz" (l' "Onda Verde" in persiano) è nato, infatti, prima delle manifestazioni di protesta del giugno 2009, come movimento a sostegno di Mousavi e del suo programma politico, volto innanzitutto a cambiare una leadership radicale, quella di Ahmadinejad, contrassegnata da una politica estera aggressiva, programmi economici fallimentari e da un'ideologia conservatrice che ha ridotto i diritti civili in Iran e isolato il Paese sul piano internazionale.

Dopo l'esito delle urne, che ha portato alla rielezione di Ahmadinejad, la campagna politica di Mousavi ha assunto connotazioni nuove, diventando un polo di aggregazione per tutti coloro che chiedevano l'annullamento del voto. Migliaia di iraniani hanno iniziato a raccogliersi nelle piazze per manifestare il loro dissenso e, sfidando la censura dei media, hanno utilizzato tecnologie come YouTube, Facebook, Twitter e i blogs per denunciare i brogli. Alla brutale repressione del regime, che ha aperto il fuoco contro le folle di dimostranti pacifici e ha dato ordine di picchiare, incarcerare senza processo giornalisti e oppositori politici, il movimento ha reagito rafforzando la propria richiesta di diritti civili, dando vita a un'opposizione anti-governativa che non ha precedenti dalla rivoluzione islamica del 1979.

Finora il movimento Verde ha riconosciuto come propri leader i politici riformisti, ed ex candidati alle presidenziali di giugno, Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, che hanno creato una coalizione chiamata "Il sentiero Verde della Speranza", il cui obiettivo è quello di avviare un processo di riforme. Ma l'Onda democratica iraniana, sebbene si configuri come una forza disgregatrice dell'attuale status quo politico iraniano, potrebbe non produrre una svolta rivoluzionaria, perlomeno a breve termine. Ne è convinto Hooman Majd, scrittore, nato a Teheran ma residente a New York, che in un articolo apparso sulla rivista Foreign Policy, lo scorso novembre, definisce come «irrealistico predire l'imminente tracollo della teocrazia islamica».

Majd, che ha accompagnato i presidenti iraniani Mohammad Khatami e Mahmoud Ahmadinejad nei loro viaggi negli Stati Uniti, sostiene che solo una minoranza dei rivoltosi mira a rovesciare interamente il sistema di potere iraniano. «La maggioranza vuole portare avanti le riforme in modo pacifico e non attuare una rivoluzione», sottolinea lo scrittore, secondo il quale un tale atteggiamento di cautela è anche dovuto alla consapevolezza che una radicalizzazione del movimento potrebbe essere strumentalizzata dal regime per dimostrare che l'Onda Verde non è altro che un movimento sovversivo, sostenuto da trame straniere, per abbattere la teocrazia iraniana e creare una repubblica sottomessa a influenze estere. Ne è un esempio la manipolazione mediatica dell'attentato nel quale è rimasto ucciso, lo scorso 12 gennaio, Massud Ali Mohammadi, fisico nucleare e professore universitario, che il governo di Teheran si è affrettato ad attribuire a «elementi sovversivi» collegati a «agenti sionisti e americani». Ogni supporto dall'estero agli oppositori può risultare, quindi, controproducente, afferma Majd, che ritiene perfino un insulto per gli iraniani essere implicitamente considerati incapaci di forgiare il proprio destino.

L'intellettuale vede nelle attuali proteste anti-regime la continuazione di un movimento che ha preso il via nel 1997 con l'elezione alla presidenza del riformista Khatami e che oggi è culminato in un movimento a difesa dei diritti civili, la cui marcia procederà senza traumi rivoluzionari ma attraverso una battaglia politica lenta e graduale. In questo quadro non si può escludere completamente la possibilità di un compromesso tra il governo di Ahmadinejad e il movimento Verde. Majd osserva, infatti, che in un'apparizione pubblica, all'inizio di gennaio, Mousavi ha elencato le richieste degli anti-governativi ma non ha chiesto, come ha fatto ripetutamente finora, l'annullamento delle elezioni dello scorso giugno e, quindi, la destituzione di Ahmadinejad. A parlare più chiaro è stato Karroubi che, lo scorso 25 gennaio, ha riconosciuto ufficialmente Ahmadinejad come presidente dell'Iran. Mosse che contrastano con gli slogan "Morte al dittatore" apparse in tutte le manifestazioni di protesta, anche le più recenti, e che rafforzano l'ipotesi di una spaccatura tra la leadership di Mousavi e Karroubi e una parte del movimento, composto per la maggior parte da giovani iraniani che anelano a libertà che il regime islamico non potrà mai concedere. Secondo alcuni osservatori l'attuale linea conciliante di Mousavi potrebbe persino rientrare in una strategia, ordita dal regime degli ayatollah, con il quale l'esponente riformista sarebbe connivente, per far venire allo scoperto gli oppositori e neutralizzarli.

L'attenzione è ora puntata su Mousavi, indicato come riformista ma che, in realtà, è tutt'altro che un rivoluzionario democratico. Il suo obiettivo non è certamente quello di rovesciare la teocrazia islamica. Mousavi è uno dei padri del governo degli ayatollah e tutt'oggi resta fedele agli ideali della Rivoluzione di Khomeini, per la quale si è macchiato di gravi crimini.

«Nato nel 1941, alla rivoluzione del '79 fu tra i fondatori del partito Repubblica islamica, l'organo politico particolare del regime khomeinista - spiega un'accurata sintesi apparsa sulla rivista online L'Occidentale -. Direttore del giornale Repubblica islamica, il fedelissimo Mousavi dettò la linea politica di Khomeini. Negli anni Ottanta per la sua devozione verso Khomeini, Mousavi divenne premier ed ebbe un ruolo determinante negli atti sanguinosi del regime, almeno fino al 1989, tra cui si possono contare 144 azioni terroristiche all'estero (fu Mousavi a creare, tra l'altro, Hezbollah, col compito d'uccidere ebrei in tutto il mondo, da Buenos Aires a Tel Aviv), le fucilazioni di almeno 90mila dissidenti politici, la fucilazione di 30mila prigionieri politici in poche settimane nel luglio 1988, l'istituzione del famigerato ministero delle Informazioni e l'inizio degli omicidi a catena degli intellettuali. Mousavi fu tra i fautori della Rivoluzione culturale nelle università, con assassinii tra gli studenti, epurazione dei docenti progressisti e la chiusura delle università stesse che ha causato la fuga di milioni studenti e docenti. (...) Mousavi ha sempre partecipato nei consigli in cui si decideva la politica da seguire in materia atomica. Mousavi negli anni '80 si oppose al rilascio dei prigionieri americani e promosse l'ideologia talebana in versione sciita, tra cui la messa al bando del gioco degli scacchi. Sua fu la fatwa di morte contro lo scrittore Salman Rushdie».

Differenze generazionali spaccano l'opposizione
Alla luce di questi fatti emerge una profonda contraddizione che fa sorgere domande sul perché un movimento, oggi portatore di una richiesta di libertà e diritti, abbia investito della carica di proprio leader un personaggio con un passato da militante in un establishment integralista e assassino, che non ha mai rinnegato. Stando ad alcune analisi Mousavi sarebbe stato posto alla testa dell'Onda Verde in quanto unico candidato in grado di sfidare l'ultraconservatore Ahmandinejad e che, insieme agli altri politici riformisti, Karroubi e Khatami, avrebbe potuto creare un fronte di opposizione credibile al regime.

Mehdi Khalaji, studioso iraniano e membro del Washington Institute nel Dipartimento di politica del Vicino Oriente, afferma che Mousavi, Karroubi e Khatami, gli unici ai quali il regime aveva permesso di candidarsi in alternativa alla rielezione di Ahmadinejad, sarebbero diventati esponenti politici della protesta «per caso», poiché nessuno di essi avrebbe potuto predirre il movimento popolare nato in seguito ai brogli elettorali di giugno. Khalaji, esperto di teologia sciita, afferma che questi presunti leader hanno giocato un ruolo assai limitato nell'organizzare e creare il movimento Verde, e sono stati improvvisamente sbalzati in posizione di comando da una sorta di forza motrice spontanea sprigionata dalla base dell'Onda.

Mousavi, Karroubi e Khatami hanno più volte espresso il loro obiettivo di operare riforme all'interno del sistema teocratico attuale, con un ritorno ai principi originali della Repubblica islamica, di cui non concepiscono un ribaltamento ma una "purificazione" rispetto a dinamiche degenerative legate a corruzione e giochi di potere. Secondo Khalaji, l'opposizione di Mousavi ad Ahmadinejad è dovuta principalmente a rivalità politiche interne al regime e a divergenze che si limitano alla politica economica e culturale. Per questo, nell'ipotesi che Mousavi avesse vinto le elezioni dello scorso giugno, la sua presidenza non avrebbe segnato una svolta significativa nella posizione iraniana in materia nucleare e nel suo ruolo di potenza regionale. «Tutti coloro che hanno corso per la presidenza di Teheran concordano sul fatto che ogni decisione relativa alla politica estera ricade nella giurisdizione del leader Supremo, l'ayatollah Ali Khamenei», sottolinea lo studioso, secondo il quale i veri leader del movimento sono centinaia di giovani, uomini e donne, che appartengono alla terza generazione post-khomeinista, sempre più secolarizzata e aperta all'Occidente: studenti, attivisti dei diritti umani e bloggers, che compongono oggi un'opposizione assai più vasta di quella che negli anni Novanta chiedeva riforme al presidente Khatami. All'epoca i manifestanti erano 50mila, oggi sono tre milioni di persone. Sono loro i reali sovversivi, rileva Khalaji e non Mousavi, Karroubi e Khatami, che, nascostamente, temono un eventuale successo del Movimento Verde. Le folle di giovani puntano oggi a sovvertire il sistema politico iraniano, non a riformarlo come si limiterebbero a fare i politici moderati.

Concorda con questa analisi Amir Taheri, dissidente iraniano che, in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Foglio, afferma come «il movimento sia passato dall'idea di riforma del regime alla volontà del suo abbattimento» e denuncia «la doppiezza di chi ha guidato la rivolta, fra il passato della repubblica islamica e l'idea di un nuovo Iran». Secondo Taheri, «L'ayatollah Ali Khamenei non è più una guida suprema dell'Iran e l'Iran non è più una repubblica islamica, è la dittatura dell'imam, è una specie di emirato come quello imposto dai Talebani in Afghanistan».

«Il concetto di repubblica islamica era una bugia fin dall'inizio, un ossimoro - sottolinea il dissidente - Non può esserci repubblica nell'Islam. C'è oggi una dittatura basata sulla forza».

Che cosa chiede l'Onda Verde?
A fronte delle spaccature e incongruenze finora esposte, risulta difficile definire le vere richieste del  Movimento Verde, anche perché le analisi fatte in Occidente, seppur da iraniani, possono facilmente cadere in errori di attribuzione di ideali desiderati, piuttosto che oggettivi. Necessita, quindi, cautela la lettura dell'elenco redatto da cinque intellettuali iraniani residenti all'estero - Abdolkarim Soroush, Akbar Ganji, Mohsen Kadivar, Ataollah Mohajerani e Abdolali Bazargan - che in un articolo pubblicato da RadioFreeEurope, descrivono in dieci punti gli obiettivi degli oppositori. Ovvero:

  • - Le dimissioni di Ahmadinejad
  • - Il rilascio dei prigionieri politici e indagini sui casi di presunte torture e abusi ai danni dei manifestanti
  • - La libertà dei media e da ogni filtro governativo a Internet
  • - Il riconoscimento del diritto di associazione di partiti politici, studenti, movimenti per i diritti delle donne e dei lavoratori, e del diritto di inscenare proteste pubbliche pacifiche
  • - L'indipendenza delle università e l'espulsione delle forze militari dagli atenei e l'abolizione del Consiglio Supremo della Rivoluzione culturale
  • - Perseguire legalmente coloro che sono stati coinvolti in casi di torture e uccisioni negli ultimi mesi
  • - L'indipendenza del sistema giudiziario, inclusa l'elezione dei suoi leader e l'abolizione delle corti speciali presiedute da religiosi
  • - L'espulsione delle forze militari dagli ambiti della politica, dell'economia e dalla cultura
  • - L'indipendenza del clero dall'establishment
  • - Verificare la correttezza dell'operato di alti esponenti del governo e porre limiti al loro mandato di governo

Si tratta di rivendicazioni volte a chiedere garanzie democratiche e a limitare l'influenza religiosa sul sistema politico, giudiziario e culturale, ma non c'è una richiesta di laicità dello Stato, né viene messa in discussione la costituzione iraniana, nata con la rivoluzione del 1979, che si ispira alla legge coranica, la sharia. Finora il Movimento Verde non ha negato apertamente la presenza della religione nelle dinamiche politiche iraniane e, anzi, ha riconosciuto come proprio leader spirituale il grande ayatollah Hossein-Ali Montazeri, la cui recente scomparsa, lo scorso dicembre, ha riacceso violente proteste anti-governative. Montazeri, da anni voce critica del regime, era considerato il rivale storico di Khamenei, un ruolo, quello di oppositore all'attuale establishment, che rende evidente il suo legame con il Movimento Verde e i leader riformisti.

I Guardiani della Rivoluzione e i conservatori insieme contro il cambiamento
A giocare un ruolo cruciale nella repressione del movimento Verde sono i Guardiani della Rivoluzione (o Pasdaran in persiano), il corpo militare nato per preservare gli ideali della rivoluzione khomeinista del 1979, che oggi sta aumentando vertiginosamente la propria influenza all'interno della struttura di potere iraniana. Sarebbe proprio l'accrescimento di potere dei Pasdaran ad aver contribuito a provocare la frattura che sta attraversando i vertici della Repubblica iraniana, dove è in corso una lotta di potere tra l'ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani, che si è schierato con i dimostranti scesi in piazza, e Khamenei, dal 1989 Guida suprema dell'Iran.

«Ma la religione non c'entra», ha spiegato lo studioso statunitense Edward Luttwak in una recente intervista alla Critica Sociale, affermando che, nonostante i due ayatollah (titolo di grado elevato che viene concesso agli esponenti più importanti del clero sciita, n.d.r.) Rafsanjani e Khamenei siano rappresentanti dell'establishment religioso «a renderli avversari è una battaglia politica per il controllo del Paese». Nel quadro di questa rivalità si innesterebbero correnti avverse che raggrupperebbero da un lato personalità che si oppongono alla cricca di Khameni, che include Ahmadinejad e i Pasdaran, e dall'altra i loro sostenitori.

Secondo alcuni osservatori, come l'accademico Ali Ansari, direttore dell'Institute for Iranian Studies dell'Università di Saint Andrew's in Scozia, si sta attuando una progressiva militarizzazione della politica iraniana, ma non nel senso tradizionale del termine. Ansari sostiene l'esistenza di una saldatura tra la destra intransigente e la Guardia rivoluzionaria che avrebbe portato a «una trasformazione in senso securitario dello Stato attorno alle esigenze di un conglomerato d'affari sempre più sproporzionato, che confonde i propri interessi con quelli della nazione». Per assicurarsi la continuità del proprio potere, contro ogni minaccia riformista, la destra di Khamenei avrebbe infatti offerto ai Pasdaran posizioni economiche di rilievo in cambio della propria fedeltà e protezione. La Guardia rivoluzionaria, che avrebbe avuto un ruolo nelle manipolazioni elettorali di giugno, è tuttavia frammentata in quanto contiene elementi «che non amano Ahmandinejad e non vedono di buon occhio una politica estera di contrapposizione che li metterebbe in prima linea in un eventuale conflitto». Secondo Ansari le Guardie stanno prendendo progressivamente il controllo dell'Iran e non esclude l'ipotesi di una rivolta militare contro Ahmadinejad, le cui posizioni sono giudicate non  sufficientemente conservatrici.







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