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ROSARNO. LA CRONACA DI UNA SCOSSA (SPERIAMO) PER L'ITALIA

A Rosarno tutti hanno ragione, residenti e immigrati. Ma non vince nessuno. Tutti urlano la rabbia, ma nessuno la sente. Per questo è necessario investire per garantire la massima sicurezza possibile al Paese, ai cittadini autoctoni e a quelli stranieri

Data: 2010-02-06

Salvatore Licata,

Dalla visita al Museo dell'Immigrazione di Ellis Island a New York ho imparato. Dalla visita nelle banlieue parigine ed il confronto con gli operatori sociali francesi a Parigi ho imparato. Ho imparato a non negare che per creare un contesto di integrazione bisogna volerla. Bisogna dimostrarla ed attuarla con azioni concrete a tutti i livelli ed in tutte le sedi possibili: politiche, sociali, economiche, lavorative, scolastiche, educative, famigliari.
A Rosarno, provincia di Reggio Calabria, tutti hanno ragione, residenti ed immigrati. Ma non vince nessuno. Tutti urlano la rabbia, ma nessuno la sente. La rabbia di essere umano a metà. Si impara a sopravvivere ed a trovare "modi di adattamento", come direbbe Robert K. Merton, nella continua ricerca di mete e mezzi, molto spesso poco legali e al limite del principio di civiltà. La legge nazionale e le norme di convivenza politica, sociale ed economica potrebbero essere facilmente ed evidentemente, messe in discussione. Basterebbe partire dall'analisi del tasso di disoccupazione locale, come ad esempio quello di Rosarno, ed analizzare le situazioni di benessere, spesso sfacciatamente evidenti, per chiedersi da quale lascito ereditario emergano determinate "mete culturali". I "mezzi" utilizzati fanno parte di un processo di omertà sociale che evidenzia come si creano le norme socio-culturali locali.  Le leggi nazionali sono diverse?
Rosarno è un comune di 15.885 abitanti situato in un'area densamente popolata, circa 180.000 abitanti, la Piana di Rosarno. La cittadina è snodo ferroviario ed autostradale di primaria importanza e si trova al centro di due comprensori con consistenti prospettive di sviluppo (la provincia di Reggio Calabria e quella di Vibo Valentia). Dal punto di vista occupazionale risultano sul territorio del comune 21 attività industriali con 105 addetti, pari al 6,09% della forza lavoro occupata, 264 attività di servizio con 555 addetti, pari al 32,19% della forza lavoro occupata, altre 222 attività di servizio con 606 addetti, pari al 35,15% della forza lavoro occupata e 21 attività amministrative con 458 addetti, pari al 26,57% della forza lavoro occupata. Risultano occupati complessivamente 1.724 individui, pari all' 11,45% del numero complessivo di abitanti del comune.
Di finanziamenti e sviluppo per la Calabria, con contributi nazionali ed europei, se ne parla da tanti anni. Ma in proporzione ai fondi già stanziati, i risultati sociali non si vedono. Non si vedono al punto che, pur impegnati, bisognerebbe valutare quanti capitali non vengono spesi, purtroppo... Di chi la colpa? Lassismo, inefficienza, mancanza di progetti e di idee? Servirebbe un'azione interforze per verificare, non soltanto ciò che è illecito, ma anche se sono state fatte, e come, tutte quelle azioni lecite, finalizzate allo sviluppo ed alla crescita di un Paese e, a questo punto,  incentivarle. Non dando finanziamenti a fondo perduto e verificati solo sulla carta, ma controllando ogni singolo finanziamento in fase applicativa, con strategie ad hoc e agenzie informative interforze di contrasto ad organizzazioni criminali.
In Calabria, in nero, non lavorano solo le persone di colore. La piaga del lavoro "onesto" in Calabria è un problema vecchio e risaputo. Il caporalato a tutti i livelli è la norma. Dove sta la legge? "Pizzo", oltre ed essere una bellissima località turistica, è un'arcaica ma sempre attuale forma di "tangentizzazione". Si vive guadagnando oppure assistiti-arricchiti dal sudore del lavoro degli altri. L'espressione e la ricerca di un'appartenenza a qualcuno o a qualcosa è un sistema di sicurezza anomico, privo cioè di norme, intese come leggi nazionali, ma ricco di norme condivise localmente. Condivise a tutti i livelli di gruppi e lobby. Tutto si può fare, se conosci. Il diritto civile è un'altra cosa. I doveri sociali si sono totalmente dispersi a favore di fittizi ed edonistici principi.
La notte di rivolta civile del 7 gennaio 2010, passata la Befana, in un paese come Rosarno, deve essere stato un brutto sogno per molti. Quei molti, ostaggi, che non stavano né da una parte né dall'altra, subivano, ancora una volta. Non una guerra tra poveri ma una guerra tra ostaggi. Ridotti in condizioni di passività e di immagine di sè, costruita dai media e dalla naturale ed atavica condizione storico-sociale. Essere passivi ed attendere.  Ecco le vere vittime.  "Statti cittu e musca". Stai zitto e taci. La soluzione a tutti i problemi. Minimizzare e non comprendere fino in fondo il fenomeno, però, non serve a nessuno.
L'economia agricola del sud vive sostanzialmente grazie a personale precario ed immigrato, non in regola. Questa è la fase "gavetta" degli immigrati in Italia, ogni etnia con il proprio lavoro o specializzazione. Una volta messi in regola e saputa meglio la lingua ci si trasferisce al nord per ricercare una condizione di vita migliore.
Basta riflettere e pensare: le persone di colore utilizzate dove dormono? Dove mangiano? Dove vanno in bagno? Quali indicatori di legalità, luoghi, mezzi, servizi, riferimenti, trasparenti e legali?
Si è tutti ostaggi di un mal costume. Ostaggi, in Calabria, ricorda il sequestro di persona, rito molto in uso per la ‘ndrangheta che non aveva fatto ancora il salto di qualità trasformandosi in un' organizzazione dai colletti bianchi.
Si parla del problema Rosarno, perché? Del nord-africano sprangato ed ucciso a Milano solo qualche mese fa abbiamo sentito la notizia, ma non abbiamo assistito o partecipato ad una riflessione collettiva. È stato giusto morire a colpi di spranga di ferro per il furto di un pacco di biscotti? Si parla di Rosarno perché c'è stata una rivolta. Una scossa, come la definirebbe Elias Canetti.
Scossa come terremoto. Rosarno come Haiti, evidenzia un dramma e richiede una risposta. Una risposta vera e concreta. Sarebbe un peccato grave non reagire costruendo risposte legali e condivise. Senza giocare a pensare di chi è la colpa, esercizio terribilmente fine a se stesso... ma agire con azioni positive. Costruire un paese nuovo, che sappia davvero accogliere, definire regole. Poche, chiare, concrete e trasparenti, finalizzate alla nuova Italia legale. Una Italia unita che evidenzia problemi uguali da Milano a Rosarno. A quel punto si che potremmo paradossalmente dire grazie alla rivolta di Rosarno. Rivolta degli immigrati e rivolta dei cittadini che reagiscono e non subiscono silenziosamente e basta.
Chi raccoglie adesso le arance a Rosarno? Quali nuovi caporali sono emersi?... O erano già pronti? È solo un problema di rispettare nuovi accordi e nuove convenienze? Oppure, per evitare troppo clamore, i proprietari terrieri si affideranno alle leggi di settore, che permettono di avere dei finanziamenti senza raccogliere i frutti? Certamente come ogni buona azienda, anche illegale, bisogna fare i conti con il business. Bisognerebbe mantenere aperte le telecamere in modo oggettivo sugli sviluppi, certamente silenziosi, della vicenda. Meglio se, con un'azione investigativa di contrasto e non giornalistica, si riscontrasse la verità sul luogo del "delitto" con delle indagini tradizionali, silenziose ed efficaci.
E ancora una domanda: ma chi raccoglie le mele in Trentino? Di qualsiasi colore siate, buon lavoro a... chi ce l'ha! Ed un saluto a chi attende la rinascita di un contesto legale, con uno Stato artefice e protagonista, con un lavoro regolare ed effettuato non solo se conosci o appartieni. Speriamo che la cronaca di Rosarno sia una vera scossa per l'Italia e non la solita visione stigmatizzata di un problema solo meridionale.
Per concludere... l'Italia, porta dell'Europa per l'immigrazione dal sud del mondo, ha bisogno di essere protagonista e punto di riferimento per le altre nazioni europee e non un esempio in negativo. La realizzazione dei Centri di raccolta di informazione e di studio delle problematiche di disgregazione sociale, terroristico-malavitose con connessioni internazionali, comportano dei costi di realizzazione. Bisogna investire per garantire la massima sicurezza possibile al Paese, ai cittadini autoctoni ed a quelli stranieri in regola con le leggi. Se non agiremo così, si continueranno ad applicare solo e soltanto dei cataplasmi, si proseguirà con azioni varie, sconnesse, scoordinate, incoerenti e fini a se stesse, arrecando danni all'unità nazionale e senza mai risolvere problemi reali né sanare la nostra Nazione.
L'Italia ha bisogno, solo, di soluzioni lungimiranti e concrete.


Salvatore Licata è professore di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale presso l'Università Bicocca di Milano e presidente della Associazione italiana psicologia e scienze investigative (Aipsi)






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