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VERSO UNA COALIZIONE LIB-LAB

Politiche in Gran Bretagna. Un quarto mandato per il Labour?

Data: 2010-04-21

Fabio Lucchini, Critica Sociale, 21 aprile 2010,

I conservatori britannici cominciano a intuire il rischio di una clamorosa sconfitta nelle imminenti elezioni politiche del 6 maggio. La crescente popolarità del leader liberaldemocratico Nick Clegg sta infatti scompaginando i piani di David Cameron, sino a poche settimane fa pressoché certo della vittoria. E invece, dopo tredici anni, non è affatto scontato che la lunga egemonia laburista sulla politica britannica stia giungendo al termine in favore della restaurazione Tory. Anzi, la situazione sul terreno potrebbe essere favorevole per la concretizzazione di un vecchio e ambizioso progetto del progressismo britannico: una coalizione Lib-Lab al governo. Uno scenario reso possibile dalla lenta rimonta di Gordon Brown nei sondaggi e dalla rapida ascesa del leader dei Lib-Dem che, dopo essere stati limitati per anni nella loro rappresentanza parlamentare a causa dei meccanismi elettorali britannici, potrebbero finalmente riuscire a ritagliarsi un significativo ruolo politico.

Il primo ministro mostra segnali di apertura, confermando le sue perplessità rispetto alle proposte Lib-Dem di politica economica ma riproponendo l'urgenza di un "progressive consensus". L'obiettivo è traghettare il paese fuori dalla crisi e rilanciare l'agenda riformatrice che ha permesso al New Labour di rappresentare per oltre un decennio l'unica sostanziale novità nel quadro della declinante sinistra europea. Secondo la sua natura, il premier nelle uscite pubbliche cerca di glissare sul tema delle ultime settimane, la "Cleggmania", che ha fatto sì che il quarantatreenne leader del "Terzo parito" sia diventato il personaggio più ricercato in questa fase finale della campagna elettorale, anche grazie alla brillante performance nel duello televisivo con Cameron e Brown il 15 aprile scorso. Il suo livello di gradimento è più che raddoppiato in meno di un mese, raggiungendo il 41% dei consensi in un'indagine condotta nel mondo degli affari britannico. Un successo personale che gli permette di staccare Brown, fermo al 28%, e di ridurre le distanze da Cameron, attestato al 65 (dati Comres/Independent).

Il portavoce liberaldemocratico sulle questioni economiche e finanziarie, Vince Cable, non chiude affatto la porta all'ipotesi di sodalizio elettorale con i laburisti. Quando gli si domanda se sia disposto a diventare ministro a fronte di un hung parliament, il parlamento diviso, senza una chiara maggioranza, che potrebbe uscire dalla prossima tornata elettorale, Cable risponde laconicamente: "Agiremo sempre nell'interesse del paese e non seguendo logiche di parte." Del resto, una certa convergenza Lib-Lab è parsa emergere dai commenti relativi alla presentazione del manifesto programmatico dei Tory, che Clegg ha subito definito "il trionfo della forma sulla sostanza", elencando poi una lunga serie di motivi per cui i cittadini britannici can't trust the Conservatives, non possono fidarsi dei conservatori. "Non vi si trova alcunché che possa rafforzare la ripresa economica. Anzi, le misure proposte dai Tory mettono a rischio ogni prospettiva di rilancio dell'economia nazionale", gli ha fatto eco Brown a breve giro di posta.

Ciò non significa necessariamente che Brown e Clegg si stiano risparmiando critiche reciproche per concentrarsi contro un avversario comune, ma il fatto che i toni usati dai principali leader dei due partiti nei confronti delle proposte Tory appaiano simili non deve essere sottovalutato. In particolare, si sottolineano la vacuità delle promesse di cambiamento di Cameron e George Osborne (l'attuale cancelliere ombra che diventerebbe il ministro del Tesoro di un governo Tory), la "tenerezza" dei conservatori nei confronti di banchieri e finanzieri e l'iniquità delle politiche fiscali e sociali che hanno in animo di proporre una volta insediatisi a Downing Street.

Da parte loro, i Tory cominciano ad avvertire il pericolo dell'accerchiamento. "Vota Clegg, riavrai Brown" è il mantra ripetuto nervosamente da molti esponenti conservatori, che non a caso stanno intensificando i loro attacchi ai Lib-Dem in tema di immigrazione, sicurezza interna e Unione Europea. "Se volete svegliarvi il 7 maggio ed essere assolutamente certi di poter contare su una nuova leadership e di non rimanere invischiati in altri cinque anni caratterizzati dalle politiche inefficaci e dannose di Gordon Brown, non vi resta che accordare il vostro voto ai conservatori", ha ripetuto recentemente Cameron in un comizio a Swindon.

Nel frattempo, anche Lord Peter Mandelson, una delle voci più ascoltate in seno al partito di governo, ha dato il suo beneplacito all'ipotesi di imbarcare i liberaldemocratici nella battaglia per rimanere a Downing Street. Alla testa della campagna elettorale del Labour, Mandelson non ha risparmiato frecciate alle proposte politiche dei Lib-Dem, ma ha anche tenuto a sottolineare che un governo di coalizione non sarebbe un disastro. E' la prima volta che un leader laburista di primo piano discute apertamente dell'ipotesi di un'alleanza Lib-Lab alla guida del Paese. Un'alleanza che preveda la presenza di ministri liberaldemocratici in un esecutivo presieduto nuovamente da Gordon Brown. In una nota riservata ai membri del partito, ripresa e divulgata dal quotidiano The Independent, Mandelson sostiene di non essere contrario di principio a un governo di coalizione (suo nonno fece parte del gabinetto di guerra di Winston Churchill) e che qualsiasi opzione sarebbe preferibile a un esecutivo controllato da Cameron e Osborne. Comunque, ha ribadito, "un voto per i Lib-Dem sarebbe in ogni caso la seconda miglior scelta". L'attuale ministro delle Attività Produttive ha proseguito sottolineando che un governo bipartitico come quello che potrebbe uscire dal voto del 6 maggio dovrà trovare una comunione di intenti intorno a una sfida condivisa. Motivo per cui Mandelson invita i sostenitori dei liberaldemocratici a votare Labour nei cosiddetti cento "collegi marginali", in modo da garantire un quarto mandato consecutivo ai laburisti e una riforma del sistema elettorale per la Camera dei Comuni.

Proprio l'allocazione dei "collegi marginali" giocherà un ruolo decisivo nella sfida di maggio, anche se in questo momento sono altri i dati che attirano l'attenzione degli osservatori internazionali, particolarmente incuriositi dall'exploit personale di Clegg. Secondo un sondaggio di YouGov per The Sun, i Lib-Dem sarebbero addirittura il primo partito con il 33% dei consensi, contro il 32 dei Tory e il 26 del Labour, anche se, data la natura prettamente maggioritaria del sistema elettorale britannico, la ripartizione dei seggi a Westminster non seguirebbe affatto le suddette proporzioni. Infatti, in questo momento i conservatori si aggiudicherebbero 310 seggi, i laburisti 259 e i liberaldemocratici soltanto 51 (dati divulgati dalla società di consulenza politica Dod's).

Tuttavia, non è questo il nocciolo della questione, poiché decisivo si rivelerà il risultato della competizione nei cento collegi marginali attualmente detenuti dai laburisti (ottanta) e dai Lib-Dem (venti), nei quali i conservatori persero di stretta misura nelle politiche del 2005, le ultime vinte da Tony Blair. Un sondaggio condotto da Crosby/Textor per il Daily Telegraph prima del dibattito televisivo dei tre leader del 15 aprile, evidenziava il vantaggio Tory nei collegi contesi. Attestati al 43%, soverchiavano sia il Labour (31%) che i liberaldemocratici (20%). Considerando che i conservatori necessitano di strappare agli altri due partiti almeno 117 seggi per assicurarsi la maggioranza in parlamento di 650, un risultato così lusinghiero costituirebbe il viatico per formare un governo monocolore dopo le elezioni di maggio. Ma è proprio questa considerazione, unita al fatto che nell'ultima settimana il vantaggio di Cameron si è ridotto, a rilanciare le prospettive Lib-Lab. I leader laburisti e liberaldemocratici avrebbero infatti l'interesse a stringere accordi pre-elettorali nei suddetti collegi contesi, in modo da dirottare i voti dei rispettivi elettorati sui candidati (laburisti o liberaldemocratici) che andranno a competere con i conservatori. Caso per caso, si deciderebbe su quale cavallo puntare per sconfiggere il candidato di collegio conservatore. In questo modo, sarebbe praticamente impossibile per i Tory recuperare i seggi necessari per costituire una maggioranza a Westminster. Piuttosto, si configurerebbe una base parlamentare in grado di appoggiare un nuovo gabinetto Brown con la partecipazione di Clegg e compagni.

In occasione delle ultime tornate elettorali, Tony Blair aveva sempre declinato ogni possibile alleanza con i Lib-Dem, convinto (a ragione) di poter prevalere in solitudine, ma le circostanze attuali sembrano spingere verso una vecchia suggestione politica da anni ventilata da molti esponenti del progressismo britannico, ossia la definitiva evoluzione in senso liberale del New Labour. Terminata l'era Blair, sembrava che il partito, o parte di esso, fosse intenzionato a rimettere in questione la svolta epocale del 1994, ma le difficoltà incontrate nell'azione di governo in questi anni sembrano spingere i laburisti britannici alla rivalutazione del leader che ha guidato la loro riscossa negli anni novanta.

Robert Philpot, ex direttore della rivista Progress, scrivendo per il nostro giornale all'inizio del terzo mandato di Blair, sosteneva che per comprendere la portata del successo del New Labour fosse importante ricordare in che misura i Tory avessero dominato la politica britannica nel ventesimo secolo. L'avvento del suffragio universale all'alba del secolo scorso, con l'affrancamento della working class della quale il Labour Party si considerava il rappresentante, non era stato in grado di garantirne il successo, come molti a sinistra avevano sperato. Nell'arco del secolo, invece, i conservatori avevano saputo mantenere il potere, soli o in coalizione, per ben sessantasette anni. Geoffrey Wheatcroft, autore di uno studio, The Strange Death of Tory England, aveva spiegato come i conservatori non fossero mai rimasti a lungo lontani dal potere anche quando venivano battuti. Tutto questo, proseguiva Philpot, è cambiato con l'avvento di Blair, che non ha mai nascosto l'intenzione di fare del XXI secolo un'era progressista, tentando di sanare la storica frattura con il Partito Liberale (dal 1988 Lib-Dem) che risaliva agli inizi del ‘900. Con Blair il Labour ha ripreso ed enfatizzato proprio quei temi - riforma costituzionale, libertà civili ed Europa - che più hanno stimolato la middle-class sostenitrice dei liberaldemocratici. Blair è arrivato molto vicino ad abbracciare l'obiettivo primario e a lungo perseguito dai liberali britannici - la rappresentanza proporzionale - promettendo (come fa oggi Mandelson) una revisione del sistema elettorale. Nelle elezioni del 1997 e del 2001, il New Labour ha ampiamente raccolto i frutti di questa strategia. L'enorme consenso ottenuto dal Labour è stato per lo più dovuto alla conquista di voti conservatori e, aspetto fondamentale, alla volontà degli elettori Lib-Dem di votare tatticamente il Labour. La forza dei Tory in Parlamento è stata arginata, inoltre, dal naturale corollario di questa tendenza: la volontà degli elettori laburisti di appoggiare i liberaldemocratici in quel piuttosto ristretto numero di circoscrizioni nelle quali rappresentavano il principale sfidante dei conservatori. Nelle elezioni del 2005 si sono registrati i primi segnali di scricchiolamento di questa informale alleanza progressista. Labour e Lib-Dem hanno sempre più spesso cominciato ad attaccarsi a vicenda. Sebbene la guerra in Iraq fosse uno degli elementi della campagna anti-Labour, i liberaldemocratici hanno sfruttato anche l'issue della tiepida posizione del secondo e terzo governo Blair nei confronti dei temi della rappresentanza proporzionale, della riforma costituzionale e delle libertà civili.

Il Labour ha inoltre mancato di fornire una risposta coerente alla sfida liberale, attaccando i Lib-Dem da una prospettiva in qualche modo socialmente conservatrice, accusando il partito di essere troppo indulgente sulla droga, il crimine e il comportamento anti-sociale. Questo può forse aver convinto quella parte di working-class già sostenitrice del Labour che era tentata di votare il Terzo Partito, ma ha fallito nel conquistare i liberal della middle-class e ha alienato molti elettori progressisti, concludeva Philpot.

Ora, le urgenze elettorali e la necessità di un cambio di marcia nell'azione di governo ripropongono l'opportunità di una convergenza per sollevare e rilanciare la Gran Bretagna dopo la dura crisi economica dello scorso anno. La testimonianza di Philpot dimostra come l'opzione sia sul tavolo da tempo; la recente Conference laburista di Brighton (settembre-ottobre 2009) ha rilanciato il dibattito. In quell'occasione, Neal Lawson, presidente del think tank laburista Compass, ha presentato un'iniziativa nata in seno alla galassia Lib-Dem, il Social Liberal Forum. Gli esponenti del Forum evidenziano come negli ultimi anni il Social-liberalismo si sia affermato come il filone più vitale all'interno del partito guidato da Clegg. Secondo Lawson, è tempo di lavorare per l'unità delle forze che condividono un orizzonte progressista e forse tocca al New Labour fare un passo avanti, comprendendo il ruolo del liberalismo nell'ideazione di quello Stato del benessere che ha accompagnato l'Occidente europeo verso la democrazia e la stabilità. Un ostacolo insidioso e sinora invalicabile intralcia peraltro la realizzazione della prospettiva brevemente descritta: in Gran Bretagna, ma anche altrove in Europa, la miope amplificazione di differenti interpretazioni di singole issue finisce con il cristallizzare e giustificare la divisione tra culture politiche che molto avrebbero invece da condividere e realizzare insieme. Tuttavia, le evoluzioni inattese delle ultime settimane pre-voto potrebbero determinare una decisa, e forse definitiva, accelerazione del processo di avvicinamento tra laburisti e liberaldemocratici.







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