Critica Sociale, 26 aprile 2010,
Dalla seconda guerra mondiale in poi, il sistema elettorale maggioritario britannico ha impedito la formazione di coalizioni governative. Tuttavia, il successo personale che il leader liberaldemocratico Nick Clegg sta ottenendo nella campagna elettorale in corso potrebbe cambiare le carte in tavola. Le speculazioni si susseguono. Nel caso il 6 maggio prossimo non dovesse emergere dalle urne una maggioranza solida in parlamento, il ruolo dei Lib-Dem sarebbe fondamentale per costituire un nuovo governo. Uno scenario sgradito a David Cameron, se si considera che all'inizio della campagna elettorale appariva pressoché certo che i Tory potessero aggiudicarsi largamente la contesa e formare un governo monocolore a Westminster. Date le circostanze attuali invece, l'apporto del Terzo Partito risulterebbe decisivo per la nascita di un esecutivo stabile. Un'ottima notizia per il Labour, che rientra così in corsa per un inatteso quarto mandato.
In effetti, le divisioni tra Lib-Dem e laburisti sono meno profonde rispetto a quelle che separano i liberaldemocratici dai conservatori. Alleanza formale, accordo pre-elettorale sui singoli collegi o tacito sostegno in parlamento; sono varie le opzioni praticabili per una convergenza Lib-Lab. Alla vigilia del secondo dibattito televisivo tra i tre leader, lo scorso 21 aprile, Gordon Brown ha fatto appello a un'alleanza progressista per evitare l'affermazione dei Tory, mentre, in precedenza, Peter Mandelson non aveva affatto escluso l'opportunità di lavorare a un governo di coalizione.
Certamente, sussistono delle precondizioni alla realizzazione di un'alleanza (formale o informale) con i Lib-Dem. Il partito guidato da Clegg ambisce da tempo a un riforma del sistema elettorale britannico in senso proporzionale, in linea con i sistemi largamente in adozione nell'Europa occidentale e con la speranza di capitalizzare finalmente una forza elettorale che si attesta generalmente tra il 20-25%. Un valore peraltro che si è sensibilmente irrobustito negli ultimi giorni in seguito alle performance mediatiche di Clegg. Se i conservatori sono largamente contrari alla riforma elettorale, il Labour non ha mai fatto mistero della sua disponibilità a discuterla.
L'ipotesi di un governo Brown appoggiato dai Lib-Dem trova anche conforto in una prescrizione della (non scritta) Costituzione britannica, che consentirebbe all'attuale primo ministro di esperire il tentativo di formare una maggioranza di governo anche in caso di sconfitta elettorale. A patto che, ovviamente, nessun altro partito (ossia i Tory) ottenesse dalle urne la maggioranza assoluta in parlamento.
Stephen Castle dell'International Herald Tribune cita in proposito un paper prodotto dalla Libreria della Camera dei Comuni sugli hung parliament (i parlamenti "appesi", divisi, senza una chiara maggioranza); il testo recita: "Se nessun partito raggiunge la maggioranza, il governo uscente rimane al suo posto e può dare vita a una fase negoziale nella quale tentare di costruire una coalizione o decidere di tentare di governare pur esprimendo una minoranza del membri del parlamento." Nel biennio 1977-78, ricorda Castle, il Labour governò con il supporto del Partito Liberale (il predecessore dei Lib-Dem), senza tuttavia trasformare l'accordo in una vera e propria coalizione.
Clegg accetterà dunque la proposta avanzata pubblicamente da Brown? Nascerà l'alleanza progressista che, pur ventilata da molti, non si è concretizzata negli anni di Blair? I punti di contatto politici esistono e una discussione costruttiva è sicuramente possibile in tema di fisco, istruzione, regolamentazione bancaria e, come sottolineato, riforma elettorale. Sussistono invece delle perplessità da parte liberaldemocratica sulla persona dell'attuale primo ministro, suscettibili di bloccare il processo di avvicinamento. Le drastiche dichiarazioni recentemente rilasciate da Clegg sul conto di Brown al Daily Telegraph ("è un politico disperato...non credo alle sue parole") non devono essere liquidate come mero tatticismo. Esse sembrano piuttosto nascondere una forte pregiudiziale, confermata anche da altri esponenti liberaldemocratici, che temono che l'attuale inquilino di Downing Street non dia corso, una volta confermato, alle misure che più stanno loro a cuore. Motivo per cui in ambienti Lib-Dem si auspicherebbe un cambio della guardia alla testa del Labour, un'eventualità peraltro improbabile nel breve termine. In effetti, è difficile immaginare un repentino colpo di mano che estrometta un politico tenace e determinato come Brown dalla testa del partito che ha guidato anche nei mesi bui dell'impopolarità e della crisi economica.
Tutti elementi che i Clegg e i suoi dovranno valutare rapidamente, insieme al dato di fatto della distanza politica che li separa da Cameron. Il Terzo Partito non ha solo da guadagnare nelle prossime elezioni. Se persistesse nell'isolamento, Clegg rischierebbe di trovarsi con un pugno di mosche in mano il 6 maggio. E questo a prescindere dalla bontà della performance elettorale del suo partito, che (è bene ricordarlo), sebbene raggiunga il 30% circa dei consensi a livello proporzionale, è attualmente accreditato di una sessantina di seggi parlamentari certi a fronte degli oltre 300 dei Tory e dei 250 del Labour. Dati che confermano come, oltre a rappresentare una grande occasione di rilancio per la sinistra britannica, l'orizzonte Lib-Lab costituisca l'unica prospettiva politica praticabile per i liberaldemocratici, che si metterebbero in condizione sia di assumere responsabilità di governo sia di ottenere l'agognata riforma proporzionale che scardinerebbe definitivamente il bipartitismo d'oltre Manica.