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STATO, NAZIONE, FEDERALISMO

Dal Veneto la riscoperta del genio di Silvio Trentin

Data: 2010-11-05

Elio Franzin, novembre 2010,

Trentin esprime più volte nel 1939 l’esigenza dell’autonomia politica dell’antifascismo rispetto alle grandi democrazie formali.
L’autonomia politica è una necessità di tutto l’antifascismo ma è anche una esigenza di Trentin che sente l’insufficienza delle sue precedenti prese di posizione teoriche e politiche a favore del federalismo. Nell’inverno 1940 inizia la scrittura della sua opera sul federalismo che presenta un carattere organico mai raggiunto negli scritti di Ferrari e di Cattaneo.
Se Trentin si fosse limitato a scrivere i suoi saggi politici a cominciare dalle sue “Riflessioni” politiche del 1933 e la sua opera filosofica “La crisi del diritto e dello stato” ci troveremmo in una situazione simile a quella degli scritti federalisti di Carlo Cattaneo molto acuti ma disorganici e dispersi. Cattaneo è essenzialmente uno scrittore, un saggista, la cui motivazione politica, diversamente da quella economica, è piuttosto debole.
La militanza politica non ha mai entusiasmato lo scrittore lombardo. Il caso di Trentin è completamente diverso. Egli non è soltanto uno studioso ma anche un militante il quale sente la necessità di scrivere un’opera organica sulla nascita e l’affermazione dello stato monocentrico, sui Comuni italiani, sui federalisti italiani ed europei, sulle istituzioni europee dalla Prima alla Seconda guerra mondiale, infine sulla sua concezione della rivoluzione anticapitalistica e federalista.
Questa opera organica è “Stato nazione diritto”, scritta nel 1940 e pubblicata nel 1945 a cura del filosofo Mario Dal Prà.
Come in numerosi suoi saggi Trentin in “Nazione stato diritto”, scritto nel 1939, affronta la questione della crisi della società novecentesca. Secondo Trentin,  essa è la crisi dello stato monocentrico il cui precedente più pericoloso e contagioso deve essere visto nella formazione delle monarchie europee. La monarchia francese è stata decisiva per l’evoluzione delle istituzioni politiche dell’Europa.
Il regno, la monarchia francese si identificò con la nazione, intesa come modo di essere di una unità geografico-linguistica, sulla base di una ideologia elementarmente e subdolamente patriottica.
La nazione è :”la rappresentazione sintetica di una solidarietà della quale partecipavano tutte le forze individuali e collettive”.
Lo stato monarchico francese è parossisticamente monocentrico. Trentin fa propria completamente l’interpretazione della storia e delle funzioni della monarchia francese offerta da Alexis de Tocqueville  “L’antico regime e la Rivoluzione”. Purtroppo non lo cita e fa malissimo. Ma sappiamo che egli conosceva anche troppo bene le opere dello scrittore francese grandissimo analista delle contraddizioni della democrazia americana oltre che della storia pre e post rivoluzionaria francese. La Rivoluzione francese non si limita a distruggere le corporazioni e le gilde. “ I Comuni sono spogliati di ogni loro residua, originale ed effettiva, ragione di vita e ridotti alla miserabile dignità di semplici circoscrizioni amministrative”, scrive Trentin. La critica di Trentin alla Rivoluzione francese ha questa motivazione. Il processo di centralizzazione avviato dalla Rivoluzione continua con Napoleone che inventa i prefetti come organi del potere centrale.
Lo Stato deve :” garantire in ogni evenienza la repressione spietata di tutte le attività che appaiono suscettibili, sia pur loro malgrado, di denunziare l’esistenza o la sopravvivenza di una qualsiasi, anche innocua, forma di autonomia territoriale o istituzionale”.
Abbiamo visto che per Trentin la nazione è semplicemente “un modo di essere di una unità geografico-linguistica”, quindi territorio e lingua. La mistica della nazione della Rivoluzione francese influenza fortemente la cultura tedesca che ne rafforza il carattere spirituale prima con Fiche e poi con Hegel. Tutto sommato la concezione idealista tedesca della nazione non è tanto diversa da quella dei francesi Barrès, Maurras e Renan.
Trentin con Barrès e Maurras ha un vecchio conto in sospeso perché ritiene che la loro ideologia sia alle origini delle teorie fasciste italiane. Nella cultura tedesca la nazione diventa uno strumento per la negazione e la distruzione storica delle altre nazioni. Hegel poi sublima la nazione nello Stato. Per Hegel un popolo autosciente si libera fino a diventare spirito del mondo. La volontà dello spirito degli altri popoli particolari non ha alcun diritto. La nazione, quella tedesca, diventa dominatrice totale del mondo.
Trentin è decisamente contro il pensiero di Hegel al quale rimprovera la sua intima aderenza alle superstizioni nazionaliste più in voga.
Da Hegel in poi :”I tempi del progressivo assorbimento progressivo della società, attraverso la Nazione, nello Stato non hanno cessato di accelerarsi…”.
 Questa è la ragione della formidabile e spaventevole crisi della società contemporanea.
Hegel ha dichiarato che  la legge universale della storia è il processo di unificazione nazionale. Trentin gli obbietta che :”Sul piano storico infatti, l’associazione volontaria, ben delimitata nelle sue ristrette e visibili aderenze, è il dato primo, elementare e fondamentale della società”.
Le forme di associazioni sono molteplici e differenziate. Non esiste soltanto quella nazionale.
Hegel ha sovrapposto lo stato unitario idealizzato alla costituzione pluralista della società.
E la società è, per definizione, molteplicità di centri vitali, di sforzi, di realizzazioni, cui corrisponde il sempre mobile e necessario suo frazionamento in gruppi, in enti, in istituzioni.
Nasce così il diritto che è sociale indipendentemente dalla consacrazione statuale.
Ogni soggetto singolo collettivo che verso l’esterno si prospetta come soggetto di autonomia o meglio di autarchia assume verso l’interno il carattere di Stato in nuce.
Lo Stato ha la funzione di garantire le autonomie, i centri unitari di vita economica, sociale, amministrativa, politica. Le autonomie vengono prima dello Stato.
La nostra Repubblica ha raggiunto molto tardi questa consapevolezza che è stata codificata nell’attuale articolo 114  della Costituzione il quale afferma :”La Repubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Giustamente lo Stato viene per ultimo. Lo Stato, secondo Trentin, deve essere un centro superiore di coordinamento e di arbitrato. Ad esso deve appartenere la sovranità giuridica non quella politica che spetta alle autonomie.Lo Stato concepito da Trentin è uno Stato che potremmo definire “leggero”.
Lentamente i giuristi hanno collocato lo Stato su di un piano sempre più elevato sostanzialmente al di sopra del diritto o lo hanno fatto coincidere con il diritto. Trentin attacca continuamente la visione hegeliana dello Stato.
Al di là di tutte le apparenti opposizioni, si è verificata una convergenza fra i nazionalismi e le democrazie liberali benché i nazionalismo abbiano negato l’ideologia democratica.
Ma le democrazie parlamentari, malgrado i tanti e clamorosi successi, sono riuscite a dare vita ad un regime essenzialmente formale pieno di inganni e soprusi. Esse diffondono illusioni. Nascondono gli scopi reali delle coalizioni di interessi, dei gruppi di pressione economici.
Le democrazie borghesi capitalistiche hanno consolidato lo Stato monocentrico esattamente come i nazionalismi messianici e autoritari.
In Germania le teorie di Hegel sono servite a Treitschke per elaborare la sua dottrina del primato germanico. Le altre nazioni non contano. Perfino un rivoluzionario coerente come Marx ha scritto delle pagine piene disprezzo immotivato contro le piccole nazioni slave affermando che esse non possedevano le condizioni elementari per avere il diritto ad una esistenza nazionale.
Marx ha anche espresso la sua propensione alla ortodossia centralizzatrice nel caso della vittoria della rivoluzione operaia.
In questo caso Trentin è male informato e sbaglia perché Marx ha anche espresso la sua approvazione ne “La guerra civile in Francia”  al progetto della Comune di Parigi di sostituire il vecchio governo centralizzato con l’autogoverno dei produttori. Poche e importanti funzioni sarebbero rimaste al governo centrale. L’unità della nazione doveva essere organizzata dalla costituzione comunale cioè dalle assemblee dipartimentali  dei delegati dei comuni di campagna. Il popolo doveva costituirsi nei Comuni a suffragio universale in questo modo si sarebbero restituite al corpo sociale tutte le energie. Marx del 1871 non è quello del 1848.  Anche il pensiero politico di Marx non è privo di notevoli contraddizioni e di una evoluzione che i suoi seguaci presunti o reali raramente hanno percepito.
Trentin rifiuta con decisione la teoria della supremazia del partito centralizzato  affermata, questa sì, sia da Marx che da Lenin ma questo è un altro aspetto della loro dottrina politica.
L’Italia avrebbe potuto sottrarsi alla dottrina nazionalistica ma purtroppo il Risorgimento è servito ad aprire la campagna antifederalista e ad installare lo Stato monocentrico. Trentin è critico sia nei confronti della Rivoluzione francese che del Risorgimento italiano.
Egli esalta la concezione della nazione espressa da Alberico Gentile per il quale la nazione deve soddisfare il diritto naturale dei popoli alla giustizia ed alla libertà. Lo Stato ha dei limiti naturali.
Esso ha una ragione di essere naturale.
Nel pensiero italiano del Seicento il pensiero italiano abbozza delle splendide costruzioni di utopia cittadina aderenti alle più intime inclinazioni del sentimento popolare. La costituzione perfetta à quella cittadina.
Trentin non poteva mancare di citare Paolo Sarpi accanto a Savonarola, Sguardi e Campanella. Fra i pensatori italiani  Trentin predilige Giambattista Vico che egli interpreta come il grande teorizzatore di tutte le forse indigene italiane contro l’oppressore straniero.
Per Vico la nazione è creata dagli uomini. Essa acquista e sviluppa la propria individualità nella storia. La sua essenza è spirituale. Bisogna cercare una storia ideale, eterna sulla quale corrono, in tempo, le storie di tutte le nazioni. La nazione è l’istituzione propria di un dato ciclo. La nazione è un fattore indispensabile ed elementare di tutte le civiltà.
La nazione soddisfa un bisogno naturale. Essa è una istituzione propria di un dato ciclo, di una data effettuazione spaziale della civiltà. Trentin affronta un aspetto del pensiero di Vico diverso rispetto a quello analizzato “La crisi del diritto e dello stato”.
Secondo Trentin Pietro Verri è il primo paladino autentico dell’unità italiana. Lo segue Vincenzo  Cuoco.
Anche in Italia la nazione acquista una sua virtù dinamica solo accettando a priori, come suo contenuto essenziale, il principio dell’unità.
Il federalismo sembra morto.

Il federalismo da Vico e Romagnosi fino a Emilio Lussu

A Roma, Firenze, Venezia, Milano  la rivoluzione trionfa sotto il auspici della repubblica regionalista e sulla base di un programma federativo, nel rispetto rigoroso delle autonomie particolari. La monarchia dei Savoia si assume il compito dell’unità del paese che pare essenziale per la realizzazione della nazione. Mazzini rinuncia alle sue predilezioni autonomiste. Per Mazzini la nazione è un dato, una realtà tutta fatta. Mazzini ha negato la nazionalità irlandese affermando che essa non aveva nessuna originalità. Con la defezione di Mazzini la causa federalista appare irrimediabilmente compromessa. Federalisti rimangono Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari che Trentin ritiene di gran lunga superiori per la loro coerenza a Giuseppe Proudhon ritenuto, a torto, in Europa, il tipo più perfetto di federalista.
Il contributo di Proudhon sul piano puramente ideologico conserva ancora un carattere di prima grandezza.
Per Proudhon la vita sociale è il prodotto e l’espressione di una moltitudine di elementi irriducibili ed antagonisti. Egli si oppone al monismo statale integrale di Hobbes e di Hegel. Il bilanciamento fra la società e lo Stato presuppone la realizzazione preventiva di una serie di equilibri.
Secondo Proudhon, il principio della delimitazione dello Stato ad opera dei gruppi, ad opera della società, risolve una questione di vita o di morte per le libertà collettive e individuali.
Ma quando si tratta di demolire sul serio lo Stato monocentrico, il pensiero di Proudhon dimostra tutta la genericità delle sue formule. Il suo è un federalismo morale e sentimentale con scarsa capacità costruttiva, operativa.
Non è un caso se al suo pensiero ha potuto richiamarsi anche il sindacalismo  fascista e il corporativismo dell’ Action francaise.
Come uomo d’azione Proudhon è pieno di contraddizioni. Come federalista accetta il dogma dell’unità nazionale francese. Condanna il movimento nazionale polacco e anche quello italiano. E’ inconseguente, incoerente. Tuttavia le sue obbiezioni allo Stato monocentrico sono incontestabili e definitive. Non è certo Proudhon il più autorevole e autentico rappresentante del federalismo. Per Trentin bisogna fare appello alla scuola federalista italiana di Ferrari e Cattaneo. Per essi l’unità ha valore e senso soltanto come coordinamento dei centri autonomi di coscienza e di attività. Il presupposto dell’unità è il pluralismo. Ferrari e Cattaneo sono impregnati del pensiero di Vico e di Romagnosi. Rifiutano quella falsa divinità che è la nazione concepita come compatta e indistruttibile unità spirituale. Quello che conta nella storia universale è il principio della diversità, della dissomiglianza.
L’azione dei federalisti italiani è stata coerente con gli imperativi della loro dottrina. Cattaneo ha rivolto delle durissime critiche per il rapporto di Mazzini con i Savoia durante la rivoluzione del 1848 a Milano.
Cattaneo ha riproposto la federazione anche nel 1859 durante la spedizione di Garibaldi nel Meridione.  Ma fu sconfitto.
L’instaurazione dello Stato italiano avvenne sulla base della finzione e dell’equivoco.
Le Italie furono furono sostituite dalla nazione italiana nei rigidi quadri di un edificio statale monolitico. Per oltre un secolo la storia italiana fu falsificata. In Italia i misfatti dell’accentramento si rivelarono più gravi che altrove. Spezzarono una intima eterogeneità di natura e di costumi.
L’Italia è stata ed è  sempre, anche dopo quasi un secolo di arbitraria manomissione da parte dello stato monocentrico, comunale e federalista.
Il compito delle nuove forze antifasciste è quello di promuovere le condizioni che permettano alla nazione italiana di rinascere, di spezzare la burocrazia centralizzatrice.
Questo compito, indicato da Trentin, alle forze antifasciste non è stato accolto dai partiti antifascisti, ad eccezione del Partito d’azione soprattutto in Toscana quando ha rifiutato le nomine dei sindaci decise dal governo Bonomi nel momento dell’arrivo degli eserciti alleati.
Dopo la sconfitta subita a conclusione del Risorgimento bisogna  risalire all’immediato dopoguerra per ritrovare un risveglio della coscienza federalistica in Italia. Ma anche in questo momento sboccherà in una azione radicale e organica soltanto in Sardegna. Trentin vede in Lussu l’unico federalista efficace sul piano dell’azione politica.
I principi banditi dal Partito sardo d’azione erano destinati, dopo la fine della Prima guerra mondiale,  erano destinati , secondo Trentin, ad avere nel resto della penisola una larga ripercussione e a orientare “su basi nuove la ricostruzione rivoluzionaria “ dello Stato italiano.
La ricostruzione rivoluzionaria dello Stato italiano non si è verificata né dopo la fine della Prima guerra mondiale né dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Così termina il profilo della storia della prima fase della storia del federalismo italiano ed europeo.

Gli ultimi cinquant’anni di storia degli stati centralismi e monocentrici

Prima di presentare una analisi dell’ultima fase della storia degli stati europei, Trentin sente la necessità, ancora una volta, di giustificarsi per le posizioni accademiche antifederaliste e antiregionaliste assunte nel 1924 a Venezia.
In Francia la vita municipale e regionale di fine Ottocento fu misera e scialba davanti all’invadenza dei prefetti. In Germania la Repubblica sorta dalla sconfitta subita nella Prima guerra mondiale troverà gli antichi stati assolutamente docili nei confronti del potere centrale. Anche nel Regno Unito succede qualche cosa di simile. Processi analoghi hanno luogo sia negli Stati Uniti che in Svizzera.
E i giuristi giustificano i processi in corso.
La Prima guerra mondiale determina la vera e propria apoteosi dello stato unitario. Col favore della guerra si afferma il tipo moderno dello stato monocentrico.  Durante la guerra si perfeziona la realizzazione totalitaria dello Stato unitario.
Trentin quindi ha una sua interpretazione cronologica delle origini del totalitarismo. Lo colloca prima dell’avvento del fascismo e del nazismo.
Anche in Russia, malgrado la sua vittoria, la rivoluzione si dimostra congenitamente incapace di affrontare il problema dell’autonomia. Il bolscevismo si sposta verso le dottrine totalitarie malgrado il suo diverso programma iniziale. Infatti sulla base del programma del governo rivoluzionario sono sorti i soviets come centri istituzionali di vita collettiva, come vere e proprie autonomie istituzionali. E’ stato accolto anche il principio federativo. Ma gli attributi costituzionali sono poi serviti soltanto come un immenso paravento al potere esclusivo del partito comunista. La Rivoluzione d’ottobre  ha avuto una conclusione mortificante. Nella storia delle istituzione politiche non si trova un modello di stato che possa competere con quello sovietico per la somma dei suoi poteri arbitrari. In Inghilterra e in Francia furono rimossi tutti gli ostacoli alla progressiva manomissione dell’alta finanza. Il potere dei monopoli nazionali si allargò.
Essi si identificarono con lo Stato. Il regime così realizzato dello stato unitario democratico era simile a quello proprio di uno stato dittatoriale per le sue facoltà di intervento nelle manifestazioni della vita collettiva.
 Qualsiasi forma di vita locale aspirante ad un suo proprio sviluppo autonomo fu soffocata metodicamente. La Società delle Nazioni fu utilizzata dall’Inghilterra e dalla Francia per consolidare le loro particolari prerogative nazionali e imperiali. L’applicazione molto particolare dell’ideologia democratica nei paesi che si proclamano tali ha permesso la maturazione di alcune fra le più decisive condizioni occasionali dello scatenamento dell’ideologia totalitaria dell’Italia fascista e della Germania nazista che sono applicazioni inedite del metodo dittatoriale realizzato in Russia.
La tesi che il bolscevismo praticato da Stalin sia stato un esempio per il fascismo italiano, enunciata da Trentin, non trova certo molte adesioni.
Trentin intuisce che malgrado il programma diverso della Rivoluzione russa vi sono degli elementi in comune nelle tre dittature europee del Novecento.
Il fascismo italiano è il modello dello stato unitario moderno. Certo il fascismo ha origini ben diverse dalla Rivoluzione russa. Esse sono, secondo Trentin, molto più modeste e prosaiche. La dottrina del fascismo doveva essere quella dello stato totalitario. La mistica unitaria aveva preparato la strada che aveva soppresso tutti gli autonomi centri motori della vita sociale ed era arrivata ad imporre l’uniformità. Trentin si riferisce allo stato prefascista.
Trentin ritiene che la paura del comunismo in Italia prima della marcia su Roma sia stata demenziale. Il fascismo ha una dottrina che permette allo Stato di esprimersi nella sua pienezza. Egli analizza la concezione dello Stato quale è stata illustrata da Mussolini stesso in vari discorsi pubblici. Lo Stato fascista sarebbe il modello aggiornato del vecchio stato unitario.
Anche il giudizio di Trentin sullo stato unitario prefascista è radicalmente cambiato da quello espresso nelle sue opere precedenti del 1928 e del 1929  “L’avventura italiana, Leggenda e realtà” e “Dallo statuto albertino al regime fascista” in cui egli aveva espresso un giudizio sostanzialmente positivo sui caratteri liberali e democratici esistenti nel regime prefascista,
A sua volta lo stato nazista è l’estrema espressione del monocentrismo integrale. Trentin critica gli uomini politici della Repubblica di Weimar che hanno rinunciato a preparare una rivoluzione operaia. Lo stato hitleriano è diverso da quello mussoliniano perché è funzionale all’affermazione della razza. Hilter unisce i due miti solidali della razza e della predestinazione.
In Europa si è verificata una diffusione crescente dei regimi autoritari, degli stati fortemente centralizzati fra di loro rivali. Solo la Cecoslovacchia fa eccezione.
I regimi democratici formalmente in vigore in Francia ed Inghilterra presentano una carenza generale di garanzie davanti al potere sempre più esteso delle burocrazie e dei presidenti del Consiglio. Ogni traccia di regionalismo all’interno degli stati nazionali pare dispersa. Solo in Spagna si era avuta l’impressione che lo stato unitario stesse per cedere davanti alle esigenze pluralistiche.
Trentin che la Spagna per qualche mese è stata “il teatro di una meravigliosa fioritura delle più originali e spontanee creazioni autonomistiche”. Ma la rivoluzione spagnola è stata sconfitta.

Nel penultimo capitolo della sua opera Trentin passa all’analisi dei caratteri del futuro stato europeo quali possono desumersi dagli scopi di guerra dei vari stati belligeranti
Egli scrive il capitolo nel marzo 1939  quando la guerra è già iniziata da sei mesi.
La Germania nazista si propone l’asservimento totalitario degli altri popoli. Neanche il comunismo russo, alleato del nazismo, mostra di preoccuparsi della libertà.
Inghilterra e Francia promettono l’indipendenza a tutte le nazioni ma fra i due stati esiste una opposizione inconciliabile. A Londra si denuncia il regime nazista. A Parigi invece si attacca il complesso storico-etnico alla base che è alla base della Germania. La Germania dovrà essere  sottoposta dopo la sconfitta a un regime pluralista non federalistico. E’ esclusa la forma federalistica dello Stato. Ma il progetto di divisione della Germania è stato messo da parte. Si comincia a lanciare genericamente la parola d’ordine della federazione europea. I socialisti inglesi tuttavia ritengono che i tempi non siano maturi per una civiltà federalistica.
Trentin è molto dubbioso che gli stati possano venire indotti ad affidarsi ad un potere esecutivo federale.
Esistevano tuttavia dei piani per la costituzione in tutta Europa di una serie di gruppi federali collegati da vari patti di alleanza. Ma il federalismo “in quanto criterio per la determinazione degli scopi di guerra dell’Intesa democratica, non è utilizzato più, in Francia ed in Inghilterra non è utilizzato più  se non per dare dignità all’alleanza franco-inglese il carattere di modello della federazione europea.
Trentin presenta il progetto di una rivoluzione anticapitalistica e federalistica italiana ed europea. La civiltà europea deve interrompere il processo della sua lunga degenerazione mortale. L’ordinamento statale accentratore continuerà a tutelare il capitalismo monopolistico e finanziario.
Egli prevede l’avvento degli Stati Uniti alla direzione del mondo.
La tendenza alla centralizzazione dello Stato appare inarrestabile. E l’individuo assieme alle associazioni minori perdono ad uno ad uno gli attributi della loro autonomia. Il grande Stato monocentrico può sussistere solo a condizione di spogliare tutti i centri di autonomia istituzionale e di concentrare su un unico punto del territorio la sede di tutti gli organi investiti di una autorità costituzionale o originaria. Le grandi capitali europee come Parigi e Londra distruggono i più autentici patrimoni regionalistici.
Un regime che pretenda di ricostituire l’organizzazione della vita collettiva su basi pluralistiche deve rinunciare all’esistenza di una grande capitale.
Trentin è troppo colto ed educato per lanciare uno slogan come “Roma ladrona” ma Roma era certamente fra le grandi capitali alle quali rivolgeva la sua critica.
Gli esaltatori dello Stato unitario esaltano la sua missione di giustizia a favore delle regioni diseredate in forza della partecipazione delle regioni più ricche.
Trentin è molto sarcastico sul duce che si era presentato infatti più volte come il redentore della Sicilia.
Ma non pare che neanche lo Stato unitario italiano abbia raggiunto dei grandi risultati nel nostro Mezzogiorno durante la Prima Repubblica.
Per Trentin lo Stato unitario italiano è purtroppo uno stato storico di cui bisogna prendere atto.
Egli afferma :”Il prezzo autentico della libertà è pertanto la demolizione dello stato monocentrico. Qualunque rivoluzione che non riesca ad assolvere a questo compito sarà una rivoluzione fallita”.
Si tratta di una demolizione.
Certo il federalismo non può essere utilizzato per tornare indietro, per ristabilire delle divisioni ormai superate.
Il nuovo federalismo, diverso da quello ottocentesco,  deve coordinare tutte le economie particolari almeno a livello continentale se non mondiale. Trentin concorda con la denuncia di Otto Bauer delle cinture doganali ristabilite fra gli Stati dopo la Pace di Versailles.
La parola d’ordine del federalismo rivoluzionario sarà autonomia.
A distanza di quasi dieci anni.








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