Email:
Password:
Non sei ancora iscritto? clicca qui
Iscriviti alla Newsletter:
ABBONAMENTI e RINNOVI  Critica TV Cerca nel sito:
Links   Chi Siamo  
Critica Sociale (anno 2014)
Storia e documenti di trent'anni (1980-2013)
Le pubblicazioni e i dibattiti
Le radici della democrazia e la Critica di Turati



AMBIENTE (45)
CRITICA SOCIALE (52)
CULTURA POLITICA (372)
DEMOCRAZIA (395)
DIRITTI UMANI (116)
ECONOMIA (254)
ENERGIA (74)
GEOPOLITICA (402)
POLITICHE SOCIALI (77)
SICUREZZA (291)
STORIA (98)
TERRORISMO (62)


Afghanistan (66)
Ahmadinejad (56)
Al-qaeda (29)
America (56)
Berlusconi (56)
Blair (61)
Brown (83)
Bush (131)
Cameron (31)
Casa Bianca (20)
Cina (141)
Clinton (71)
Comunismo (18)
Craxi (34)
Cremlino (33)
Crisi (88)
Egitto (19)
Elezioni (26)
Euro (24)
Europa (242)
Fed (16)
Francia (58)
Frattini (16)
G8 (17)
Gas (19)
Gaza (30)
Gazprom (24)
Georgia (40)
Germania (36)
Gran Bretagna (47)
Guerra Fredda (23)
Hamas (56)
Hezbollah (38)
India (42)
Iran (166)
Iraq (52)
Israele (148)
Italia (110)
Labour (58)
Libano (37)
Libia (21)
Londra (16)
Mccain (84)
Medio Oriente (82)
Mediterraneo (19)
Medvedev (49)
Merkel (35)
Miliband (24)
Mosca (31)
Napolitano (16)
Nato (61)
Netanyahu (26)
Nucleare (53)
Obama (240)
Occidente (60)
Olmert (18)
Onu (43)
Pace (20)
Pakistan (34)
Palestina (23)
Palestinesi (31)
Pci (22)
Pd (26)
Pdl (16)
Pechino (27)
Petrolio (35)
Psi (19)
Putin (109)
Recessione (32)
Repubblicano (16)
Rubriche (53)
Russia (179)
Sarkozy (130)
Sinistra (24)
Siria (49)
Socialismo (40)
Stati Uniti (189)
Stato (23)
Teheran (20)
Tory (22)
Tremonti (30)
Turati (24)
Turchia (30)
Ucraina (25)
Ue (81)
Unione Europea (37)
Usa (228)

   
Home Page  >>  Editoriale
 
 


CHE FARE? PROPOSTE PER USCIRE DALLA CRISI Compra-Italia, Banca pubblica per l'economica, tornare alla Glass-Steagall del 1933, allentare patto stabilità ai comuni, limitare i derivati. Bilancio unico europeo, ma con gli Eurobond

Contro lo scenario negativo che si profila, le idee per una svolta

Data: 2013-05-28

di Giulio Tremonti

Ricomprarci il debito verso l'estero in cambio di una detassazione sull' importo acquistato. Trasformare il debito sui mercati, in risparmi degli italiani e in minori tasse per via dei minori interessi da pagare ai mercati.

Questo il piano proposto da Giulio Tremonti, il cosiddetto Compra-Italia, per togliere la testa dal cappio della speculazione e per liberarsi dall' austerity tedesca e della sottrazione di sovranità nazionale da parte della "triplice"  Commissione UE-BCE-FMI.  
"L’operazione che dobbiamo fare - scriveva Tremonti nel suo programma elettorale - deve essere basata, più che sulla forza bruta, sulla forza del- la ragione. Per questo deve e può essere solo volontaria, basata sull’offerta, per libera sottoscrizione, di nuovi titoli pubblici, emessi per scadenze e per tassi ragionevoli.
Un po’ più bassi i tassi, un po’ più lunghe le scadenze, ma sicure di una sicurezza che è impagabile e che dobbiamo essere noi stessi a produrre!
Qui è soprattutto importante notare che, nella logica di un’operazione  così strutturata e finalizzata, i soldi restano nelle tasche degli italiani e restano in Italia e sono qui bene e convenientemente e sicuramente in- vestiti, qui più che all’estero. Si tratta di una di quelle operazioni che si auto-determinano, che si auto- realizzano automaticamente e si auto-stabilizzano, man mano che si sviluppano nel crescendo della loro propria forza intrinseca. Per incentivare l’investimento è essenziale un regime fiscale e premiale. Per questo come è stato in Italia, per decenni e decenni (e fino agli anni ’80), i nostri nuovi titoli pubblici devono tornare ad essere “esenti da ogni imposta presente e futura. Esenti tanto sui frutti, quanto sul patrimonio!
All’opposto, oggi noi tassiamo il nostro debito pubblico in capo agli italiani, mentre detassiamo gli stranieri!"

Di seguito la scheda delle proposte anti-crisi

COMPRA-ITALIA (RICOMPRARCI IL DEBITO ESTERO CON VANTAGGI FISCALI)

L’operazione che dobbiamo fare deve essere basata, più che sulla forza bruta, sulla forza del- la ragione. Per questo deve e può essere solo volontaria, basata sull’offerta, per libera sottoscrizione, di nuovi titoli pubblici, emessi per scadenze e per tassi ragionevoli.

Un po’ più bassi i tassi, un po’ più lunghe le scadenze, ma sicure di una sicurezza che è impagabile e che dobbiamo essere noi stessi a produrre!

Qui è soprattutto importante notare che, nella logica di un’operazione  così strutturata e finalizzata, i soldi restano nelle tasche degli italiani e restano in Italia e sono qui bene e convenientemente e sicuramente in- vestiti, qui più che all’estero. Si tratta di una di quelle operazioni che si auto-determinano, che si auto- realizzano automatica- mente e si auto-stabilizzano, man mano che si sviluppano nel crescen- do della loro propria forza intrinseca. Per incentivare l’investimento è essenziale un regime fiscale e premiale. Per questo come è stato in Italia, per decenni e decenni (e fino agli anni ’80), i nostri nuovi titoli pubblici devono tornare ad essere “esenti da ogni imposta presente e futura. Esenti tanto sui frutti, quanto sul patrimonio!

All’opposto, oggi noi tassiamo il nostro debito pubblico in capo agli italiani, mentre detassiamo gli stranieri!

Se del caso, si può anche offrire ai sottoscrittori un ulteriore “bonus” esentasse (anche come “earn out” finanziato con i possibili proventi da cessioni patrimoniali).

Se necessario, per influire positivamente sul sistema finanziario italiano, potrebbe anche cambiare, a favore dei risparmiatori-investitori, il sistema di calcolo delle commissioni che i gestori mettono a carico dei risparmiatori-investitori: non più, come ora, commissioni calcolate in percentuale sulla somma gestita ma per il futuro commissioni calco- late in percentuale sul risultato reale netto ottenuto.

Si vedrà così che anche i gestori avranno convenienza a consigliare investimenti sicuri e con reddito cer- to, proprio come quelli delle nuove emissioni “COMPRA-ITALIA”!

Se l’operazione parte bene, il debito pubblico in mani estere non do- vrà neppure essere tutto escluso.

Anzi, se resta una quota estera, proprio per dimostrare che l’Italia ha fiducia e dà fiducia, la quota estera residua può essere, per attrazione, privilegiata.

Per contro, come premesso, il propagandato “(s)vendi-Italia”, da realizzare con un colpo da 400 miliardi di euro, non ci salverebbe, ma ci distruggerebbe.

Infatti non esistono, se non nella fantasia della propaganda elettorale, operazioni colossali e miracolose

di abbattimento del debito pubblico, realizzabili (s)vendendo il patrimonio pubblico + frattaglie varie

che dovrebbero (?)arrivare dalla Svizzera, così che alla fine si potrebbero pure ridurre le tasse!

Si ripete, il patrimonio pubblico va certo venduto, ed una parte del ri- cavato può certo essere usata per rendere più appetibile, sotto forma di bonus o di “earn out”, il rendimento

del “COMPRA-ITALIA”. Ma il “COMPRA-ITALIA   è l’unico piano che può funzionare, perché invece quello da “400” mi- liardi è solo un inganno elettorale, per le seguenti ragioni:

a)         perché 400 miliardi di euro di patrimonio pubblico non ci sono, sono calcolati alla carlona! La sinistra parla di 200 miliardi di euro; la Confindustria parla di una modesta ridu- zione del debito pubblico, possibile “entro il 2020” il governo tecnico si avvia verso 10 miliardi, forse, que- st’anno;

b)         comunque, se anche ci fossero, non si troverebbe chi compra;

c)         e, se anche si trovasse chi com- pra (impossibile), il prezzo lo fareb- be comunque lui, il fantomatico ac- quirente, e dunque con effetto di svendita e di impoverimento ulte- riore dell’Italia;

d)        soprattutto, infine, se anche l’operazione fosse realizzabile, ver- rebbe realizzata sottraendo il grosso degli elementi patrimoniali e reddi- tuali che sono la base di garanzia del debito pubblico che c’è adesso (2 trilioni di euro), e comunque della quota enorme di debito pubblico (1,6 trilioni di euro) che comunque resterebbe anche dopo l’abbattimento da 400 miliardi!

 Una quota enorme del debito pubblico italiano verrebbe così di colpo privata di tutte le sue vere attuali ga- ranzie di base e verrebbe così automaticamente espressa in “titoli spazzatura”!

Questa è in specie la ragione defi- nitiva per rifiutare il ritorno del tipo di politica economica che abbiamo già visto alla prova, nell’estate del- l’anno scorso!

All’opposto, il “COMPRA-ITALIA” può essere qualcosa di più di una operazione finanziaria: può es- sere una base di ripartenza, un simbolo di riscossa nazionale.

 E del resto, se noi non ci fidiamo di noi, perché gli altri dovrebbero fi- darsi di noi?

E’ per questo che dobbiamo e pos- siamo stabilizzare il nostro debito pubblico, ricrearne le basi di sicurezza, evitare la colonizzazione, riac- quistare sovranità e dignità nazionali e personali ed infine ripartire con orgoglio.

 Si dirà che fare così è come tornare agli anni Settanta od Ottanta, che fare così è fare come il Giappone!

In particolare è stato scritto

(i) che l’Italia, a differenza della Spagna, potrebbe davvero fare il “COMPRA-ITALIA”, essendoci tutti i presupposti economici per farlo,

(ii) ma che farlo sarebbe appunto come tornare indietro negli anni e fare come il Giappone.

In specie è stato scritto (Alesina, Giavazzi, Corriere della Sera, 1 agosto 2012) che così: “accadeva negli anni Settanta in Italia, ma a quel punto diventeremmo come il Giappone… un Paese che da venti anni ha smesso di crescere. Non certo un esempio da seguire”.

A parte che la storia del Giappone è un po’ più complicata, siamo pro- prio sicuri che gli anni Settanta (per altri versi in effetti non felicissimi), siano davvero stati anni di non cre- scita? E che sia lo stesso per gli anni Ottanta?

Siamo proprio sicuri che restare esposti agli eccessi del mercato fi- nanziario faccia davvero bene al- l’Italia?

E siamo infine sicuri che il Giappone vada poi così male? Non è affatto così.

Negli anni Settanta, dal 1971 al 1980, l’Italia è cresciuta mediamente del 3,8% (la Francia del 3,7%; la Germania del 2,9%, etc). Negli anni Ottanta, dal 1981 al 1990, l’Italia è cresciuta del 2,4%, la Francia del 2,4%, la Germania del 2,3%!

Nel 2010 il Giappone è cresciuto al 4%, più di USA, Germania, etc. E dopo il terremoto del 2011 ha per sempre ripreso a crescere.

Dunque, gli anni Settanta, gli anni Ottanta, ed il Giappone non sono affatto peggio di quel che quel che è stato fatto in Italia.

In sintesi: serve una regia che convinca.

Abbiamo ben chiaro infatti quanto è strategica l’opinione pub- blica nell’economia di questo tipo di operazioni.

Abbiamo ben chiaro quanto è im- portante convincere l’opinione pub- blica, mobilizzarla, ispirarla e tra- smetterle fiducia. Come si dice, quanto è importante fare “marke- ting”.

Sappiamo bene che le lobby finanziarie, potenti e varie forze, ma sempre in conflitto di interessi, agiranno contro!

Naturalmente serve fare “moral suasion”, una qualche opera di “convinzione” sugli enti pubblici italiani e sul nostro sistema bancario e finanziario italiano (come del re- sto, senza dirlo, si fa dappertutto in Europa!). E’ necessario convincere tutti questi soggetti a cambiare certe abitudini.

Usano dirci, dalla Germania soprattutto, che in Italia possiamo farcela da soli!

Bene, è vero! Ma allora facciamolo a modo nostro, senza più farci condizionare e ricattare!

In specie, nessun piano economico può essere solo un piano economico; nessuna manovra economica può essere sviluppata solo dal lato dell’economia.

E’ anche per questo che la soluzione non può mai essere solo tecnica. Deve essere soprattutto politica.

Se una manovra è fondamentale e vitale, proprio come questa che si dovrà subito fare in Italia, allora è fondamentale che gli italiani non la sentano solo come una (pur molto conveniente, rispetto alle altre) operazione economica, ma anche come la proiezione patriottica, comunita- ria e sociale del loro essere parte del paese!

Perché funzioni, ed è vitale che funzioni, gli italiani devono infatti capirla proprio in questo modo, devono crederci: credere insieme nel proprio bene e nel bene comune.

L’azione deve essere, ed essere presentata, come risolutiva. Ed è ri- solutiva, perchè si batta dell’unica azione-base necessaria all’Italia come un “primum vivere”.

Se si mette insicurezza il debito pubblico, si mette insicurezza l’Italia. Se no, è no, tanto per il debito pubblico, quanto per l’Italia!

Prima di tutto, sopra tutto, dobbiamo dunque  tornare ad essere “padroni a casa nostra”.

 Se invece si parte dal resto, dai più vari e diversi obiettivi ed intenti di riforma generale o particolare, formulando le più varie promesse, si ingannano gli italiani, perchè si costruisce sulla sabbia.

 Naturalmente non basta il “COMPRA-ITALIA”. Ma questa è davvero la sola base sui cui davvero si può e si deve ripartire per costruire.

Se si è d’accordo su questo punto preliminare, si può proseguire nel- l’analisi sul “che fare”, dopo.

Dopo la messa in sicurezza del no- stro debito pubblico, che fare per fa- re la seconda parte della strada: per rivitalizzare davvero l’economia, per riformare ciò che davvero va riformato. Tutto ciò che, su questa nuova base di sicurezza, può davvero essere riformato.

ECONOMIA

 Sulla necessità di bloccare subito l’epidemia finanziaria in corso, si è già scritto appena sopra. Su questa base, in aggiunta si può e/o si deve poi fare quanto segue.

1- Bisogna fare subito come la Germania.

 Va  subito costituita una banca di tipo nuovo, una banca nazionale che faccia “Credito per l’Economia”(CpE).

Il modello da adottare è quello tedesco della “KFW” (“KreditfürWirtschaft”= credito per l’economia);

In Germania la “KFW” è uno dei principali pilastri, spesso il fondamentale pilastro dell’economia sociale di mercato. E’ una banca pubblica, ma non incompatibile con il mercato. Una banca potentissima che, da decenni, fa credito alle imprese, al lavoro ed alle comunità, alla produzione ed all’export. Da noi non c’è ancora qualcosa di simile, se non in termini sperimentali.

L’economia italiana si basa su due pilastri fondamentali: la manifattura ed il risparmio. In questa fase della crisi le piccole e medie imprese italiane sono in crisi (anche) perché non hanno credito. Per contro, il risparmio è ancora un pilastro (l’altro pilastro) della nostra economia. Serve dunque un forte raccordo tra risparmio ed imprese. Se la “KFW” va bene in Germa- nia, perché non replicarla subito anche in Italia?

Lo si può fare riorganizzando e, fermi il ruolo e la missione delle fon- dazioni, triplicando in tempo reale le strutture che già abbiamo: Cassa Depositi e Prestiti+Sace+Export Banca+ i due Fondi strategici.

La “CpE”, come la “KFW”, dovrà avere garanzia statale totale, soste- nere decisamente l’export, emettere speciali titoli di finanziamento alle piccole e medie imprese ed ai di- stretti e/o reti.

Non solo: la “CpE”, come la “KFW”, deve essere sottratta ai vincoli di bilancio europei e deve avere gli stessi aiuti di Stato finora concessi dall’Europa alla “KFW”.

In caso di ostacoli “europei”, rispetto a questa legittima richiesta di “par condicio”, l’Italia va in Europa “batte i pugni”, per davvero e non per finta (come ora fa). Su cosa fare, al proposito, cfr. qui di seguito il n. 1 del blocco Europa).

 2 Separazione tra credito produttivo ed attività speculativa.

 Le banche che raccolgono il risparmio dei risparmiatori lo posso- no impiegare solo facendo credito alle imprese ed ai lavoratori, alle comunità ed alle famiglie. Ed a loro rischio.

Non possono usare la raccolta del risparmio privato per entrare nel casinò o nella bisca della finanza, continuando un sistema, come quello che c’è ora, per cui se ci sono profit- ti, questi vengono incamerati e privatizzati; se invece ci sono perdite, queste vengono trasferite nei bilanci pubblici e dunque messe a carico dei cittadini, dei risparmiatori, etc.

 Si deve dunque tornare allo spirito della legge Glass-Steagall del 1933, che, dopo la crisi del 1929, fu la base di partenza del “NewDeal” di Roosevelt. E’ su questo modello che in Italia fu fatta la legge bancaria del 1936. Entrambe queste due leggi (quella americana del 1933, quella italiana del 1936) furono poi abroga- te, negli anni ’90, nello spirito della globalizzazione finanziaria. E’ un er- rore che stiamo pagando e che dobbiamo correggere;

 N.3 Immissione immediata nelle buste paga mensili del TFR (trattamento di fine rapporto).

 Più soldi ai lavoratori, per contra- stare subito il calo della domanda sul mercato interno. Il beneficio è immediato. Non ci sarà costo finanziario per le imprese, perchè queste, senza alcun danno, avranno diritto all’equivalente automatico finanziamento, direttamente da parte del- la loro banca, a sua volta servita a questo fine dall’INPS e dalla Cassa Depositi e Prestiti.

N.4 Contratto di lavoro per la piccola impresa.

Lo schema dei contratti di lavoro è finora organizzato verticalmente, per grandi settori di attività: metalmeccanico, chimico, tessile, edile, etc. Settori nei quali sono indifferentemente posizionate, e tutte insieme, le grandi, le medie, le piccole imprese.

Considerando che il prodotto inter- no lordo italiano è fatto per oltre il 90% da imprese piccole e medie, queste livello, se lo vogliono, le imprese ed i lavoratori, possono applicare uno schema contrattuale alter- nativo e nuovo, una nuova forma di contrattazione, più vicina alle aziende e ai territori.

Un tipo di contratto che, superando la vecchia divisione verticale per settori di attività, prescinde dal tipo di settore di attività, per considerare principalmente la dimensione aziendale (e solo marginalmente il settore di attività). E’ questa, dimensionale e non verticale, la logica del nuovo contratto di lavoro della piccola e media impresa.

N5 “Un giovane con un anziano”.

In ogni azienda, per ogni giovane assunto, si prevede la detassazione - defiscalizzazione di un lavoratore “anziano”.

N.6      Protezione della nostra produzione.

La concorrenza, per essere tale, deve essere leale. Gli USA, non certo sospettabili per essere anti-mercato, praticano già dal 1933 e poi ancora in altre forme sempre più forti negli ultimi 30 anni, politiche di protezione, di “Buy American”, etc.

In specie politiche che selezionano gli aiuti pubblici, le commesse pubbliche, etc. riservandoli alla produzione americana, in funzione dell’interesse economico nazionale.

Lo deve fare anche l’Europa. Lo deve e può fare, se no, unilateralmente l’Italia! Non si dica che ciò è impossibile, che è contro le regole del mercato e dell’Europa: una idea analoga, per la Francia, si trova infatti specificamente in uno dei due programmi presidenziali francesi (“La France forte”) del 2012. Se no, l’Italia “batte i pugni” per davvero in Europa.

 N.7      Blocco immediato della riforma del lavoro sul precariato.

 “I “tecnici” la chiamano “flessibilità in entrata”. In italiano è un caso di “esodati 2”, ma un caso ancora più grande e drammatico” del primo. L’ideale a cui tendere è certo quello del “posto fisso”, del lavoro a tempo indeterminato. Ma non ci si arriva con esperimenti di ingegneria socia- le, considerando imprese e lavoratori come topi o cavie da laboratorio cui è possibile applicare “intelligenti stimoli elettrici”. A partire dalla metà di luglio, da quando è entrata in vi- gore la riforma, con una accelerazione crescente attesa per l’autunno, e sotto il peso della crisi, per effetto della Legge Fornero le imprese non solo non creeranno posti fissi, ma fa- ranno sempre meno contratti di lavo- ro a tempo determinato: manderanno a casa coorti crescenti di lavoratori a tempo determinato; lo faranno semplicemente via mancato rinnovo dei contratti che vengono via via a scadenza, non avranno neppure l’onere di spiegarlo: diranno solo che è la legge che li costringe. Dunque, senza tante storie, siccome non c’è il po- sto fisso: via! E’ questa la follia della fine-lavoro per troppi lavoratori, tra l’altro per lavoratori impegnati nei settori più strategici: dalla ricerca al- l’informatica a tutti i nuovi servizi.

N.8      Potenziamento delle Reti/Di- stretti d’impresa

Dato il risultato positivo della sperimentazione, la dotazione finanzia- ria delle Reti/Distretti di impresa (ideati nel 2005 e finalmente operativi dal 2010-2011) può e/o deve essere significativamente accresciuta.

 N.9      Rinnovo della “Legge Tremonti”.

 Nel 1994 furono detassati gli investimenti, le assunzioni, le quotazioni in borsa.

Allora l’esperimento ebbe successo e fu poi ripetuto, con varianti, in funzione delle successive congiunture economiche e di bilancio.

Adesso la legge può e deve essere pienamente ripresa, magari lasciando da parte il premio di quotazione in borsa, ma sostituendolo con la de- tassazione dell’EXPORT.

 N.10    Responsabilità sociale delle grandi società finanziarie, etc.

 Si devono riconoscere meriti e successi, ma non si possono più tollera- re l’avidità e l’impunità, soprattutto quando la gestione della società è scissa dalla proprietà e perciò è scissa dalla base naturale della responsabilità che è appunto la proprietà, quando si rischia in proprio. Nel sopra citato programma conservatore inglese si trovano proposte mirate a “dare potere agli azionisti”, a “ristabilire parità di condizioni tra parti contraenti forti e deboli, ad allineare profitti richiesti e risultati ottenuti, ad assicurare parità di accesso alle informazioni, etc. Come è stato scritto “La riforma del capitalismo deve contemplare maggiore trasparenza… sul settore bancario una ri- forma è possibile… si deve compensare il merito, combattere i nuclei di potere, riconoscere i fallimenti”.

E’ questa la via da percorrere anche in Italia. I premi-bonus dei grandi manager devono essere limitati e comunque tenuti in depositi a garanzia a medio-lungo termine, in modo che, in caso di fallimento, sia- no recuperabili dalle aziende e dagli azionisti. Deve essere posto un limi- te reale all’eccesso di tecniche per cui si caricano di debito le imprese, non per necessità ma per investimenti speculativi, etc. Se una banca fallisce e viene salvata con denaro pubblico, i responsabili devono specificamente subire, personalmente e/o patrimonialmente, un trattamento analogo a quello del fallimento e non beneficiare di un regime di responsabilità limitata.

Sui crediti, l’ago della bilancia si è troppo spostato a danno dei creditori più piccoli. Un equilibrio va ristabilito garantendo ai giocatori più piccoli posizioni negoziali più forti.

 N.11 Le spiagge italiane sono dell’Italia.

 Non tutto è “mercato”! Le “gare europee” devono trovare un li- mite nel nostro diritto marittimo.

 LE TASSE E LA SPESA PUBBLICA

 La pressione fiscale è davvero troppo alta (soprattutto per chi le tasse le paga). Proprio per questo sulle tasse non si possono fare scherzi elettorali. Anche la propaganda de- ve avere un limite, se no prima si dice agli elettori che si abbassano le tasse, poi salgono i tassi di interesse sul debito pubblico e così le tasse, invece di scendere, salgono! In ogni caso si può:

N.1      Abbattimento dell’IMU sulla prima casa non di lusso. Non ci sono alternative, se si vuole che sotto il peso di questa imposta crolli un settore fondamentale della nostra economia. Fuori dall’“astuzia elettorale”, in questo momento il valore propulsivo e/o anti recessivo proprio di questa misura è molto più grande di ciò che questa imposta vale per il fisco.

 N.2 - In ogni caso, proprio per evitare il conseguente calo di entrate, questo abbattimento può e/o deve essere parimenti compensato riformando l’imposizione bancaria: una aliquota ordinaria + una seconda ali- quota, più alta di quella ordinaria, sui profitti delle attività speculative e/o sui profitti fatti nei paradisi fiscali (si veda, sempre in questo senso, il citato programma presidenziale francese “La France forte).

N.3      Destinare a riduzione delle tasse, a partire dall’eliminazione dell’IRAP sulle imprese in perdita (i)      il risultato di risparmio di spesa per interessi derivante dal piano “COMPRA-ITALIA”  (soldi  che non andrebbero più alla speculazione, ma appunto a riduzione del cari- co fiscale) + via via, il recupero da evasione fiscale + il risparmio realizzabile tagliando altre voci di spesa pubblica . Va inoltre notato che, oltre a questo, la conseguente stabilizzazione nella certezza, tanto della nostra finanza pubblica quanto della nostra economia, stabilizzazione che sarà data proprio dal “COMPRA-ITALIA”, può dare qualche altro maggiore margine di manovra(ma prima di utilizzarlo, questo margine, vaverificato che c’è!);

 N.4      Introdurre un meccanismo di moratoria sulle riscossioni Equitalia, quando c’è reale evidenza di particolari criticità, di diritto o di fatto (incapienza patrimoniale).

Non solo: per stabilizzare beni primari come l’abitazione (non di lusso) ed il luogo di lavoro, fino al 2015 questi non sono pignorabili da parte del fisco e da parte delle banche;

 N.5      Reintrodurre la partecipazione dei Comuni all’accertamento tributario.

 Più delle campagne propagandistiche fatte quest’anno, è infatti soprattutto questo il modo (europeo) per rendere maggiormente credibile il rapporto fiscale.

Gli effetti negativi degli eccessi propagandistici di quest’anno sono evidenti nel clamoroso ritorno al contante, nella fuga dall’Italia dei capitali e delle attività d’impresa, nel non necessario blocco per paura della domanda interna.

In un paese, come l’Italia, con più di 8000 Comuni e con più di 4 milioni di partite IVA, le strutture centrali di accertamento (come l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza) sono certo necessarie, ma non sufficienti. Le strutture centrali sono infatti efficienti, ma molto spesso sono lontane, sono remote, rispetto ai territori.

Ne deriva che l’effetto di repressione è forte, ma l’effetto di prevenzione prodotto dalla loro vicinanza e prossimità non altrettanto. E’ per questo che, come nel resto d’Europa, servono i Comuni, da coinvolgere e/o cointeressare nell’accertamento tributario;

 N.6 Introduzione del concordato fiscale triennale preventivo.

 Ti impegni a rispettare il tuo dovere fiscale ed a “scommettere” sul tuo reddito futuro, ma poi dedichi il tuo tempo a lavorare per te e non per la burocrazia;

 N.7 Rafforzare i controlli fiscali sugli immigrati, per verificarne l’effettiva dovuta lealtà fiscale, anche considerando che gli stessi godono dei nostri servizi di assistenza sa- nitaria, sociale, etc;

 N.8      Reintrodurre il pagamento per contanti delle pensioni basse, già “tracciate” all’origine e non certo causa di evasione a valle!;

 N.9 Introdurre a titolo sperimentale e volontario la “Simple Tax”.

 Un sistema semplice di tassazione sul reddito reale. Si può (i) scegliere di rinunciare al vastissimo e complicatissimo apparato di deduzioni, agevolazioni fiscali, etc, che attualmente sono graziosamente “concesse” dal fisco, (ii) per pagare sul red- dito reale (e non sul reddito così artificialmente e/o fiscalmente manipolato da tutte le deduzioni, agevolazioni, etc); (iii) in contropartita, le aliquote sono a loro volta reali e cioè più basse delle attuali.

Ne deriva un sistema fiscale semplicissimo, quasi automatico, senza costi amministrativi di compilazione, senza rischi di errore e di ricatto, soprattutto senza incentivi ad evadere dati da aliquote troppo alte.

Su questa ipotesi, prima di partire, è comunque un preliminare sondaggio di opinione pubblica;

 N.10    Attenuazione del vincolo del patto di stabilità per i Comuni e Province, per le spese di investi- mento fisso;

 N.11    Sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione.

 Tutto il mercato finanziario conosce l’esistenza di questa quota “oc- culta” di debito pubblico.

Tanto vale onorarla (magari in due o tre anni), compensandola, a livello di bilancio pubblico, con il minor de- bito conseguente al ricalcolo del contributo italiano agli aiuti europei

 N.12    Ripresa del federalismo fiscale.

Questa è infatti l’unica riforma che, basandosi sul “vedo, voto, pago”, riduce davvero la spesa pubblica, riportandola sotto il controllo dei cittadini. Come nel resto d’Europa.

 N.13    Standard europeo di spesa pubblica

 La spesa pubblica può e deve esse- re ulteriormente ridotta, oltre che per la componente interessi (“Compra- italia”), introducendo per le strutture ed i costi dell’apparato pubblico il criterio generale di riferimento allo standard europeo costituito e/o in- dicato dalla media europea dei costi equivalenti per servizi, del numero degli eletti, dai componenti degli organi, dei compensi pubblici, etc.

Questa proposta fu fatta, inutilmente, nella primavera del 2011!

Va ripresa. Non è necessario che la media europea sia milletrica, scien- tifica. E’ sufficiente che sia indicati- va in termini di buon senso!

LIBERTA’ ECONOMICA

N.1 Moratoria legislativa.

 La lunghezza lineare delle riforme “liberali” targate governo tecnico (decreti legge + decreti attuativi) può ad oggi essere stimata pari a 4,2 kilometri lineari, ovvero 40 campi di calcio messi in fila, ovvero 180 campi da tennis.

Questo non è diritto, ma rovescio! Non è meno burocrazia, ma più burocrazia. Non è semplificare, ma complicare la vita di chi lavora. La prima cosa da fare è quindi una vera moratoria legislativa: per due anni basta nuove leggi!

In specie, salvo eccezioni, da motivare presentandole preventivamen- te agli italiani, tutta la nuova legislazione va fermata per due anni per darci respiro.

Anche la fine dell’orgia legislativa in corso serve per restituire credi- bilità al nostro diritto. E poi serve cambiare sistema come segue. Il “nodo di Gordio”, un nodo che strangola la nostra economia non si scioglie, si taglia! Gli esperimenti fatti finora dimostrano che la cosid- detta deregulation ha effetti limitati. Spesso finisce solo per produrre, in sostituzione delle vecchie,  regole nuove, spesso ancora più complicate onerose delle precedenti.

L’intervento da fare o è radicale o non è: “Tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale od in materia finanziaria e bancaria”

IL SUD

 Al Sud non serve meno Stato, ma più Stato.

Il fanatismo per il mercato, sviluppato anche per importazione europea, causa in specie una simmetrica riduzione del ruolo dello Stato.

E tutto questo, nel Sud, non ha portato più sviluppo per l’economia, ma meno efficienza e più spazio per la criminalità.

Lo stesso per il frazionismo particolaristico degli interventi, (i) non pianificati e sviluppati dal centro e su grandi progetti (gli unici questi capaci di fare massa per lo sviluppo), come è altrove in Europa, e come è stato per decenni fa in Italia, (ii) ma all’opposto interventi quasi sempre piccoli e dispersi in quasi mezzo milione di micro progetti.

Si tratta in specie di 467.000 pro- getti, operati secondo un movimento che è andato dalla periferia verso il centro ed anche per questa ragione pensati in piccolo e per gli interessi locali. Ciò che ha appunto disperso energie e creato nuovo spazio per crescenti forme di pubblica e diffusa corruzione.

Per conseguenza il differenziale nord-sud non si sta riducendo, ma al- l’opposto allargando. L’evidenza dei fondi spesi male, o peggio ancora non spesi, prova che il sistema attua- le non funziona e non può funziona- re. Per questo servono:

N.1      Nuova Cassa del Mezzogiorno.

 Anche per quanto sopra serve tornare alla Cassa del Mezzogiorno, che è stata davvero e bene attiva dal 1951 fino al 1971, l’unico periodo in cui il divario nord-sud si è davvero ridotto!

N.2      La Banca del Mezzogiorno, di cui chissà perché da parte del governo tecnico e dei suoi sponsor non si parla più o malvolentieri, final- mente attivata sui 250 sportelli finora autorizzati dalla Banca d’Italia, deve e/o può essere potenziata, do- po la fase sperimentale, moltiplicandone gli sportelli perché è soprattutto il piccolo credito a piccoli imprenditori, ad artigiani e commer- cianti (credito per un bancone da la- voro o da bar, per un forno da pizze- ria, per un frigorifero, etc.) che sostituisce la base essenziale per lo sviluppo del turismo, dell’artigianato, del commercio, del lavoro.

N.3      Potenziamento dei titoli di risparmio per l’economia meridionale, introdotti al principio del 2011 e fin qui ben sperimentati

N.4      Fiscalità di vantaggio per il Sud.

Se no, a proposito di “battere per davvero i pugni” in Europa, si veda qui di seguito Europa n. 1.

 DEMOCRAZIA E SOCIETA’

 Politica a “costo zero”.

Si comincia con una quarantena: nessun politico può guadagnare per il suo mandato più di un precario. Poi va a regime il sistema standard di compensi corrispondenti alla media europea

 Piena legittimazione dei referendum propositivi e/o consultivi di iniziativa popolare;

La nostra Costituzione è del 1948: prima di internet. Fermo il divieto dei referendum abrogativi su materie eccezionali, l’ostacolo su tutto il re- sto non ha più senso. La Costituzione va modernizzata, allineandola alla realtà nuova. L’avrebbero fatto i padri del 1948, facciamolo noi.

Lo scopo fondamentale di un sistema democratico è far sì che il governo appartenga al popolo, e non il po- polo al governo. L’esperienza delle nostre democrazie ci insegna due cose.

La prima è che molte leggi approvate dai Parlamenti non sono volute dalla maggioranza dei cittadini, ma sono il risultato della contrattazione tra gruppi di interesse. Se i cittadini si fossero potuti esprimere diretta- mente non vi sarebbero mai state leggi che hanno dato privilegi ingiusti (si pensi a certe pensioni, alle sovvenzioni a industrie inefficienti, etc).

La  seconda  è  che,  all’opposto, molte leggi che la maggioranza dei cittadini considera giuste non vengo- no mai approvate, perché non corrispondono a ciò che vogliono i partiti o i gruppi di interesse. L’introduzione del referendum propositivo e/o consultivo permette al popolo di affermare la sua volontà, aldilà degli interessi di parte. Il referendum propositivo e/o consultivo è la vera risposta all’ondata di anti politica, perché riporta i cittadini alle ragioni stesse della democrazia e del vivere comune.

L’antipolitica, combinandosi con il fascismo finanziario, sta erodendo le basi della democrazia. La colpa è della politica.

La cosa giusta non è dunque demonizzare il non voto od il voto di pro- testa, ma:

a)         formulare una offerta politica che vuole essere credibile ed utile per i cittadini;

b)         generalizzare i referendum pro- positivi e/o consultivi la più efficace tecnica di democrazia diretta. Serve una modifica della Costituzione? La si faccia! In realtà i referendum, se costano, soprattutto funzionano. In realtà funzionano soprattutto come remora ”ex ante” e come auto- controllo, da parte della politica. E dunque, si pagano da soli perché funzionano;

 N.1      Abbassare la maggiore età a 16 anni.

La maggiore età si può acquisire con il compimento del sedicesimo anno di età.

I giovani di oggi acquisiscono molto prima che in passato la co- scienza e le conoscenze che li rendo- no adulti. Questo è il risultato di una scolarizzazione sempre più diffusa e prolungata, del mutamento dei rap- porti sociali e tra i sessi, della diffusione dell’informazione, della maggiore conoscenza del mondo attraverso i mass-media ed i viaggi. E’ quindi logico che, come nel 1975 si riconobbero i fenomeni di modernizzazione abbassando la maggiore età da 21 a 18 anni, oggi si compia un passo ulteriore. Rendere i giovani maggiorenni all’età di 16 anni significa renderli pienamente responsabili di fronte a se stessi e di fronte alla società. Significa contrastare davvero l’esclusione e le forme di alienazione giovanile. Soprattutto, significa far loro avere una parte attiva nel determinare il futuro dell’Italia;

N.2      Attribuzione di un duplice voto per l’elezione di Camera e Senato, per i giovani elettori

N.3      Adozione delle proposte liberali per la rete fatte in Germania dal “Piraten Partei”: opposizione ad ogni forma di censura su internet, trasparenza dell’apparato politico, diritto ad un trattamento civile e controllabile dei dati personali, riforma dei diritti d’autore, etc.;

N.4      Elevazione dal 5 al 7 per mille della contribuzione al volontariato. (E’ una ipotesi: invito all’offerta, da parte di tutti i cittadini che possono farlo, di abbracciare la causa del volontariato, ad esempio di sabato. Ciò sarebbe economicamente più utile che aumentare l’IVA o l’accisa sulla benzina. E socialmente ci darebbe una idea viva della sempre più necessaria solidarietà).

 N.5  Elezione diretta del Presidente della Repubblica.







brown   nato   economia   italia   blair   critica sociale   geopolitica   medio oriente   occidente   labour   onu   clinton   bush   siria   putin   sarkozy   stati uniti   storia   mccain   francia   ambiente   israele   iran   rubriche   america   iraq   crisi   sicurezza   usa   berlusconi   afghanistan   ue   hamas   obama   politiche sociali   russia   energia   diritti umani   cina   ahmadinejad   cultura politica   europa   medvedev   terrorismo   gran bretagna   india   nucleare   democrazia