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L'Extraterrestre.

La parabola di Giuliano Amato definito da Cossiga "Una cosa Vomitevole" quando da delfino di Craxi divenne improvvisamente anticraxiano. Oggi diventa Renziano di ferro in cambio di una promessa.
Nell'articolo di Andrea Fabozzi la nemesi di un uomo piccolo piccolo.

Data: 2016-04-30

amato_boschi" src=Felice Besostri, regista di circa una ventina di ricorsi in altrettanti tribunali italiani. «Una data così ravvicinata potrebbe indurre i giudici che non si sono ancora pronunciati a ritardare ulteriormente la loro decisione», spiega. In questo modo ai giudici costituzionali arriverebbe solo il ricorso trasmesso dal tribunale di Messina – che alcuni giuristi considerano debole e a rischio di non essere accolto – e non quello che potrebbero avallare almeno altri cinque tribunali che da tempo si sono riservati il giudizio (Bari, Perugia, Genova, Torino e Trieste, quest’ultimo da quasi tre mesi). Il governo dunque spera di fare la doppietta, salvando prima l’Italicum e poi la riforma costituzionale è il caso però di ricordare che contro l’Italicum si stanno raccogliendo le firme per sottoporlo a referendum abrogativo nel 2017.
Il giudice costituzionale Giuliano Amato ha parlato intanto in favore della riforma, cosa decisamente inconsueta per un componente in carica della Consulta. Con l’abilità che gli è riconosciuta – «sono quarant’anni che parlo di questi argomenti, ha rievocato ieri, tornando ai tempi di Craxi e della «grande riforma» – Amato ha evitato endorsement troppo smaccati, ma ha detto che «è già un bel risultato che ci sia da discutere una riforma costituzionale già approvata» e ha aggiunto «mi aspetto che il nuovo rapporto tra governo e parlamento
possa liberarci dall’ossessione del maxi emendamento con il voto di fiducia». Questa speranza poggia sul nuovo strumento riconosciuto al governo con la riforma, il voto a data certa, che però si aggiunge e non sostituisce decreti, fiducie e maxi emendamenti. Nella stessa giornata, invece, l’ex presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo è intervenuto alla presentazione del «comitato popolare per il No» al referendum costituzionale animato da alcuni parlamentari di centrodestra come Mauro, Compagna e Brunetta. «La riforma disegna un neocentralismo sgangherato», ha detto. E ha evidenziato come il sistema «statalistico» previsto dal nuovo Titolo V non servirà a evitare la conflittualità tra stato e regioni che da anni appesantisce il lavoro della Consulta.

Perché molte materie di rilevanza nazionale so-no rimaste fuori dall’elenco tassativo delle competenze centrali – industria, agricoltura, miniere – mentre altre come l’urbanistica sono state totalmente espropriate agli enti locali. In questo modo i territori non potranno fermare un prossimo condono edilizio deciso a Roma, come invece hanno fatto in passato facendo valere la competenza concorrente delle regioni davanti alla Corte costituzionale. De Siervo è tra i 56 costituzionalisti che hanno firmato il più recente appello per il No al referendum. Appello che ha sottoscritto anche il professor Fulco Lanchester, autore della proposta dei Radicali italiani per un doppio quesito sulla riforma. Per sfuggire a quella che chiamano «la trappola del plebiscito», i radicali proveranno a sottoporre a referendum solo due aspetti della legge Renzi-Boschi: l’elezione indiretta dei senatori-consiglieri regionali e la parziale (e modesta) revisione degli strumenti di democrazia diretta. Tutto il resto sarebbe confermato. L’ufficio centrale della Cassazione dovrà valutare se accogliere questa possibilità, che è guardata con favore in linea teorica da molti costituzionalisti, critici sul fatto che si sottopongano a un solo referendum più argomenti non omogenei. Ma il difetto in questo caso è nella riforma, che andava fatta dividendola in più disegni di legge. Eppure, dice il segretario dei Radicali Maggi, «solo evitando il Sì o il No in blocco si può garantire ai cittadini la libertà di voto».

Andrea Fabozzi
Fonte

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