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Vanity Fair
Believe Me, It's Torture
Christopher Hitchens

Prosegue il contraddittorio pubblico su quali siano le tattiche, le tecniche e le strategie più appropriate (operativamente ed etnicamente) per preservare la sicurezza nazionale americana. Christopher Hitchens è un intellettuale controverso che, da alfiere della sinistra radicale e protagonista del sessantotto, si è trasformato negli anni in sostenitore della politica di George W. Bush in Iraq. Molti di coloro i quali avevano appoggiato l'impresa nel 2003 hanno cambiato opinione, ma sul punto Hitchens si mantiene fermo, nonostante le critiche diffuse che deve periodicamente sopportare. A sorreggerlo l'incrollabile determinazione a combattere la tirannia e la barbarie ovunque esse si annidino. Partendo da questo presupposto, nessuno avrebbe potuto immaginare che Hitchens prendesse posizione contro l'amministrazione Usa rispetto alle modalità con cui viene condotta la war on terror. Tuttavia, l'imprevedibilità del personaggio lo ha indotto a sperimentare su se stesso la controversa tecnica di interrogatorio, il waterboarding, utilizzata talvolta dai militari Usa. Ebbene, Hitchens giunge alla conclusione che la tecnica suddetta non possa che essere accostata alla tortura. Egli inoltre ricorda come, sino a pochi anni fa, il waterboarding venisse utilizzato in America soltanto nelle esercitazioni delle forze speciali, per preparare i militari a resistere al trattamento disumano che avrebbero potuto ricevere nel caso fossero caduti nelle mani di forze nemiche e spietate. Il fatto che oggi il metodo venga utilizzato anche dagli Stati Uniti allarma Hitchens che, dopo la sua traumatica esperienza personale, si augura che “mai più i termini waterboarding ed America vengano associati nella medesima frase.”
 

Center for American Progress
How to Close Guantánamo
Ken Gude


Il Center for American Progress, prendendo spunto dalle vivaci dispute intorno alla sentenza della Corte Suprema Usa sullo status dei detenuti di Guantanamo, propone all'amministrazione in carica, e più ancora a quella che si insedierà nel 2009, un piano per giungere in tempi relativamente rapidi alla chiusura del centro di detenzione dell'isola. Il presupposto su cui si fonda l'iniziativa è evitare che Guantanamo continui a rappresentare un facile bersaglio polemico da sfruttare per i nemici dell'America. La chiusura graduale del centro ripristinerebbe pienamente la legalità, rafforzando la legittimità dell'operato delle forze di sicurezza e dell'intelligence Usa. Il piano dovrebbe articolarsi in cinque punti:
 1) Annunciare la chiusura del Campo Delta entro 18 mesi;
 2) Processare una parte dei detenuti davanti a tribunali federali e militari, in modo da rendere trasparente e pubblico il giudizio dei sospettati di crimini più o meno gravi;
 3) Dopo previa valutazione caso per caso, prevedere piani riabilitativi e di reinserimento di una parte dei detenuti, seguendo così un modello già sperimentato in Iraq dall'esercito Usa;
 4) I condannati dai tribunali statunitensi dovranno poi essere trasferiti in carceri di massima sicurezza;
 5) I detenuti rimasti nel frattempo a Guantanamo sarebbero a quel punto una minoranza, ossia i prigionieri di guerra catturati in Afghanistan ritenuti una seria minaccia per le truppe della coalizione. Essi dovrebbero essere rimpatriati e consegnati a centri di detenzione controllati dalla Nato in territorio afgano.

 

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