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Il prossimo 2 aprile, a Londra, si terra' un'attesa riunione del G20.Molti osservatori e analisti internazionali si augurano che in quell'occasione i governanti delle economie piu' avanzate e dei Paesi emergenti gettino le basi politiche per uno sforzo coordinato e partecipato per superare la fase recessiva in cui e' sprofondata l'economia mondiale.

Consapevole della portata dell'evento, la Fabian Society, storico think tank del socialismo britannico, ha organizzato nella capitale inglese una due giorni di dibattiti per anticipare le tematiche centrali che saranno discusse al G20. L'11 marzo, il ministro del Tesoro del Regno Unito, Stephen Timms, ha partecipato, insieme all'ex primo ministro danese, Poul Nyrup Rasmussen e al giornalista della prestigiosa rivista statunitense, Newsweek, Stryker McGuire alprimo dei due seminari fabiani. Gli oratori si sono interrogati sulsignificato del prossimo vertice e sulle concrete possibilita' per i leader mondiali, particolarmente il nuovo presidente americano, di traghettare l'economia fuori dalle secche della crisi. Rasmussen, a capo del Partito socialista europeo, ha auspicato che l'Europa possa finalmente assumere un ruolo guida in questo processo.

Rilevante anche il secondo appuntamento, che ha riunito un network di esponenti politici, giornalisti, operatori finanziari e analisti legati a vario titolo alla Fabian Society. Eloquente la denominazione della giornata di studio e discussione, che si e' tenuta il 12 marzo: "Il G20 e oltre:una risposta multilaterale alle crisi economiche". Hanno preso la parola, oltre a Caroline Flint (ministro per l'Europa del governo Brown), Roland Rudd (presidente di Business for New Europe), Katinka Barysch (vice direttore del Centre for European Reform/Cer) e Roger Liddle (ex consigliere economico del presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso, e di Tony Blair). Il dibattito ha preso in esame il rischio protezionismo, le minacce poste dall'instabile sistema finanziario internazionale e le proposte per rilanciare la crescita e lo sviluppo una volta che la fase piu' acuta della crisi recessiva sara' terminata. Particolarmente interessante l'annotazione di Katinka Barysch, giovane ma affermata ricercatrice del Cer, che ha sottolineato come il G20 (un vertice politico e non tecnico) non debba essere considerato dai media come un semplice evento, per quanto prestigioso. Si tratta in realtà di un processo in continua evoluzione che, tramite il coinvolgimento delle economie emergenti, mira a sanare le ferite dell'economia globale e a costruire meccanismi che, aldilà dell'attuale fase emergenziale, fortifichino l'impalcatura finanziaria mondiale.
Critica Sociale ha presenziato ad entrambi gli appuntamenti.

“Sarebbe un grave errore credere che il G20 di Londra possa fare miracoli“. Così si è espresso Paul Nyrup Rasmussen durante l'incontro organizzato dalla Fabian Society lo scorso 11 marzo per discutere dell'imminente vertice tra le venti economie più sviluppate del pianeta. I leader mondiali che si ritroveranno a breve per affrontare le conseguenze della crisi economica mondiale e per proporre ricette per risolverla dovranno essere guidati da ambizione e realismo, continua il presidente del Partito socialista europeo ed ex primo ministro danese. Sotto questo profilo, Londra sarà solo il primo di una serie di passaggi per calibrare politiche il più possibili sostenibili e coordinate tra i vari attori internazionali.

Sulla stessa lunghezza d'onda si è posizionato il giornalista della prestigiosa rivista statunitense Newsweek, Stryker McGuire, che ha messo in luce quanto scarso sia, o perlomeno appaia, l'interesse per il G20 sull'altra sponda dell'Atlantico. “I principali quotidiani americani, tra cui il Washington Post e il New York Times, dedicano poco spazio all'evento del 2 aprile: molti in Europa sottovalutano quanto possano essere “insulari” gli Stati Uniti, nonostante si sia appena insediato il presidente più progressista e multilateralista della loro storia recente.” Ciò non significa, prosegue McGuire, che il governo Usa sia intenzionato a trascurare il vertice di Londra. Nel prossimo mese di aprile gli americani, insieme a i loro alleati e a quanti condividano la preoccupazione per i rovesci finanziari di questi mesi, saranno chiamati a rinnovare il proprio impegno per il mantenimento della stabilità economica mondiale. Un compito che Washington non può mancare di assolvere. Inoltre, il G20 pare essere ormai il forum più adeguato sia per rilanciare la leadership statunitense sia per testare la volontà dialogante della nuova amministrazione Usa. Del resto, sostiene ancora Rasmussen, è probabile che il G20 sia destinato a divenire, a discapito del G7, l'appuntamento più rilevante per riunire gli attori principali della governance globale.

Il ministro del Tesoro britannico, Stephen Timms, l'ultimo dei tre autorevoli oratori intervenuti all'appuntamento, moderato dal Segretario generale della Fabian Sunder Katwala, è entrato nel merito, illustrando i quattro punti nodali che dovranno essere sviluppati dal summit londinese. Innanzitutto, stimolare l'economia con interventi coordinati a livello di politiche macroeconomiche. In secondo luogo, porre un nuovo accento sulla regolamentazione finanziaria (Quali regole per l'economia globalizzata? Come farle rispettare?) e intavolare un serio dibattito sulla spinosa questione dei“paradisi fiscali”. In terza battuta, riformare le istituzioni finanziarie internazionali, soprattutto il Fondo monetario internazionale (Fmi). Infine, prendere spunto dalla recessione in atto per mettere in cantiere una complessiva ristrutturazione dell'economia globale che tenga conto dei principi dello sviluppo sostenibile, dei Millennium development goals stabiliti in sede Onu e delle conseguenze del riscaldamento climatico.

I conferenzieri hanno poi spostato il fuoco della discussione dagli Stati Uniti all'Europa. Timms e Rasmussen hanno ricordato come il segretario del Tesoro Usa, Timothy Geithner, abbia recentemente proposto ai partner un pacchetto di stimoli fiscali coordinati equivalente al 2% del Pil mondiale per il prossimo biennio. La dichiarazione è servita a rendere a tutti chiara quale sia la misura dell'impegno statunitense per contrastare la crisi. Ora tocca all'Europa far capire quale ruolo intenda svolgere in questo momento cruciale. Rasmussen ha rievocato in proposito i suoi recenti contrasti con Josè Manuel Barroso. La contestazione mossa dall'ex premier danese al presidente della Commissione Ue verteva sullo scollamento tra le dichiarazioni di principio delle istituzioni comunitarie e le azioni effettivamente poste in essere dai governi degli stati membri.

Nel dettaglio, l'Europa aveva promesso di impegnarsi per mettere in campo stimoli fiscali pari all'1.5% del Pil mondiale. Addirittura, Barroso ha recentemente sostenuto che la quota abbia raggiunto il 3.3 %, ma, secondo Rasmussen, una simile affermazione non è credibile poiché il reale effetto sulla domanda si sarebbe aggirato intorno alla 0.9%, la metà di quanto proposto dagli americani. In conclusione: piuttosto che arrovellarci sulla credibilità dell'impegno Usa nel fronteggiare la crisi noi, europei, dovremmo preoccuparci di fare la nostra parte con maggiore impegno e concretezza. Altrimenti i richiami europei alla tanto decantata, e senza dubbio desiderabile, nozione di multilateralismo negli affari internazionali rimarranno inesorabilmente privi di sostanza politica.
 

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