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Consiglio Regionale del Veneto, 17 aprile 2009,

Una lezione da ricordare, anche se ancora inattuata. Questa l'eredità del politologo e giurista lombardo Gianfranco Miglio, il gran teorico del federalismo in Italia, messa a fuoco dal convegno promosso dal Consiglio regionale del Veneto a palazzo Ducale, nella sala del Piovego, a otto anni dalla sua scomparsa. Non un anniversario - ha chiarito il presidente del Consiglio veneto Marino Finozzi - ma un lascito oggi più che mai attuale, nei giorni in cui sta prendendo definitivamente corpo la riforma federalista dello Stato attraverso la legge proposta dal ministro Calderoli e approvata in prima lettura da Camera e Senato. A ripercorrere l'itinerario del pensiero di Miglio, le sue preveggenti anticipazioni e, al tempo stesso, le sue disillusioni, sono stati giuristi e costituzionalisti, alcuni dei quali suoi collaboratori o allievi, primi tra tutti Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica di Milano, e Massimo Cacciari, sindaco di Venezia. Insieme a loro Ettore Adalberto Albertoni, docente alla Statale di Milano ed ex presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Luca Antonini e Mario Bertolissi, costituzionalisti dell'Università di Padova.

Per Finozzi l'idea "rivoluzionaria" e anticipatrice di Miglio sta nell'aver prospettato, sin dagli anni Ottanta, "il concetto di popolo che deve pretendere che le istituzioni funzionino per rafforzare lo sviluppo del territorio, le piccole imprese, i valori della famiglia e dell'identità locale". "La possibilità di dare una base politica a questa società e a questa economia è federalismo - ha spiegato Finozzi - che supera il centralismo di uno stato atrofizzato, invaso dalle clientele. La capacità di Miglio di analizzare insieme istituzioni e territori mette in luce due aspetti molto importanti: istituzioni efficienti per i territori economicamente vivaci, autonomie e federalismo forte per alleggerire lo Stato". Quello inseguito da Miglio - ha aggiunto Finozzi - è un federalismo forte, capace di semplificare la politica introducendo il principio cardine della responsabilità di decisione, unico baluardo al gioco infinito dello scaricabarile. Nella visione del politologo comasco - ha ricordato ancora il presidente del Consiglio veneto - "leggi semplici, responsabilità di decisione uniche, centri di spesa collegati a centri di prelievo sono elementi che avvicinano le istituzioni ai cittadini e li fanno sentire davvero partecipi di un popolo. In questo modo - è la lezione di Miglio - non c'è più una politica che decide e un popolo che partecipa, ma il dialogo costante tra politica e popolo che porta ad un allargamento della democrazia e a una sua più forte legittimazione".

Per Massimo Cacciari la grandezza dello studioso lombardo sta innanzitutto nella sua capacità di aver tentato una "igiene linguistica" sul termine 'federalismo' e di averlo collocato in una prospettiva di superamento dello Stato moderno. "Il federalismo di Miglio è una visione profetica - ha detto il sindaco-filosofo - che supera la forma dello Stato-nazione. Già negli anni Ottanta egli intravedeva il compimento dello Stato, portato a esaurimento dal duplice fenomeno della secolarizzazione e della globalizzazione, e individuava nell'articolazione federalista la speranza per una nuova forma politica, oltre lo Stato". Per Cacciari l'impianto filosofico che sorregge il pensiero federalista di Miglio porta in sé anche la sua contraddizione: "Pur nascendo da una esigenza filosofica - ha spiegato - nel concreto l'assetto federale prospettato da Miglio è di natura pattizia, un prodotto di scambio. Certo Miglio non pensava a un negoziato tra Stato e le 18 regioni attuali, perché con 18 regioni non si potrà fare mai nessun federalismo, ma immaginava poche macroregioni, il riassetto del Parlamento con l'istituzione del senato federale e il rafforzamento del governo. Tuttavia l'aver immaginato un federalismo pattizio tradisce il disincanto con cui Miglio guardava alle possibilità di una riforma federalista".

Nella lunga evoluzione del pensiero di Miglio, che si dipana dagli anni Quaranta al 2001 - ha spiegato Lorenzo Ornaghi - il federalismo è cosa diversa dal regionalismo, del quale aveva già preconizzato tutti i limiti. "Il federalismo non è agli occhi di Miglio - ha sottolineato il rettore della Cattolica - un correttivo delle disfunzioni dello stato moderno ma una sorta di nuova anima della politica. Consapevole dell'esaurimento dello Stato nazione e del progressivo decadimento del sistema politico italiano, Miglio prospetta il modello della lega anseatica e delle città mercantili identificando nell'assetto federale uno scudo delle libertà economiche, un assetto istituzionale funzionale alle esigenze di libertà dell'economia e della società. La sua lezione non è una risposta alle inefficienze del passato, ma una proiezione aperta al futuro". La duplicità di un politologo al tempo stesso "realista e sognatore" è stata evidenziata anche da Ettore Adalberto Albertoni che ha sottolineato come la visione di Miglio sia diventata una prospettiva concreta di riforma dello Stato grazie all'incontro con la Lega Nord, della quale il costituzionalista lombardo è stato senatore per tre legislature. "Da quell'incontro - ha affermato l'ex presidente del Consiglio regionale della Lombardia - è nata una esperienza politica unica in Italia che, proprio in terra lombarda, grazie allo scatto d'orgoglio del parlamento regionale lombardo, ha generato il nuovo Statuto delle autonomie, approvato all'inizio di questa legislatura con il 95 per cento dei consensi assembleari, una proposta di legge al parlamento nazionale sulla compartecipazione ai tributi fiscali, ora confluita nel ddl Calderoli, e la puntuale rivendicazione da parte della Regione Lombardia di forme e condizioni particolari di autonomia su 12 materie legislative, secondo quanto previsto dall'articolo 116 del nuovo titolo quinto della Costituzione".

I rapporti tra il pensiero di Miglio e la Costituzione italiana sono stati indagati da Antonini e Bertolissi, entrambi docenti di diritto costituzionale all'Università di Padova. Per Luca Antonini, consulente del ministro Calderoli per la riforma federalista, le idee di Miglio sono particolarmente feconde in tema di sussidiarietà, di federalismo fiscale e conseguente responsabilizzazione dei governi locali, di pluralismo istituzionale. Vivono nell'ormai prossima riforma del federalismo fiscale, che conferisce autonomia e responsabilità ai governi locali, ma sono ancora del tutto inattuate per quanto riguarda la riforma complessiva dell'architettura costituzionale, là dove il politologo lombardo intendeva rafforzare i poteri del governo e creare un senato federale per superare l'attuale formula del doppio parlamentarismo che - ha sottolineato Antonini - rappresenta "un pezzo di antiquariato del costituzionalismo mondiale". Anche Mario Bertolissi ha evidenziato come, secondo la visione di Miglio, la seconda parte della Costituzione, relativa alla forma di governo, non sia coerente con la prima parte, che determina i principi e i valori della repubblica secondo una ispirazione personalistica. "Nella seconda parte della Costituzione - ha detto Bertolissi - difetta del principio di responsabilità, che dovrebbe rappresentare la logica conseguenza di una impostazione personalistica". Il federalismo di Miglio è un sistema virtuoso, purché non sia condizionato dalla burocrazia degli apparati. Ha concluso il convegno il vicepresidente della Regione Veneto Franco Manzato, sottolineando la modernità culturale del pensiero politico di Gianfranco Miglio.
 

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