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Luca Rossetti, Cfp, 12 giugno 2009,

L'esito delle urne nel vecchio continente riaccende l'attenzione sulla presenza dei verdi nella politica europea. E' anche la ricerca di altri riferimenti valoriali e progettuali per il campo democratico che contribuisce a rianimare la curiosità sugli ecologisti. Nel quadro dell'eclisse della socialdemocrazia 
questo interesse cresce anche sulla spinta delle suggestioni che arrivano dall'amministrazione Obama.
Al parlamento europeo, rispetto al 2004, i verdi passano da 42 a 51 membri diventando il quarto gruppo dopo il  PPE, il PSE , i liberaldemocratici e superando la Sinistra comunista (33).
Più delle metà dei componenti della compagine ecologista arriva dalla Francia e dalla  Germania con 14 europarlamentari a paese. I dati più eclatanti dell'arcipelago verde continentale sono quello transalpino per un verso, con il raddoppio della percentuale elettorale balzata dall'8 al 16,4%, e quello italiano, con i Verdi che azzerano la propria precedente rappresentanza. I verdi nostrani si sono condannati all'estinzione; ridotti al lumicino anche nella gran parte delle realtà locali in cui si è recentemente votato.

I verdi francesi e quelli tedeschi in questi anni hanno invece vissuto un processo di profonda trasformazione passando da realtà frammentate, al limite della polverizzazione, ad un nuovo rassemblement (Francia) o ridefinendo la propria collocazione  politica (Germania). In questi due paesi gli ecologisti non sono restati al palo, ridisegnando la propria identità alla luce dei mutati scenari politici nazionali ed internazionali. Certo a Parigi e a Berlino le difficoltà dei partiti della famiglia PSE hanno reso più agevole questa operazione.
Sul fronte translalpino  Cohn Bendit, ex leader del maggio francese, con europe ecologie ha messo insieme un coacervo spurio costituito da spinte europeiste, protezionismo antiglobalista campesino alla José Bové con la battaglia anticorruzione dell' ex pm Eva Joly, il tutto impreziosito dal suo combattivo carisma.
In Germania il processo in atto è diverso. Il co presidente dei verdi tedeschi è il turco Cem Ozdemir che ha spinto i grünen in una collocazione centrista esprimendo una vocazione di governo (locale e centrale) finalizzata a cogliere l'opportunità di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Il tema delle politiche pubbliche ambientaliste è diventato la bussola dell'agire politico dei grünen animato da un approccio pragmatico, positivo e realista. Özdemir opera, nel contempo, anche per il ricambio generazionale dei Grünen. Özdemir figlio di immigrati turchi ha 43 anni, ex pupillo di Joschka Fischer, esponente dell'ala realos (pragmatica e riformista) è efficace nel sostenere queste tesi tanto che diversi osservatori si sono spinti a etichettarlo come l'Obama tedesco.

Certo, vanno tenuti presenti anche i vincoli e le opportunità costituite dai differenti quadri nazionali di partenza di ogni paese: le rispettive leggi elettorali ed i modelli istituzionali di riferimento. Fatta la tara di tutto questo la rappresentanza politica ecologista in Italia è rimasta comunque immobile, preda dell'esigenza di autoconservazione di un vecchio ceto politico nella gran parte dei casi reduce dalla battaglie politiche degli anni '60, ‘70 e da quelle antinucleari degli anni ‘80. 
Un ceto politico spentosi per autoconsunzione dopo aver cercato la sopravvivenza nelle secche di un minoritarismo di estrema sinistra confuso tra pulsioni anticapitaliste, sindacalismo ambientalista abbarbicato alle logiche localistiche nimby e ricerca disperata di scialuppe elettorali per restare a galla. Rammentiamo che sono arrivati prima il Girasole con lo SDI, poi la parentesi della disastrosa operazione Sinistra Arcobaleno sotto l'egida di Bertinotti e, infine, l'accordo elettorale Sinistra e Libertà con vendoliani, Sinistra Democratica e socialisti.

Tutto questo cammino è stato accompagnato da una progressiva scomparsa delle tematiche ambientali dall'agenda politica nazionale tra un centro destra che, unico in Europa, ha votato al Senato un ordine del giorno negazionista sui cambiamenti climatici e un Partito democratico che non ha ancora preso sul serio la sfida della sostenibilità.  Una sfida che potrebbe divenire uno degli spunti più vitali di una nuova narrazione politica all'altezza dei nostri tempi. Un patrimonio di valori e progetti troppo importante per essere lasciato nelle mani di uno sterile radicalismo di sinistra o di impostazioni ideologiche passatiste, pro decrescita.
 

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