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Olivier Roy, Brookings Institution, 29 maggio 2009,

Ciò premesso, è fondamentale comprendere quando una gruppo terroristico oltrepassa la soglia e diventa un soggetto con cui confrontarsi per addivenire a soluzioni politiche. Su questo punto Europa e Stati Uniti hanno talvolta espresso valutazioni contrastanti. Di conseguenza, le differenti percezioni sulla reale natura di organizzazioni pronte ad utilizzare lo strumento terroristico come Hamas e Hezbollah e il diverso atteggiamento verso il consolidamento dei Taliban in Afghanistan hanno reso negli anni complicata una azione comune occidentale per interdire la diffusione di movimenti fondamentalisti nel Grande Medio Oriente. Consapevole dell'attualità e la centralità della questione, la Brookings Institution ha rilanciato il dibattito, radunando alcuni tra i massimi esperti a livello internazionale nell'ambito di uno dei tavoli della Conferenza Annuale del Center of the United State and Europe (Cuse).

Hamas ed Hezbollah, sebbene responsabili di atroci delitti contro i civili israeliani, libanesi e palestinesi e per quanto affiliati con governi sgraditi al mondo occidentale quali Iran e Siria, possono contare su di un consistente seguito all'interno dei contesti ambientali di riferimento. Hamas nel 2006 ha vinto le elezioni nei Territori Palestinesi e gode tuttora di grande consenso nella Striscia di Gaza che governa, mentre Hezbollah dopo aver guadagnato popolarità a Beirut durante la guerra contro Israele di tre estati fa ha perso di misura la recente consultazione in Libano. Il loro destino non è di essere spazzati via da Israele, e a Gerusalemme ne sono consapevoli, ma di rimanere al centro della vita politica palestinese e libanese. In questi casi il dialogo e il negoziato non sono opzioni ma scelte obbligate per iniziare a costruire un processo di pacificazione quanto mai desiderabile, o quantomeno per porre le basi di una coesistenza accettabile. La scelta è tra negoziato e guerra, l'annientamento di Hamas ed Hezbollah non è attualmente praticabile, né lo sarà nel medio termine.

Ma qual è il vero problema posto dai Taliban? Non l'utilizzo di tattiche terroristiche contro la popolazione afghana, contro le truppe internazionali che dopo il 2001 hanno occupato il Paese, o (più remotamente) contro i civili in Europa e negli Stati Uniti. La vera difficoltà nell'intrecciare un dialogo con i Taliban risiede nell'opacità della loro agenda politica. Tutti conoscono gli obbiettivi politici di Hamas ed Hezbollah, ossia prendere il controllo del potere statale e definire nuovi confini con Israele. Obiettivi che Gerusalemme, Bruxelles e Washington sono pronti a contrastare con forza, ma che lasciano aperti spiragli di trattativa per giungere a compromessi ed accomodamenti. E'infatti possibile, per quanto difficile, discutere dello status di Gerusalemme, dei confini definitivi di un futuro Stato palestinese o della spartizione del potere in Libano tra le diverse componenti etniche. Con i Taliban le cose cambiano, perché il loro unico scopo sembra essere quello di estendere l'applicazione di una versione retriva della legge islamica su una vasta porzione del territorio afghano. Una prospettiva inaccettabile. E allora, che fare?

In conclusione, per quanto possa apparire aberrante e sgradevole, le diplomazie e le intelligence occidentali dovranno rassegnarsi alla presenza sulla scena di forze ostili ai propri interessi come Hamas, Hezbollah e i Taliban, cercando di contrastarle nei loro eccessi ma mantenendo sempre aperta l'opzione negoziale. Presto o tardi, nonostante le loro dichiarazioni bellicose e apparentemente irrazionali, i vari Meshal e Nasrallah, si rassegneranno anch'essi al compromesso.

  
 

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