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Polly Toynbee è tra gli opinionisti più ricercati alla Conference laburista, sia per la sua indubbia competenza che per la schiettezza che caratterizza i suoi giudizi sulle scelte del partito. Dopo aver interloquito con David Miliband durante l'evento organizzato dal Guardian (il giornale per cui scrive), la Toynbee è stata ospite di un incontro serale della Fabian Society. Moderatrice di un dibattito sulla vera natura dei “nuovi conservatori” di David Cameron che ambiscono a ritrovare il potere dopo dodici anni di opposizione, l'editorialista del Guardian non ha resistito alla tentazione di confrontarsi con Fraser Nelson, direttore politico del giornale conservatore The Spectator.
Partendo dalla constatazione che negli anni di governo laburista la povertà nel paese si è ridotta rispetto agli anni ottanta, Toynbee ha voluto confutare due credenze diffuse, rispettivamente, in Europa e nella stessa Gran Bretagna. Molte forze progressiste (soprattutto di estrema sinistra) del vecchio continente associano il blairismo ad una svolta neo-liberista dei riformisti d'oltre Manica, quando in realtà l'attenzione per le tematiche di giustizia sociale non è certo venuta meno dal 1997 in poi. A Londra, molti ricercano una presunta continuità tra il thatcherismo, l'egemonia laburista e il possibile ritorno dei Tories a Downing Street la prossima primavera. Tutte speculazioni che Toynbee rigetta.Sul fronte sociale, il New Labour ha operato come una vera forza progressista, ben lontana dal conservatorismo compassionevole (a parole) che contraddistingue l'impostazione Tories. Blair, Mandelson e Brown non hanno smantellato il welfare. Dodici anni fa, il mondo occidentale si dimostrava concorde e pronto a seguire il mantra neo-liberista, che, partendo da un'analisi corretta (l'impossibilità di sostenere lo Stato del benessere novecentesco), approdava ad una conclusione radicale (la quasi totale eliminazione degli istituti di welfare). I laburisti allora rifiutarono quell'impostazione massimalista e scelsero il gradualismo, rimuovendo le rigidità burocratiche di ostacolo ad un corretto rapporto Stato-cittadino, promuovendo l'efficienza, la competitività tra pubblico e privato sociale e la possibilità di scelta degli utenti tra servizi differenziati. Essi hanno perseguito un obiettivo ambizioso con successo e molti governi europei, di destra e di sinistra, hanno deciso negli anni di seguire lo stesso percorso. Non credo quindi di esagerare, prosegue l'editorialista del Guardian, quando affermo che il New Labour ha rappresentato l'ultima e più compiuta evoluzione culturale del socialismo europeo.
Per questo, oggi, più di ogni altra forza di sinistra, il New Labour può permettersi di parlare di redistribuzione della ricchezza senza temere accuse di dirigismo o statalismo. Un sistema fiscale equo, progressivo ma non punitivo, è la condizione essenziale perché il merito venga riconosciuto e premiato nella società. Applicando un simile principio, la redistribuzione della ricchezza non è più sentita come la sottrazione di risorse ad una fascia della popolazione a vantaggio di un'altra tacciabile di atteggiamenti parassitari. In un contesto sociale che non garantisce ancora pari opportunità di partenza a tutti, il favorire la mobilità verticale dei meritevoli ed il sostenere coloro che non hanno potuto cogliere le occasioni di emancipazione dalla povertà risultano essere due priorità complementari e non contraddittorie. In tempi di crisi, il Labour deve trovare il coraggio di ribadire la correttezza di quei principi che lo hanno orientato con successo negli anni scorsi.
Al termine del dibattito, Polly Toynbee ha avuto la cortesia di rispondere ad alcune domande che le abbiamo posto:

Qui a Brighton è diffusa la convinzione che il Partito necessiti di una scossa, di una nuova grande idea per recuperare il supporto dell'elettorato. Quale crede possa essere?

Credo che la svolta debba essere rappresentata innanzitutto da una nuova leadership, in grado di ricostruire un rapporto di fiducia e di empatia con la gente. Beninteso, non possiamo che apprezzare la prontezza con cui Gordon Brown è intervenuto a sostegno del sistema finanziario nazionale, ma, forse, dopo dodici anni al governo, è necessario un cambio di marcia, rappresentato da una nuova personalità. Direi che la persona che ci sta per raggiungere qui alla Fabian Society  (il riferimento è a David Miliband, ndr) risponde ai requisiti che ho menzionato.
Se vogliamo spostare il discorso su un piano più sostanziale, sono d'accordo con quanto recentemente  sostenuto da Peter Mandelson. E' vero, è giunto il tempo di ridisegnare le istituzioni finanziarie inefficienti, sia a livello nazionale che internazionale. I loro errori ci hanno condotto alla situazione attuale. Tuttavia, non basta riempirsi la bocca con termini come “ingegneria finanziaria” od altro ancora. E' necessario piuttosto un intervento che tenga conto degli effetti delle scelte finanziarie sull'economia reale e che garantisca un corretto funzionamento di quest'ultima. In ultima analisi, è l'economia reale che interessa le persone, la loro capacità di spesa e di consumo. E ancora, è tempo di costruire una nuova coalizione democratica, che abbracci tutte le anime progressiste del paese. E' tempo di aprire un serio dialogo con i Liberal-Democratici. I laburisti devono parte dei loro successi alla capacità di allargare la propria base di consenso e di entrare in sintonia con la maggioranza dei britannici, che sostanzialmente condividono una visione avanzata dei rapporti sociali. Un ricambio della leadership, un ripensamento del sistema economico-finanziario e una nuova coalizione politico-sociale: queste sono le chiavi di volta per la ripresa del progetto del New Labour.

Secondo i sondaggi  Labour e Liberal-democratici raggiungerebbero, insieme, il 45% dei voti e avrebbero le potenzialità per governare insieme. Crede che un'alleanza tra i due partiti possa concretizzarsi già dalle prossime elezioni?

Le voci di una possibile alleanza tra Lib-Dem e Labour si rincorrono da tempo ed io penso sia una prospettiva realizzabile in futuro, ma non entro le elezioni della prossima primavera. In questo momento le agende politiche di Gordon Brown e di Nick Clegg (leader liberal-democratico) sono troppo distanti perché si possano credibilmente avvicinare in così poco tempo. Del resto, durante la Conference liberal-democratica di metà settembre a Bournemouth non sono mancati né attacchi alla gestione economica di Downing Street, né proposte di forti tagli alla spesa pubblica che paiono lontane dalle intenzioni dell'attuale governo e assimilabili piuttosto alla retorica di Cameron.

Ritiene che il declino del centro-sinistra europeo, e italiano, sia definitivo?

Quello che è successo in Germania all'Spd è piuttosto deprimente. Le recentissime elezioni si sono risolte in un'autentica catastrofe (con una perdita di oltre dieci punti percentuali rispetto alle passate legislative del 2005). Anche se devo ammettere che alcune scelte di politica economica di Angela Merkel suscitano un certo apprezzamento negli osservatori che, come me, militano nel campo riformista. Ovunque nel continente noto una crisi delle forze che si definiscono progressiste ed è evidente che, per quanto ciascuna realtà nazionale faccia storia a sé, esiste un nesso che collega i suddetti fallimenti: l'incapacità di farsi comprendere dalla società. Nello specifico, in Italia si aggiunge anche il problema della frammentazione e del tradizionale particolarismo delle diverse anime della sinistra. Se vogliamo, al centro-sinistra manca un federatore come è stato Silvio Berlusconi per il centro-destra. Anche il nuovo esperimento del Partito democratico soffre di questa carenza storica, condizionato com'è dal fazionalismo tra l'area cattolica e socialdemocratica che impedisce di trovare una sintesi convincente e innovativa.
Alle parole di Polly Toynbee hanno fatto eco le considerazioni di Stephen Twigg, chair di Progress e direttore di Foreign Policy Centre, due dei think tank più in vista della galassia laburista, che ci ha confidato le sue perplessità rispetto all'evoluzione del centro-sinistra nel nostro paese. Sfruttando l'esperienza dei genitori nelle fila del British Communist Party degli anni settanta, Twigg ha avuto modo di conoscere diversi esponenti del Pci/Pds prima e del Partito democratico poi e di approfondire la sua conoscenza delle dinamiche della politica italiana, anche a livello locale. Tuttavia, ciò non impedisce all'intellettuale britannico di esternare francamente il suo criticismo.
Alla sinistra italiana, sostiene Twigg, manca un legame solido e regolare con le realtà progressiste del resto d'Europa. Un problema dovuto anche alla debolezza dei network che connettono i partiti socialisti, socialdemocratici e riformisti. Infatti, credo che la sinistra europea viva una situazione di prostrazione anche a causa del provincialismo che caratterizza le diverse esperienze nazionali. Servirebbe un maggiore impegno al confronto e all'interscambio reciproco, dalla Gran Bretagna alla Germania, dalla Francia all'Italia e alla Spagna. Sarebbe una grande occasione di arricchimento culturale, che senz'altro aiuterebbe i riformisti italiani a rialzare la testa e proporsi come credibile alternativa di governo. Un altro aspetto da perfezionare riguarda la democrazia interna e la dialettica tra le diverse correnti. Spesso si tende a zittire l'opposizione interna in nome dell'unione. E'una questione che interessa anche il New Labour e sulla quale non mi stancherò mai di insistere. Senza dibattito interno una formazione politica rischia l'inaridimento. Spero che i vertici del mio partito non lo dimentichino.

(continua)

A cura di Fabio Lucchini  
 

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