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Brookings Institution, 14 gennaio 2010,

Nel suo primo anno di mandato presidenziale Barack Obama ha intrapreso importanti azioni per allontanare gli Stati Uniti e l'economia mondiale dall'abisso della Depressione. Una forte dimostrazione di leadership, che dovrà essere comunque confermata nei prossimi mesi per garantire una definitiva uscita dalla crisi globale. Un giudizio positivo quello che Kemal Derviş e Eswar Prasad, della Brookings Institution, riservano alla gestione dell'emergenza finanziaria del neo-presidente, pur con qualche riserva.

A livello interno, l'amministrazione Obama merita credito per essere riuscita ad arrestare il crollo del sistema e ad aver aperto qualche prospettiva di ripresa. Nonostante qualche errore, la combinazione di investimenti diretti nel settore finanziario, di bassi tassi di interesse, di immissione di moneta nel sistema e di forti stimoli fiscali si è rivelata di cruciale importanza per temperare gli effetti della crisi.
A livello internazionale, il presidente Usa ha ottenuto i risultati più apprezzabili, soprattutto nei primi mesi del suo mandato. Sua la spinta decisiva per trasformare il G-20 nel vero punto di riferimento per l'economia globale, in considerazione del fatto che la vecchia formula del G-8 non rispecchia da tempo i reali equilibri dell'ordine mondiale. La nuova configurazione che riconosce formalmente il ruolo dei mercati emergenti non è stata certamente caldeggiata soltanto dagli Stati Uniti, ma senza l'appoggio americano non avrebbe potuto realizzarsi in così poco tempo. Obama e i suoi consiglieri hanno fatto in modo che i summit di Londra e Pittsburgh gettassero le basi per una rinnovata cooperazione globale che includesse finalmente a pieno titolo attori quali Cina, India e Brasile.

Il presidente Usa si è adoperato per rafforzare la capacità finanziaria del Fondo monetario internazionale (Fmi), incorporando alcune tra le principali economie emergenti nel Financial Stability Board e ridando fiato ad un'organizzazione che stava vivendo una pericoloso involuzione.

Tuttavia, questi e altri risultati positivi sono stati parzialmente oscurati dal fallimento americano nel perseguire un chiaro e decisivo progresso sul fronte del cambiamento climatico. Nonostante le promesse americane di sostenere finanziariamente gli sforzi di adeguamento tecnologico e ambientale dei paesi in via di sviluppo, il summit Onu di Copenhagen non ha dato i frutti sperati.
Nel frattempo, nuove sfide incombono.

Sul fronte interno, aldilà della retorica, Obama deve far accettare al paese e al Congresso una serie di dure misure per contrastare la preoccupante crescita del deficit e del debito pubblico, tra le quali una tassa sul valore aggiunto dei consumi. Non è pensabile che la minaccia che aleggia sull'economia americana possa dissolversi in pochi mesi; si richiede una risposta efficace, complessa e dai risvolti poco piacevoli per le tasche degli americani. Un comunicatore della levatura di Obama deve sfoderare le sue doti migliori per spiegare ai concittadini il peso relativo dei costi e dei benefici, dei sacrifici e delle ricompense. Altrimenti si ingenererà inevitabilmente il panico tra i contribuenti.

Sulla scena globale sembra che, dopo un periodo di grande attivismo prima del G-20 primaverile di Londra, gli Usa si stiano defilando. Invece, la prima potenza mondiale dovrebbe sempre mantenere un ruolo preminente: sull'amministrazione Obama ricade quindi l'onere di riprendere l'iniziativa, proponendo un nuovo modello di gestione che comprenda politiche che incoraggino una crescita a lungo termine dei risparmi privati e che riporti il deficit sotto controllo. Questo perché molti governi europei, legittimamente, guardano con preoccupazione al crescente deficit Usa e alla scarsa propensione al risparmio degli americani. Due fattori che innegabilmente destabilizzano i mercati finanziari. E' anche importante che gli Usa guidino un'ambiziosa riforma della Banca mondiale e del Fmi, favorendo un aumento dei capitali a loro disposizione al minimo costo possibile per il contribuente americano.

Ancora, anche se è condivisibile l'impegno della Casa bianca a favore dell'occupazione negli Stati Uniti, il messaggio su questo punto deve essere chiaro: un'economia globale incapace di garantire un lavoro decente a una vasta porzione della popolazione e la crescita del reddito medio degli americani e dei cittadini di tutto il mondo non può considerarsi efficiente. A prescindere dalla crescita del prodotto lordo globale. I frutti dello sviluppo economico dovranno essere distribuiti in maniera più equa rispetto al passato. Gli enormi, potenziali, benefici apportati dai commerci e dai flussi di investimento globali potranno concretizzarsi solo se la maggioranza delle popolazioni godranno realmente del processo di globalizzazione. (F.L.)

 

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