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Global Terrorism Analysis, 28 gennaio 2010,

L'organizzazione di al-Qaeda nella Penisola araba (Aqap) si sta facendo notare parecchio negli ultimi mesi e molti osservatori ritengono di essere in presenza di una nuova versione della classica strategia qaedista. Il proposito degli ideologi jihadisti è di provocare e attrarre fatalmente le forze americane nello Yemen con il fine di impantanare Washington in una nuova guerra asimmetrica dopo l'esperienza irachena. Il fatto che il governo statunitense non sia al momento intenzionato a intervenire in forze nell'area potrebbe determinare un'ulteriore recrudescenza delle azioni provocatorie e clamorose dei qaedisti per forzare la mano agli Usa, sostiene Michael W. S. Ryan, del Global Terrorism Analysis.
Le autorità yemenite hanno da tempo una relazione ambigua ed altalenante con al-Qaeda, caratterizzata da operazioni in grande stile dei reparti di sicurezza in funzione anti-jihadista, ma anche da periodi di relativa indifferenza rispetto alle attività dell'organizzazione in Yemen. Dal canto suo, al-Qaeda ha più volte compiuto azioni ostili nei confronti del governo di Sana'a, senza per questo distrarsi dal suo obbiettivo strategico principale: colpire gli interessi stranieri nella Penisola araba. Nell'ottobre del 2000 operativi basati in Yemen attaccarono il cacciatorpediniere USS Cole, uccidendo 17 marinai americani, anche se è a partire dal 2006 che la presenza della "Rete" nel paese si è fatta veramente significativa.
D'altronde, lo Yemen presenta diverse caratteristiche allettanti e attraenti per gli jihadisti. Il potere centrale è in difficoltà, pressato al confine settentrionale con l'Arabia Saudita dalla rivolta, forse sostenuta dall'Iran, della minoranza sciita "Houthi" e minacciato a sud da un movimento secessionista supportato dalla stessa al-Qaeda. L'economia nazionale sembra mortalmente intrappolata in una spirale di declino dovuta al progressivo esaurimento delle riserve di petrolio, alla cronica carenza d'acqua e all'aumento della disoccupazione a fronte di una crescita incontrollata della popolazione.
In un simile contesto, la fusione della branca qaedista saudita con quella yemenita e la nascita di al-Qaeda nella Penisola Araba (Aqap) rappresenta una risposta adattiva ai crescenti successi delle forze di sicurezza saudite, che invitano l'organizzazione a concentrare gli sforzi per insediarsi nell'indebolita repubblica confinante, che potrebbe diventare un nuovo paradiso per l'estremismo. Al momento di annunciare la fusione il leader di Aqap, Abu Basir Nasir al-Wuhayshi, ha riconosciuto pubblicamente nei governi yemenita, saudita e statunitense i principali nemici da combattere.
Lo Yemen è sempre stato prioritario nella strategia globale di al-Qaeda, sin da quando nel 1989 il consigliere di Osama Bin Laden, Abu Mus'ab al-Suri, tentò di convincere lo sceicco del terrore a spostarvi la base operativa. Come molti altri ideologi jihadisti, al-Suri riteneva che lo Yemen, a causa della sua struttura sociale conservatrice, delle sue dimensioni e della sua conformazione geografica fosse la sistemazione ideale per una centrale direttiva clandestina. Inoltre, i non idilliaci rapporti tra Sana'a e Ryadh lasciano presupporre agli jihadisti che il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh (al potere dal 1990), per quanto aderente alla war on terror americana, non utilizzi tutti i mezzi a sua disposizione per interdire le azioni sovversive anti-saudite promananti dal territorio della Repubblica.
Ma a cosa mira Aqap? Il sogno è l'instaurazione di un emirato islamico in tutta la Penisola araba e il contestuale ritiro delle truppe americane dall'area. Quando l'organizzazione si è attribuita la responsabilità del fallito attentato di Natale sul volo Amsterdam-Detroit, è parso chiaro l'intento di al-Wuhayshi e soci di alzare la posta in gioco, sfidando la reazione americana. Un rischio calcolato di sovraesposizione, che potrebbe attrarre la ritorsione  statunitense e occidentale. Una mossa volta chiaramente a provocare una risposta militare e un impegno diretto in Yemen degli americani. L'influenza dell'ideologo radicale  Abu Bakr al-Naji è qui evidente. Egli, ricollegandosi all'esperienza sovietica in Afghanistan, invita da tempo gli jihadisti di tutto il mondo a fare in modo che i governanti occidentali cedano alla tentazione di impegnarsi direttamente in un teatro conflittuale, soppiantando gli apparati di sicurezza locale riconosciuti come legittimi dalla popolazione. In questo modo, a dire di al-Naji, ogni cittadino musulmano sentirebbe l'obbligo di opporsi agli invasori, sostenendo lo sforzo dei combattenti che si avvantaggerebbero inoltre di una più profonda conoscenza dei luoghi.
Per ora, l'amministrazione Obama non sembra intenzionata a cadere nella trappola, ma, a meno che Saleh non riesca ad ottenere successi definitivi nella sua lotta ai qaedisti yemeniti, è lecito aspettarsi nuovi attacchi e nuove provocazioni. Lo Yemen non è l'Afghanistan. Tuttavia, insieme ad Iraq, Afghanistan, e Pakistan  è stato inserito in un'ulteriore fase della strategia adattiva di al-Qaeda, idra dalle molte teste pronta a mettere a dura prova la saldezza decisionale e le risorse dei decisori americani.
(A cura di Fabio Lucchini)

 

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