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Global Integrity

Nonostante il cambio di amministrazione e l'accento retorico posto dal presidente Obama sulla necessità di un rinnovato e trasparente sodalizio tra Stato e cittadino, nel 2009 negli Stati Uniti non si è registrato un significativo abbassamento nei livelli di corruzione nella pubblica amministrazione. I dati raccolti metodicamente dall'organizzazione indipendente americana Global Integrity nel suo report annuale mostrano il perché.
Il presidente, come ripetutamente annunciato in campagna elettorale, si è impegnato sin da subito a porre restrizioni alle attività delle lobby, il cui attivismo condiziona, secondo l'amministrazione in carica in maniera eccessiva, i meccanismi di funzionamento della democrazia americana. Pretendere una maggiore trasparenza dagli attori coinvolti nel lobbying federale rappresenta innegabilmente un passo positivo, ma il fulcro della questione risiede a monte. Si tratta dell'influenza nefasta degli ingenti quantitativi di dollari che vengono riversati regolarmente nel processo elettorale. L'incapacità di normare e controllare adeguatamente l'incidenza del denaro sulla vita politica nazionale impedisce di imbastire ogni seria discussione in tema di riforma e  cambiamento del sistema.
La recente decisione della Corte Suprema che consente alle corporation e alle unioni sindacali un incremento nelle  spese per la propaganda elettorale (decisione Citizens United v. Federal Election Commission) è destinata a rendere più frequenti e sistematici gli episodi di corruzione politica. Per quanto i sostenitori della libertà di parola e di espressione possano rallegrarsi, è presumibile che la decisione di affievolire le restrizioni finanziarie consentirà l'ingresso di quantità sempre più cospicue di denaro nel processo politico, riducendo le speranze degli americani di rapportarsi con un governo (locale e nazionale) finalmente responsabile. Per dar seguito alle promesse, la nuova formazione di governo dovrà escogitare misure concrete per vagliare la correttezza delle procedure di finanziamento alla politica, rafforzando economicamente e legittimando politicamente le agenzie di controllo (ad esempio la commissione elettorale federale).
Dopo aver valutato lo stato dell'arte nella prima democrazia al mondo, gli analisti dell'organizzazione non profit americana  allargano il discorso, presentando la panoramica internazionale che emerge dai dati in loro possesso. Di particolare interesse la black list nella quale Global Integrity include i paesi afflitti da gravi forme di corruzione sistemica. Tre sono i criteri in base ai quali viene valutata la "grand corruption" degli Stati che vengono annualmente monitorati: pochi contrappesi al potere dell'esecutivo, scarso monitoraggio pubblico sulle attività delle imprese a partecipazione statale e insufficiente controllo sui flussi di denari nel processo politico-elettorale. La compresenza di questi fattori in un sistema paese è predittiva dell'insorgere di fenomeni corruttivi  su larga scala. Il rapporto cita diversi Stati afflitti dalla problematica, che rischia di diventare endemica, paralizzandone lo sviluppo e la crescita: Algeria, Giordania, Liberia, Mongolia, Ucraina, Vietnam, Angola, Bielorussia, Cambogia, Iraq, Montenegro, Marocco, Nicaragua, Somalia, West Bank e Yemen. Interessante la circostanza che il governo cinese, presente nella black list nel 2008, non faccia più parte di questa categoria.
D'altro canto, è notevole la particolare situazione di Uganda e Bosnia Erzegovina, dove si registra la maggior discrepanza tra provvedimenti adottati per garantire una buona governance e la capacità di porre in essere il dettato normativo vigente. I due paesi sono tra i maggiori beneficiari di aiuti internazionali. Testimonianza della solerzia delle loro leadership nel  “compiacere” i donor  mediante l'approvazione di riforme formalmente in linea con le raccomandazioni delle istituzioni internazionali. Peccato che poi non vi sia la capacità/volontà di applicare le norme virtuose, anche in minima parte,  con il risultato che nulla cambia nella vita concreta di milioni di cittadini costretti a convivere con burocrazie inefficienti, inaccessibile e opache.
E cosa aggiungere a proposito dell'Ucraina? Dopo il sogno della rivoluzione arancione, Kiev sembra sprofondare nelle sue contraddizioni e nella sua incapacità di liberarsi dai condizionamenti delle potenze esterne. Le agenzie deputate a vigilare sui fenomeni malversatori si rivelano di giorno in giorno sempre più incapaci di garantire il pubblico accesso alle scelte dell'esecutivo, mentre i principi dello stato di diritto non vengono applicati.  Particolarmente preoccupante l'assenza di contrappesi ai conflitti di interesse che coinvolgono funzionari statali e membri stessi del governo e del parlamento, magistrati e giudici. Un sistema fallato, che concede ampi spazi di manovra ai rappresentanti di interessi particolari  e che si offre all'intromissione di potenze straniere. Una tendenza destinata a rafforzarsi dopo il contrastato esito delle elezioni presidenziali di febbraio, che hanno visto prevalere il filo-russo Viktor Yanukovych  su Yulia Tymoshenko.
Tra coloro che evidenziano invece segnali di ripresa nel settore della buona governance, dell'accessibilità pubblica e della attenuazione dei fenomeni corruttivi vengono annoverati il Messico e il Libano, due realtà comunque rilevanti nello scacchiere globale. Il Messico con oltre cento milioni di abitanti sta sgomitando per consolidare la sua posizione all'interno del G-20, l'organismo destinato a cadenzare il passo dell'economia globale nel terzo millennio. Il Libano, cartina di tornasole delle prospettive di pacificazione in Medio Oriente, cerca di compattare la sua popolazione multiconfessionale, cementandone la fedeltà allo Stato piuttosto che alle fazioni perennemente contrapposte (musulmani sunniti, sciiti, cristiani ecc.). Due punti caldi insomma.
A Città del Messico, Global Integrity rileva progressi nella fruizione pubblica delle informazioni sensibili, nella accessibilità ai vari livelli di governo e nella trasparenza del processo elettorale (messo pesantemente in discussione nel 2006 da Lopez Obrador, il candidato della sinistra sconfitto di misura dall'attuale presidente Felipe Calderon). Ne emerge il quadro di una giovane democrazia che, nonostante gli scompensi interni e la forte presenza della criminalità organizzata sul territorio, guarda con fiducia al proprio ruolo nell'economia globalizzata che prenderà forma dopo la crisi. Per quanto riguardo il paese dei cedri, dopo la dura prova della guerra dell'estate 2006 tra Israele ed Hezbollah le elezioni del 2009 hanno confermato il sostanziale cambiamento del paesaggio politico. La coalizione anti-siriana ha mantenuto una solida maggioranza e sta timidamente rafforzando le istituzioni democratiche, non solo a livello formale. Lo certificano gli apprezzamenti dell'Unione Europea per la neo-istituita agenzia di monitoraggio elettorale e la decisione del governo libanese di sottoscrivere la Convenzione Onu contro la corruzione.
E l'Italia? Il giudizio dell'Ong statunitense non è certo lusinghiero. Innanzi tutto, l'Italia continua a rimanere indietro rispetto ad altri paesi occidentali in termini di regolamentazione dei finanziamenti alla politica. Sotto accusa rimane inoltre l'alto tasso di evasione ed elusione fiscale, per non parlare dell'inesistenza di meccanismi che garantiscano un'adeguata responsabilizzazione degli amministratori pubblici davanti ai cittadini. Gli analisti di Global Integrity raccomandano infine l'introduzione del “whistleblowing”, uno strumento legale di matrice anglosassone che consenta di informare tempestivamente in merito a eventuali tipologie di rischio: pericoli sul luogo di lavoro, frodi, danni ambientali, false comunicazioni sociali, negligenze mediche, illecite operazioni finanziarie, minacce alla salute, casi di corruzione o concussione, ecc. E' evidente come i primi in grado di ravvisare eventuali anomalie di tal fatta all'interno di un'impresa, di un ente pubblico o di un'organizzazione siano spesso coloro che vi lavorano. Tuttavia, sovente i dipendenti non danno voce ai propri dubbi per pigrizia, ignoranza, egoismo ma, soprattutto, per paura di ritorsioni o per la frustrazione di non vedere un seguito concreto e fattivo alle proprie denunce. Una legge per l'istituzione del whistleblowing offrirebbe una tutela legale per coloro i quali fossero disposti a denunciare atti illeciti e illegali a vantaggio della collettività. (a cura di Fabio Lucchini)
 

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