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Chatham House, Febbraio 2010,

La Cina va alla conquista delle piccole e medie imprese italiane, vera spina dorsale della nostra economia, dalle quali i cinesi vogliono acquisire avanzate conoscenze tecnologiche e competenze-chiave in settori industriali tipici della produzione “Made in Italy”, come la lavorazione del metallo, la fabbricazione di elettrodomestici e la progettazione e produzione di veicoli.  Si tratta di una sorta di “effetto Marco Polo” al contrario, come lo definisce un'analisi pubblicata, all'inizio di febbraio, dal think tank britannico Chatham House, secondo la quale come il famoso esploratore veneziano, che nel XIII secolo fu tra i primi occidentali a raggiungere la Cina, importò nel nostro Paese importanti scoperte scientifiche e tecnologiche come la bussola, i soldi e il carbone, oggi le aziende cinesi intendono appropriarsi di conoscenze peculiari dell'economia italiana, per la maggior parte collegate a produzioni di alta qualità e al design.
La Chatham House sottolinea che la penetrazione cinese nel mercato italiano fa parte di una strategia più ampia che coinvolge l'intera Europa, dove gli asiatici seguono lo stesso “modello di conquista”, partendo da attività commerciali su bassa scala (come i punti vendita) e spostandosi successivamente su operazioni volte ad assorbire competenze manageriali e di marketing, oltre a innovazione tecnologica e particolarità legate alla specializzazione locale. L'obiettivo è costruire un bagaglio di conoscenze utili ad aumentare i vantaggi competitivi che la Cina necessita per incrementare la propria presenza nei mercati internazionali. Le aziende del cosiddetto "Impero di Mezzo" mirano, inoltre, ad acquisire marchi conosciuti, di cui l'Italia è ricca e famosa nel mondo, e asset strategici attraverso acquisizioni o fusioni.
Per le imprese cinesi l'Europa rappresenta anche un mercato alternativo a quello domestico che, saturo per l'eccessiva competizione, ha registrato una caduta dei profitti in comparti come quello del tessile e dell'abbigliamento, e ha portato molte aziende cinesi a cercare nuovi mercati oltreoceano per aprire negozi e centri di produzione. Nel quadro europeo gli investimenti diretti stranieri (Foreign direct investment, FDI) cinesi sono concentrati maggiormente nel Regno Unito e in Germania (che insieme attraggono il 50% degli FDI del “Gigante Rosso” in Ue), si regista, tuttavia, un aumento di queste operazioni in Italia, nonostante il nostro Paese rappresenti una fetta di mercato ridotta rispetto ad altri Stati europei, ovvero il 4.05%.
Nello studio delle motivazioni che spingono la Cina a investire nel mercato italiano, la Chatham House rileva alcune analogie tra il sistema economico italiano e quello cinese, ovvero una forte presenza di piccole e medie imprese (pmi) specializzate in industrie tradizionali. Se le nostre pmi rappresentano, per certi aspetti, una frammentazione settoriale poco attraente, l'interesse cinese è certamente rivolto verso gli agglomerati industriali italiani legati a produzioni specializzate come quella meccanica, del tessile, dell'abbigliamento, degli elettrodomestici e del settore automobilistico o  "automotive" (la progettazione e la fabbricazione di auto, motocicli, autobus, camion, ecc. ...).
Da un punto di vista geografico gli investimenti cinesi si concentrano nel Nord, soprattutto in Lombardia, dove Milano è un polo attrattivo senza pari. La seconda meta è il Piemonte, che registra investimenti legati al settore automobilistico. Gli investimenti nelle altre regioni sono basati sui diversi settori di specializzazione a seconda del prodotto industriale tradizionalmente “di punta” che in Veneto sono gli elettrodomestici e in Emilia i macchinari. La Liguria e la Campania sono invece strategiche sotto il profilo della logistica e dei trasporti.
Dal 2000 si è registrato un aumento di operazioni di acquisizione o fusione da parte di compagnie cinesi in Italia. La Chatham House cita l'acquisizione, operata da Quianjiang, di Benelli, un'azienda  specializzata nella produzione e nell'assemblaggio di motoveicoli, quella fatta  da Haier verso Meneghetti, produttore di frigoriferi a Padova, e Elba, che produce elettrodomestici in Veneto, e l'acquisto da parte di Zoomlion della Cifa, impresa specializzata nella costruzione di macchinari destinati al settore edile.  L'Italia, la settima più grande economia del mondo, rappresenta per i cinesi anche un importante mercato di “test europeo”: il gusto dei consumatori italiani è ritenuto essere esigente e sofisticato, ad esempio, su preferenze legate alla telefonia e agli elettrodomestici. In sostanza, se un prodotto piace agli  italiani, il suo successo in Europa è garantito.
I cinesi sono interessati a un'altra caratteristica tipica dell'economia italiana, ovvero i distretti industriali. Non è dunque un caso che Haier, la seconda più grande azienda a livello mondiale, dopo Whirlpool, nella creazione di elettrodomestici, abbia aperto a Varese un quartier generale destinato a coordinare le vendite e il marketing dei prodotti della Haier in 13 Stati europei. Varese ospita stabilimenti di aziende come Philips e Whirlpool, oltre a una schiera di fabbriche specializzate in fasi produttive intermedie. Ad attrarre i cinesi è il tessuto industriale locale, legato alla tradizione italiana, ma anche l'agglomerato industriale che si è costituito con l'apertura di diverse filiali straniere in quello stesso territorio, e che genera “sinergie positive di competenze” derivanti dalla presenza di un "esercito" di lavoratori e fornitori specializzati.
L'Italia è strategica anche per l'utilizzo che può essere fatto del marchio italiano, in termini di popolarità e, dunque, di vendita, sul mercato europeo e globale. Un esempio è l'acquisizione fatta, nel 2006, dalla cinese Feidao dell'italiana Elios, una compagnia che produce apparecchiature elettriche o dell'azienda bolognese Omas, specializzata dal 1925 nella produzione di beni di lusso, che è stata assorbita nel 2007 dal gruppo Xinyu Hengdeli.
Oltre alle acquisizioni è l'intero processo di ingresso nel mercato italiano da parte della Cina a suscitare timori. Le principali preoccupazioni sono dovute alla competizione sleale da parte delle aziende cinesi che ricevono sostegno, finanziario e politico, da parte del governo di Pechino e all'incertezza circa la solidità delle imprese acquisite dagli asiatici, l'impatto sull'occupazione e i rischi legati alla perdita di conoscenze-chiave. Tra i benefici vi è tuttavia l'iniezione di nuovi capitali nella nostra imprenditoria  e, nel caso delle acquisizioni, il salvataggio di aziende sull'orlo della bancarotta. (a cura di Francesca Morandi)
 

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