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Stratfor, 8 aprile 2010,

Gli squilibri che affliggono l'economia cinese, mentre Pechino cerca di gestire la rapida ripresa economica determinata e guidata dagli stimoli governativi, sono tra gli elementi cruciali che concorreranno a determinare le tendenze globali nel 2010. Come noto, stiamo discutendo di una delle più grandi economie al mondo, in grado di influenzare pesantemente la stabilità degli Stati Uniti. Le differenze economiche tra Cina e America sono prossime a occupare la ribalta degli affari internazionali e a sfociare in accese dispute nei prossimi mesi.

Si tratta di una facile previsione. Già lo scorso anno i due paesi avevano imposto tariffe e diritti sui rispettivi beni commerciali, in una fase di intense contrapposizioni nel bel mezzo della crisi globale. Ma i dissapori tra Pechino e Washington hanno radici più profonde. Per tre decadi l'America ha garantito alla Cina l'accesso al proprio mercato interno, permettendole di costituire un imponente settore manifatturiero legato all'export e di incamerare notevoli profitti. I cinesi sono diventati molto competitivi sul mercato statunitense, non solo grazie all'abbondanza di forza lavoro a basso costo ma anche al pegging (cambio fisso) tra yuan e dollaro. Una scelta politica di cui hanno fatto le spese i competitor dei cinesi, inclusi i produttori Usa, e che è da lungo tempo motivo di tensione tra le parti. Americani e cinesi hanno spesso cercato di gestire la situazione in modo da non compromettere una relazione bilaterale che negli ultimi anni si è rivelata nel complesso benefica per entrambi i paesi.

La gestione delle suddette tensioni si rivela tuttavia sempre più difficile. La crisi economica globale ha lasciato alla Cina un'ingente riserva di valuta straniera, frutto di anni di surplus commerciali. Nel frattempo, la crescita economica del paese prosegue. D'altro canto, gli Usa stanno patendo una prolungata disoccupazione, che tocca il 10%, e assistono al deterioramento delle performance del settore manifatturiero nazionale. Circostanze che hanno già spinto Washington a premere perché Pechino aprisse il proprio mercato interno ai beni americani e rimuovesse il cambio fisso yuan-dollaro. La Cina replica sostenendo che il suo surplus commerciale sia dovuto ad altri fattori e che un repentino apprezzamento dello yuan finirebbe per ripercuotersi negativamente sui già magri margini di profitto del suo cruciale settore delle esportazioni. Intervenire su questi fattori, insistono i cinesi, potrebbe creare guasti nel tentativo di riforma del sistema economico cinese, che ne risulterebbe destabilizzato con gravi danni per il paese e per l'economia mondiale.

Date le premesse, il secondo trimestre del 2010 si prospetta piuttosto critico per quanto riguarda le relazioni tra i due paesi. Washington sembra orientata a intensificare la sua pressione su Pechino. Il dipartimento del Tesoro Usa dichiara di voler prender tempo prima di decidere di accusare formalmente il governo cinese di manipolazione di valuta, ma l'opzione rimane in piedi e i legislatori americani insistono perché venga messa in pratica. Da parte sua, la Cina cerca di smorzare il nervosismo americano attirando l'attenzione sugli sforzi compiuti per ristrutturare la sua economia e segnalando l'intenzione di apprezzare gradualmente la moneta e di favorire una maggiore importazione di beni provenienti dagli Usa. Pechino sta inoltre mostrando una certa disponibilità a lavorare con l'amministrazione Obama in altre aree di interesse, quali le sanzioni anti-iraniane (come dimostra la partecipazione del presidente Hu Jintao al recentissimo vertice di Washington, ndt) e la ripresa dei colloqui internazionali con la Corea del Nord.

I leader dei due paesi hanno in programma diversi incontri bilaterali e multilaterali nel secondo trimestre dell'anno. Esistono dunque diverse opportunità per rabberciare una relazione che dà segni di logoramento. Il presidente Obama non ha tuttavia escluso la possibilità di "giocare duro" con la Cina. Le elezioni novembrine di metà mandato si avvicinano e in cima all'agenda campeggia l'inquietudine dei disoccupati Usa, che accusano la politica economica cinese di esacerbare le loro precarie condizioni. L'amministrazione ha insomma molto da guadagnare, elettoralmente parlando, nel dimostrarsi dura nella maniera di approcciare le diverse vicende di politica estera. E' chiaro comunque che si tratta di una questione di tempi. Se la Cina si limiterà a promettere concessioni, presto o tardi nel corso del 2010 gli Stati Uniti si risolveranno a colpirla economicamente.

 

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