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Bernard-Henri Lévy, Huffington Post, luglio 2010,

Mentre l'uomo saggio indica la Luna, l'imbecille guarda il dito. Raramente il famoso adagio cinese mi è apparso così veritiero come in questi giorni. Tutti gli occhi sono puntati sul calo di popolarità del presidente (Obama, ndt). L'intera classe politica, come un sol uomo, si interroga sull'episodio del siluramento del generale McChrystal e sulle sue conseguenze. Nel frattempo, mentre si svolgono simili vicende, passa sotto silenzio un evento rilevante, addirittura enorme, colossale, tale da ridisegnare gli equilibri del Pianeta. Un evento nascosto, relegato inspiegabilmente nell'ombra.

Questo episodio clou, assente dai radar, il potenziale sconvolgimento geopolitico ignorato da quei media che passano il tempo a monitorare i cambi di umore di Hillary Clinton, è la decisione degli Emirati Arabi Uniti di ispezionare una serie di navi, più o meno direttamente legate all'Iran o al commercio con l'Iran, in arrivo nelle proprie acque territoriale. Non solo, i ricchi Emirato hanno congelato ben 41 conti bancari appartenenti a entità riconducibili a Teheran, che potrebbero servire da schermo per favorire operazioni di contrabbando volte ad agevolare il programma nucleare iraniano. In altre parole, gli Emirati Arabi hanno deciso di schierarsi nel campo di coloro che applicano alla lettere la nuova risoluzione stabilita dalle Nazioni Unite il 9 giugno scorso, che prevede un'ulteriore intensificazione delle sanzione contro l'Iran.

Un fatto verificatosi pochi giorni dopo che Hamad al-Kaabi, rappresentante permanente degli Emirati presso l'AIEA (l'Agenzia internazionale dell'energia atomica), aveva dichiarato, chiudendo ad Abu Dhabi il meeting annuale della Global Initiative to Combat Nuclear Terrorism, che già nelle settimane precedenti la polizia nazionale aveva ispezionato varie dozzine di imbarcazioni contenente materiale sensibile.

Ancora in precedenza, un articolo di George Malbrunot per Le Figaro (il 26 giugno) sottolineava come le strane circostanze che avevano portato all'assassinio da parte del Mossad di Mahmud al-Mabhuh (omicidio avvenuto lo scorso gennaio a Dubai) fossero stata male interpretate dai media. Episodio da archiviare come un altro esempio di falsa pista presa per buona, di albero scambiato per l'intera foresta, come l'ennesima versione dell'apologo dell'uomo saggio, dell'imbecille e della Luna. Infatti, a prescindere dall'incidente descritto, gli Emirati in quella fase stavano lavorando gomito a gomito con Israele per mettere in sicurezza i propri confini, per proteggere i pozzi petroliferi e per prepararsi a respingere operazioni destabilizzanti da parte di una potenza ostile. Quale? L'Iran naturalmente!

Ancora, un'altra notizia da far sobbalzare gli analisti più attenti è stata sottaciuta. Il 13 giugno Times of London ha proposto ai suoi lettori uno scoop notevole, smentito laconicamente dal governo dell'Arabia Saudita: si tratta della decisione del governo di Riyad di aprire il proprio spazio aereo niente meno che agli israeliani. Non sono stati forniti altri dettagli, ma qualcuno potrebbe anche legittimamente pensare all'eventuale possibilità di un attacco di Tsahal (l'esercito israeliano, ndt) ai siti nucleari di Ahmadinejad. Dare peso a eventi del genere sarebbe invece importante per comprendere quello che sta accadendo realmente e soprattutto ciò che potrebbe accadere.

Prima di tutto, coloro che credono che il mondo islamico costituisca un unico blocco dovrebbero riflettere con più attenzione. Esiste un Islam della pace contrapposto all'Islam della guerra, esiste un Islam moderato contrapposto ad uno fanatico e, per certo nel caso in esame, un Islam sunnita contrapposto allo Sciismo di Teheran, che è diventato l'apocalittica eresia dei pazzi e dei gangster che, solo un anno fa, hanno defraudato i cittadini iraniani del voto espresso.

Gli eventi descritti nelle righe precedenti dimostrano come il fronte del rifiuto al regime iraniano e ai suoi piani di guerra totale si stia allargando, stia prendendo forma e consistenza. Ovviamente, la democrazia israeliana e l'autocrazia saudita hanno poco in comune; è innegabile che niente, nessun grande gesto politico o geopolitico, nessun riavvicinamento o riallineamento strategico metterà in secondo piano le massicce violazioni dei diritti umani e dei diritti delle donne compiute in passato da Ryad. Nondimeno, la prospettiva di vedere l'Iran entrare in possesso di armi di distruzione di massa è così agghiacciante da non poter essere paragonata ad alcuna violazione dei diritti umani compiuta altrove e il fatto che un crescente numero di paesi della regione stia cominciando a rendersene conto rappresenta in sé una grande notizia.

Aggiungerei che, in riferimento ai 41 conti bancari identificati e congelati dalla risoluzione delle Nazioni Unite, dovremmo sapere che:

  1. Come ha ammesso lo stesso ambasciatore al-Kaabi, il porto di Dubai stava diventando l'hub di riferimento dei peggiori traffici di materiale nucleare;
  2. Anche tralasciando il dossier nucleare, gli Emirati Arabi sono la terza destinazione, dopo la Cina e l'Iraq, di un export iraniano che si è triplicato negli ultimi quattro anni;
  3. Dei 41 conti presi di mira, quasi la metà sono di proprietà diretta della Repubblica Islamica dell'Iran o dei corpi dei Guardiani della Rivoluzione.

Detto ciò, possiamo ben concludere che la decisione degli Emirati rappresenta un vero colpo al regime di Teheran. Ancora meglio, rappresenta una doccia fredda per gli stolti che credono in un'alleanza contro-natura tra arabi e iraniani; un'alleanza che sarebbe fondata su di un'improbabile "union sacrée " di tutti i musulmani del Medio Oriente contro il "nemico sionista". Consideriamo infine che, per la prima volta, un paese arabo mette un freno al tentativo iraniano di ascesa, frustrando così le manovre di cui Hamas e Hezbollah rappresentano l'avanguardia e il cui obiettivo finale è destabilizzare la regione a vantaggio degli ayatollah. Siamo di fronte a un gesto importante, che evidenzia non soltanto la volontà di sopravvivere di un piccolo, sebbene ricco, paese del Golfo, ma anche una prova di maturità e trasparenza politica da parte dei suoi dirigenti. Se la decisione verrà mantenuta, niente sarà più come prima e i giorni per Ahmadinejad potrebbero essere contati. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)

 

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