L'Iran, condividendo un vasto e aperto confine con l'Afghanistan, ha innegabilmente un ruolo nella risoluzione pacifica del conflitto che dilania quel Paese. Questo il senso delle parole pronunciate da Richard Holbrooke, rappresentante speciale del presidente Obama per l'Afghanistan e il Pakistan, durante la conferenza di Roma. Il riconoscimento pubblico da parte dei più alti livelli della diplomazia Usa di un dato di fatto noto da tempo fornisce lo spunto agli analisti del think tank statunitense, Stratfor, per ragionare sugli sviluppi e le potenzialità dei timidi approcci in corso tra Washington e Teheran.
Novecento chilometri di frontiera comune e profondi legami linguistici, culturali e commerciali, rendono l'Iran un interlocutore obbligato per chiunque voglia tentare di sbrogliare la matassa afghana. Le diplomazie occidentali ne sono da sempre consce, ma il ruolo di guastatore regionale attribuito a Teheran (e spesso effettivamente giocato da Ahmadinejad con spregiudicatezza) ha sempre ostacolato il suo pieno riconoscimento come partner negoziale affidabile. Che sia giunto il momento?
L'apparato di intelligence iraniano è profondamente infiltrato in territorio afghano, dove le Guardie della Rivoluzione mantengono legami indiretti ma forti con le minoranze che si oppongono ai Taliban, supervisionano il transito di militanti armati ai confini e si crede offrano supporto selettivo ad alcuni gruppi che si oppongono alle truppe americane e della Nato. Stratfor sottolinea la preoccupazione iraniana per l'esito della guerra afghana, che determinerà quanto a lungo le truppe americane permarranno nei pressi del loro confine orientale. Teheran è anche consapevole del fatto che la exit strategy americana da Kabul richiederà una stretta collaborazione con il Pakistan, che condivide con Washington l'interesse a reintegrare a pieno i Taliban nel sistema politico afghano. Una circostanza che scontenta l'Iran, poiché gli studenti coranici si sono sempre dimostrati ostili nei confronti delle componenti sciite.
Tuttavia, se si guarda oltre i legittimi motivi di preoccupazione riguardo alle reali intenzioni iraniane, la partecipazione di Teheran alla Conferenza di Roma lascia intravedere scenari inediti e, forse, incoraggianti, non solo in riferimento all'Afghanistan. Mentre gli Usa cercano il modo per smarcarsi dall'oneroso impegno militare nel cuore dell'Asia che dura da ormai nove anni, persiste l'impasse strategica in Medio Oriente, caratterizzata dalla strisciante ostilità tra sciiti e sunniti. Una situazione che consente all'Iran di approfittando del disimpegno americano dall'Iraq per accrescere il proprio prestigio e consolidare la propria influenza regionale.
La fragile stabilità di un Paese cruciale come l'Iraq appare così inevitabilmente indebolita e minacciata. La paralisi istituzionale è completa, dato che da sei mesi risulta impossibile costituire una praticabile coalizione di governo a Bagdad. Il fazionalismo e l'irragionevolezza dei politici iracheni hanno un peso in tutto ciò, ma il maggior ostacolo è rappresentato dall'interesse iraniano a perseguire l'affermazione della componente maggioritaria sciita a danno dei sunniti. Le manovre di Teheran vengono contrastate da Stati Uniti, Arabia Saudita e Turchi. Lo stallo pertanto prosegue, in maniera sfibrante e insidiosa. Anche su questo fronte si stanno peraltro aprendo spiragli di cooperazione e dialogo, che potrebbero risolversi in un compromesso che consenta al blocco politico di orientamento sunnita, guidato dall'ex primo ministro Iyad Allawi, di ricoprire un ruolo di primo piano. Un risultato comunque condizionato alla collaborazione iraniana.
E' necessario puntualizzare, in conclusione, come il tono conciliante utilizzato da Holbrooke a Roma e il contenuto delle sue affermazioni debbano essere riferite unicamente alla situazione afghana. Ma è altrettanto evidente che riconoscere pubblicamente il ruolo iraniano nel suddetto conflitto possa aprire la strada a un negoziato riservato bilaterale Washington-Teheran in merito al dossier iracheno. Nulla è garantito e poco è prevedibile con certezza. Tuttavia, il prossimo passaggio logico nel lento processo di apertura all'Iran che il governo americano sembra avere in animo potrebbe concretizzarsi nella ripresa vigorosa dei colloqui per la formazione di un governo di coalizione a Baghdad.