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Ian Morris, Prospect, novembre 2010,

L'Occidente guida ancora il mondo, in termini di ricchezza, forza militare e innovazione tecnologica. E' vero, la Cina è la seconda economia al mondo e il Giappone la terza, ma Europa e Nord America generano ancora i due terzi della ricchezza globale, del potenziale militare e spendono più di tutti in R&S (ricerca e sviluppo). E questo nonostante nel mondo occidentale viva meno di un settimo della popolazione mondiale. Durerà? No. Entro il 2050, se i tassi di cambiamento globale si confermeranno, dobbiamo aspettarci un dominio orientale. Ian Morris, professore di Storia Classica e di Archeologia alla Stanford University, illustra le dinamiche del prossimo passaggio di potere ai lettori della rivista britannica Prospect.

Il mondo va a Oriente, è la Storia a dircelo. Winston Churchill sosteneva che "più indietro si è in grado di guardare, più avanti sarà possibile vedere". Se andiamo a ritroso abbastanza (sino all'ultima era glaciale) e se lo facciamo su una scala abbastanza ampia (l'intero pianeta), riusciamo a scorgere le forze che hanno guidato la Storia sino a oggi e a prevedere dove esse ci stanno conducendo. L'Occidente sta guidando il mondo non i virtù della superiorità biologica delle sue genti, di una migliore cultura, o grazie a governanti più saggi, ma semplicemente a causa della Geografia. Alla fine dell'ultima glaciazione, infatti, i progenitori di quelli che oggi definiamo occidentali ebbero la fortuna di abitare nelle aree del globo con la maggiore concentrazione di piante e animali potenzialmente addomesticabili. Su quella solida base agricolo-pastorale coloro che potremmo considerare "proto-occidentali" furono i primi a costruire città, edificare Stati e a conquistare imperi.

Limitarci a un'impostazione deterministica sarebbe peraltro riduttivo, puntualizza Morris. La geografia può incidere sul modo in cui le società umane si sviluppano, ma anche le modalità di sviluppo delle società possono avere un ruolo nel caratterizzare gli eventi.

Mantenendo una prospettiva millenaria, prendiamo il caso delle calde e umide valli della Cina meridionale. Durante la dinastia degli Han (206 a.c.-220 d.c.), quelle terre venivano considerate di scarso interesse poiché mancavano le competenze per sfruttarle a dovere. In seguito alle successive migrazioni contadine, il sud della Cina sarebbe invece diventato il serbatoio di riso per tutto il Paese, contribuendo a costruire le basi materiali di una cultura che avrebbe contestato, almeno sino al 1700, la supremazia occidentale. Anzi i progressi dell'economia e delle scienze cinesi si dimostrarono per secoli superiori al lento avanzare dell'Europa medievale.

Tuttavia, sul limitare dell'Era moderna la Geografia è tornata a giocare un ruolo decisivo nello stabilire i rapporti di forza tra le diverse civilizzazioni mondiali. La Geografia spiega bene perché sono stati gli europei, e non i più evoluti navigatori cinesi del quindicesimo secolo, a scoprire, sfruttare e colonizzare le Americhe. I marinai cinesi erano coraggiosi quanto quelli spagnoli e i coloni dell'Impero di Mezzo intrepidi quanto quelli britannici, ma è toccato a Cristoforo Colombo e non al grande ammiraglio Zheng scoprire il Nuovo Continente". Il motivo? L'ammiraglio genovese ha dovuto compiere metà del tragitto rispetto al suo omologo cinese.

Da tale circostanza sono derivate alcune conseguenze di non poco conto: gli europei (e non i cinesi) hanno creato nel diciottesimo secolo un sistema di economia marittima integrato in grado di sfruttare i vantaggi comparativi tra i continenti; gli europei (e non i cinesi) hanno attraversato per primi la rivoluzione scientifica sfociata nell'Illuminismo. Nel diciannovesimo secolo la combinazione dei progressi scientifici e il consolidamento dell'economia di mercato hanno incentivato gli europei alla meccanizzazione, all'introduzione nel sistema produttivo dei combustibili fossili e a lanciarsi nella rivoluzione industriale.

La vecchia Europa cominciava a crogiolarsi con compiacimento sulla primazia così acquisita, ma all'inizio del novecento la Geografia, ancora una volta, faceva sentire il suo peso. Gli Stati Uniti, sino allora periferia dell'impero, sfruttando gli enormi spazi e le ingenti risorse a disposizione si preparavano infatti a sovvertire gli equilibri. Le relazioni internazionali del ventesimo secolo, in definitiva dominate dall'America, hanno visto riemergere i paesi orientali, attratti sulla scena globale dalla forza trainante dell'economia Usa: il Giappone prima, le tigri asiatiche poi e, infine, ancora la Cina e l'India. Economie, queste ultime, potenzialmente gigantesche e tali da spodestare la leadership occidentale in pochi decenni.

La crescita dell'Oriente che molti europei e nordamericani osservano con preoccupazione era in fondo prevedibile. Insieme all'ordine mondiale, sta cambiando anche il ruolo, in passato preponderante, della Geografia rispetto ai destini delle società umane. Secondo Morris, essa sta perdendo in significato e rilevanza, relegata a fattore secondario dall'emergere di questioni globali di portata inedita. Se tra qualche millennio vi saranno ancora degli storici per analizzare le conseguenze di lungo periodo di problematiche quali la proliferazione nucleare, il cambiamento climatico, le migrazioni di massa, le pandemie e l'esaurimento delle risorse idriche, essi dichiareranno la totale irrilevanza della Geografia nel condizionare le vicende dei popoli e delle società umane. (A cura di Fabio Lucchini)

 

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