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The Christian Science Monitor, dicembre 2010,

L'inviato speciale Usa in Medio Oriente, George Mitchell, torna nella regione pochi giorni dopo la presa d'atto da parte del suo governo del fallito tentativo di imbastire colloqui diretti tra le leadership israeliana e palestinese. Quanto meno, riconoscono gli osservatori, il team di Obama mostra una certa ostinazione nella ricerca di una soluzione al conflitto. L'amministrazione Usa non è riuscita a convincere Israele a congelare per tre mesi gli insediamenti in Cisgiordania, condizione posta dai palestinesi per intavolare i negoziati diretti. Un fallimento che secondo molti dimostrerebbe la debolezza di Obama, ma anche la non eccessiva saldezza di Netanyahu, incapace di imporre la trattativa alle ali estreme della coalizione di governo che presiede.

Oggi, la diplomazia americana torna dunque ai colloqui indiretti, cercando di ricostituire più solide basi al negoziato. "Cercheremo di indurre le parti a reciproche concessioni sui punti salienti", ha affermato nel suo discorso del 10 dicembre il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Si riferisce naturalmente ai nodi cruciali, quali la definizione dei confini e la sicurezza, gli insediamenti, la gestione delle risorse idriche e il problema dei rifugiati; senza dimenticare il più complicato tema di dibattito, lo status di Gerusalemme, che arabi ed ebrei rivendicano come capitale.

Netanyahu ha sempre rifiutato le precondizioni palestinesi sul tema degli insediamenti coloniali, definendo la questione "periferica". I prossimi mesi dovrebbero insomma testare il reale impegno per un soluzione bi-statale da parte del primo ministro israeliano, ma anche la disponibilità palestinese a trattare senza aver ottenuto il blocco degli insediamenti in Cisgiordania. Quel che è certo è che l'amministrazione Obama sta inaugurando una nuova fase nella sua azione di peacemaking, che potrebbe anche prevedere l'avanzamento di un piano Usa per raggiungere una soluzione fondata sul principio bi-statale. Un'ipotesi non smentita dalla Clinton.

L'editoriale della rivista americana Christian Science Monitor ritiene che l'azione di Obama possa essere rinfrancata da alcuni gesti simbolici di altri importanti attori internazionali. Pochi mesi fa Brasile e Argentina hanno riconosciuto la Palestina come Stato sovrano nei confini del 1967. Una decisione che ha irritato gli Stati Uniti, ma che, se seguita da altri Paesi rilevanti, potrebbe determinare una "benefica" pressione su Israele. Il Monitor auspica anche che l'Europa decida di applicare limitate sanzioni allo Stato ebraico per punire la sua politica degli insediamenti. Aldilà di ogni considerazione sull'efficacia di simili suggestioni, sul cui effetto è lecito nutrire qualche dubbio, è necessario che l'impegno e l'attenzione degli Usa si mantengano costanti. E' vero, sinora i risultato ottenuti dal team di  Obama sono stati modesti, ma è da escludere che le due parti in causa facciano progressi senza l'azione di un facilitatore. Considerati gli interessi (materiali e simbolici) in gioco in Medio Oriente, gli Stati Uniti rimangono pesantemente incentivati a ricercare una soluzione pacifica del conflitto. Nonostante le frustrazioni, gli insuccessi e gli errori ad oggi accumulati.

 

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