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Dream Tv, febbraio 2011,

Wael Ghonim, manager di Google in Medio Oriente e in Nord Africa, sta diventando il personaggio simbolo della rivolta che potrebbe cambiare il destino del paese guida del mondo arabo. Egiziano residente a Dubai, è partito per il suo paese d'origine non appena ha avuto notizia dell'esplodere dei moti anti-Mubarak. Qui ha attivamente partecipato alle vicende delle ultime settimane, aprendo una pagina su Facebook per fornire aggiornamenti sulla situazione nelle strade del Cairo e animando il dibattito in rete, sia sul social network che su Youtube. Fermato, rapito e incarcerato dalle forze di sicurezza egiziane, dopo due settimane di silenzio Ghonim è stato rilasciato e ha ripreso il suo posto tra i manifestanti. Di seguito la trascrizione dell'intervista concessa subito dopo il suo rilascio all'emittente privata egiziana, Dream Tv.

"Innanzi tutto, voglio fare le mie condoglianze alle famiglie di quegli egiziani che hanno perso la vita, sono con loro. Non sento personalmente il dovere di scusarmi, perché nessun manifestante ha distrutto alcunché, tutti erano mossi da intenti pacifici e il nostro motto era "non distruggere." In secondo luogo, vi prego, non fate di me un eroe. Al contrario, ho avuto la possibilità di dormire per dodici giorni, i veri eroi sono coloro che sono rimasti sul campo, vi prego, puntate le vostre telecamere su di loro e date loro la giusta attenzione. Dio volendo, noi cambieremo questo paese. Se sto bene, lo devo proprio a Dio."

Durante l'intervista concessa a Dream Tv, il giovane manager ha ammesso di aver ingannato la sua compagnia, Google (che peraltro si è impegnata a fondo per il suo rilascio), sulle reali motivazioni del precipitoso ritorno in Egitto. Ha ribadito di essere l'amministratore della pagina di Facebook dedicata a Khaled Said, il ventottenne di Alessandria d'Egitto torturato a morte da due poliziotti in un internet café nel giugno scorso. Ghonim, che ha coniato il termine "Facebook youth" per descrivere le migliaia di giovani che hanno deciso di sfidare il governo, si definisce semplicemente come un ragazzo capace di usare una tastiera e, sollecitato dall'intervistatore, passa a raccontare i dettagli del suo rapimento:

"Giovedì notte di due settimane fa, era l'una circa, mi trovavo con un amico, un collega di lavoro, e stavo prendendo un taxi. All'improvviso alcune persone hanno circondato la nostra vettura, ho chiesto aiuto, ma sono stato bendato e portato via. Le cose sono andate così: nulla giustificava il rapimento. Una persona può essere arrestata secondo i termini di legge, ma io non sono un trafficante di droga e nemmeno un terrorista.

E'vero, ho mentito al mio datore di lavoro per partecipare alle protese. Non mi sento tuttavia un traditore, non l'ho fatto per avere qualcosa in cambio da qualcuno. Non sono neanche un eroe, i veri eroi sono coloro che stanno sul campo. Coloro che non posso nominare. Viviamo in una stagione nella quale le persone utilizzano l'accusa di tradimento l'una contro l'altra. Tengo a precisare di non aver subito violenza durante l'incarcerazione, non sono stato torturato. Piuttosto ho incontrato individui di notevole spessore intellettuale durante la mia prigionia, persone che credevano davvero che noi manifestanti fossimo dei traditori della patria, al soldo di chissà chi. Se io fossi stato davvero un traditore, un calcolatore, me ne sarei stato nella piscina della mia casa negli Emirati Arabi Uniti. La cosiddetta Facebook youth, la gioventù di Facebook, è scesa nelle strade, decine di migliaia di ragazzi hanno sfidato il governo il 25 gennaio: ditelo a loro che sono dei traditori. Evidentemente, viviamo un'epoca in cui le persone animate da buone intenzioni vengono mal giudicate! Mia moglie era in procinto di chiedere il divorzio a causa del poco tempo che passavo con lei. Ho lavorato duramente attaccato allo schermo di un computer per il mio paese. Ed ora mi chiamano traditore.  Non credo di meritare quelle accuse.

Non ero ottimista quando sono scoppiati i moti del 25 gennaio, ma oggi sono quasi incredulo di fronte a ciò che è successo in Egitto negli ultimi giorni. Posso considerarmi orgoglioso per ciò che ho fatto e voglio ringraziare tutti coloro che si sono spesi per la mia liberazione da una prigionia ingiusta. Oggi (8 febbraio, ndt), ho parlato con il ministro degli Interni, sono stato seduto davanti a lui come se fosse un cittadino come tanti altri. I giovani che protestano nelle strade da giorni hanno indotto Hossam Badrawi (il segretario generale dell'NDP, il Partito Nazionale Democratico di Mubarak) a decidere la mia liberazione. Prima di essere liberato definitivamente, ho detto al ministro degli Interni che sarei salito in macchina con Badrawi solo se non ci fosse stato sulla vettura il simbolo dell'NDP.

Lo voglio ripetere ancora, durante la mia prigionia ho incontrato persone che amano l'Egitto (mi riferisco alle forze di sicurezza), ma i loro metodi non sono propriamente simili ai miei. Io pago gli stipendi a questa gente, le mie tasse servono anche a questo. Ho il diritto di chiedere ai ministri dove vanno a finire i miei soldi, questo è il nostro paese! Io credo che se le cose miglioreranno, tutti avranno da guadagnarne, anche le brave persone che lavorano nei servizi di sicurezza dello Stato. Ho visto recentemente alcuni di questi agenti colpire duramente un regista detenuto, dicendogli con rabbia: tu morirai qui. Perché?

Ora mi accorgo che coloro che hanno governato l'Egitto per tanti anno sembrano disposti a un accordo. Ora versano in una situazione di debolezza. Io non sono un eroe, sono una persona normale. Quel che mi è accaduto rappresenta un crimine, ma ora voglio solo ringraziare coloro che mi hanno permesso di uscire, di tornare dalla mia famiglia. Badrawi mi ha detto che tutti insieme espelleremo i personaggi discutibili dall'NDP. Gli ho risposto di non voler più vedere il simbolo dell'NDP. Questo Partito ha condotto il paese al punto in cui si trova. E' tempo di creare qualcosa di nuovo, una forza politica che impedisca che si ripetano i fatti incresciosi che sono capitati a me e quelli ancor più drammatici toccati ad altri. Ho pianto quando ho saputo dei morti, sia tra le forze dell'ordine che tra i manifestanti. Tutti miei compatrioti.

Ho letto circa trecento messaggi sgradevoli sulla mia pagina di Facebook, commenti negativi che ci accusano di essere stati comprati da qualcuno. Io sono l'amministratore della pagina, ma qualcun altro pagherebbe per quello che scrivo. Noi siamo, al limite, dei sognatori. I Fratelli Musulmani non hanno avuto un ruolo nell'organizzazione delle proteste, è stato tutto spontaneo, volontaristico. Gli stessi Fratelli Musulmani quando hanno deciso di partecipare lo hanno fatto autonomamente. E' stata una loro scelta. I fatti di questi giorni appartengono alla gioventù egiziana. E' il momento di restaurare la dignità dell'Egitto, non di dividerci ulteriormente. E' il momento di porre fine alle ruberie, alla corruzione, di ricostruire il nostro paese. Come ho scritto in un appello rivolto al presidente egiziano lo scorso 25 gennaio, nel nostro paese vi è ormai un'incomunicabilità cronica e una grave mancanza di fiducia tra il potere e la gente, anche a livello mediatico. Tutti sanno che la Tv di Stato non rappresenta la realtà ed è per questo che le emittenti private ottengono un crescente successo.

Per quanto mi riguarda, voglio sgomberare il campo da equivoci: sono in contatto da tempo con Ahmad Maher, il leader del movimento giovanile di opposizione "6 Aprile" (che prende il nome da uno sciopero generale tenutosi nel 2008, ndt), ma fino a poche settimane fa non sapevo nemmeno chi fosse. Mia moglie è americana, avrei potuto chiedere la cittadinanza statunitense ma non l'ho fatto. Fino al giorno della mia partenza per l'Egitto non avevo idea di cosa stesse succedendo al Cairo. Per questo motivo, quando negli interrogatori durante la prigionia mi si chiedeva se elementi stranieri fossero coinvolti nelle proteste ho avuto buon gioco nel dimostrare che si trattasse di un movimento genuinamente egiziano.

Mi voglio infine rivolgere, ancora una volta, alle famiglie egiziane, a quanti hanno perso dei figli in questi giorni drammatici. Non è colpa del movimento, non è colpa nostra: la responsabilità è di coloro che restano disperatamente aggrappati al potere. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)

 

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