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ISRAELE. IL CORAGGIO CHE MANCA
Daily Star/Haaretz, giugno 2011,

Israele vive momenti delicati, dovendo gestire il tentativo siriano di strumentalizzare l'impasse del processo di pace. Nel frattempo, si raffreddano ulteriormente i rapporti con gli Usa, in seguito alle dichiarazioni (poi rettificate) di Obama sul sostanziale ritorno dello Stato ebraico entro i confini precedenti il giugno 1967 e la Guerra dei Sei Giorni. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha evidentemente ritenuto azzardate le parole del presidente americano e ha deciso di replicare con fermezza. Una posizione che il noto analista di Newsweek, Fareed Zakaria, critica dalle colonne del Daily Star. Quando afferma che ogni discussione relativa ai confini del 1967 rappresenta un tradimento e che una loro eventuale ridefinizione dovrebbe tener conto dei "drammatici cambiamenti" intercorsi negli ultimi quarant'anni, Netanyahu smentisce sé stesso e le precedenti affermazioni dei diversi leader israeliani (Barak e Olmert) che si sono sempre mostrati possibilisti sulla concessione ai palestinesi dei territori occupati nel '67 e ai siriani del Golan.

Obama si sta dimostrando sensibile alle prerogative di Israele, al di là delle più rosee aspettative dell'opinione pubblica ebraica, e non è consigliabile per il governo Netanyahu evidenziare spaccature con il suo alleato chiave in una fase ricca di fermenti come l'attuale. La Casa Bianca ha mosso un passo significativo condannando la scelta palestinese di richiedere il proprio riconoscimento come entità statale dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si riunirà a settembre. Sempre da Washington sono emerse perplessità di fronte al riavvicinamento formale tra Fatah e Hamas ed è stato espresso sostegno all'idea di una Palestina demilitarizzata, secondo i desideri di Israele. E quale è stata la risposta dell'esecutivo guidato da Likud? Un irrigidimento che appare motivato da preoccupazioni di natura interna come il rafforzamento della fragile coalizione di governo che sostiene Netanyahu.

Al premier si richiede un atto di coraggio e al contempo di realismo, ossia di riconoscere che le più grandi minacce per il suo Paese promanano non dalle modeste forze armate palestinesi ma dalle nuove tecnologie (razzi e armi biologiche) e dalla demografia. Il sentiero per garantirsi pace e sicurezza è tracciato da vent'anni, insiste Zakaria, e consiste nel cedere la gran parte dei territori conquistati nel '67 in cambio di concrete garanzie per la propria sicurezza. Terra in cambio di pace appunto. Tuttavia, Netanyahu sembra non credere a questa logica e preferisce temporeggiare, mettendo nei fatti a rischio la sicurezza nazionale che intende proteggere.

Toni simili echeggiano in un editoriale del quotidiano Haaretz che elogia la prontezza di reazione e la professionalità dell'esercito nell'impedire la violazione dei confini israeliani sul Golan durante il 44esimo anniversario della Naksa (il 5 giugno 1967 scoppiò la Guerra dei Sei Giorni). Le forze di sicurezza hanno mantenuto quanto promesso, intercettando centinaia di dimostranti che, a favore di telecamera, hanno tentato di infiltrarsi in territorio israeliano armati di bandiere, altoparlanti e, secondo fonti dell'esercito, di molotov. Si è insomma ripetuto un refrain classico del conflitto mediorientale: l'ennesima vittoria tattica delle forze armate israeliane che rischia di essere vanificata dell'inefficienza strategica della politica.

Il noto quotidiano centrista israeliano rimprovera a Netanyahu una condotta inerte e rinunciataria. In primo luogo, il premier non ha proseguito nei primi due anni di mandato la cauta politica di ingaggio del regime siriano portata avanti dai suo predecessori nei confronti di Assad padre e figlio con un chiaro obiettivo in testa; smantellare il pericoloso connubio di Damasco con Hezbollah e Iran. Oggi, mentre le incontrollabili sbandate del regime siriano impediscono la ripresa di un negoziato su quel fronte, Netanyahu sembra ripetere lo stesso errore mantenendo un'inconcludente posizione d'attesa nei confronti dei palestinesi. Una mancanza di visione a lungo termine che sconcerta e mette lo Stato ebraico nella posizione di subire le prossime iniziative diplomatiche dell'Autorità Nazionale Palestinese. (A cura di Fabio Lucchini)
 

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