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UNA POLITICA CHE PENSI IN GRANDE
Critica Sociale, agosto 2011,

La sventata crisi del debito negli Usa non ha impedito lo scioccante abbassamento del rating statunitense da parte di Standard&Poor's. Un altro segnale di ciò che Bobby Butcher segnalava pochi giorni or sono dalle colonne di Prospect: "Gli Stati nazione si stanno confrontando con forze globali che vanno oltre le loro capacità di controllo individuali." La tipica reazione in un momento come questo rimanda all'arroccamento interno che si articola in nazionalismo, protezionismo e parrocchialismo. Tutti elementi che Butcher ritrova nel movimento del Blue Labour, che predica il recupero dei vecchi valori municipali e locali per contrastare i danni prodotti dall'iniqua finanza globale. Di cosa stiamo discutendo?

Recentemente, è apparsa sul quotidiano Europa una intervista di Filippo Sensi a Maurice Glasman, teorico e guida del Blue Labour, il movimento che si pone l'obiettivo di riscrivere l'agenda delle priorità del partito laburista di Ed Miliband. Nelle parole dello stesso Glasman: " Il Blue Labour è quella parte della tradizione socialista che mette il bene comune al centro della vocazione del movimento e del partito laburista. La sua missione storica è, dunque, quella di rimettere insieme ciò che è diviso... La sinistra è diventata progressista, accademica e di ceto medio; se passassimo il nostro tempo con gente simile capiremmo che non sono affatto persone serie, pensatori acuti e strateghi politici. Hanno troppi principi. Molti sono integralmente secolarizzati, senza alcuna consapevolezza del peccato, del potere che posseggono e del modo umiliante con il quale si rivolgono alle persone. Quando parlano di noi ci definiscono dilettanti, assertivi e snob, ma in realtà tutto quello che abbiamo è solo un pezzo di carta come la laurea. Così, un impegno autentico con il popolo e le famiglie operaie, per onorare la loro etica e stile di vita, è centrale per il Blue Labour. I colletti blu, però, sono solo una parte del nostro sforzo. In Italia, così come in Inghilterra, la vita familiare, il rispetto per le tradizioni etiche della Chiesa e il patriottismo sono componenti cruciali e costitutive della tradizione laburista. Berlinguer e Gramsci lo avevano capito molto bene. Dobbiamo collaborare con il popolo, non fargli la guerra. Per questo il Blue Labour si rifiuta di lasciare alla destra il terreno della famiglia, della patria e della fede... E' un movimento di rinnovamento civico e patriottico nel quale sono centrali responsabilità e democrazia...E' troppo semplice sostenere che siamo a sinistra sui temi economici e a destra su quelli sociali...
Il primo New Labour era davvero buono: patriottico, cristiano, partecipativo. Il problema è stato che, una volta preso il potere, esso ha sviluppato una visione non mitigata della globalizzazione finanziaria, senza fare ricorso a modelli di mediazione. E' dura per un inglese riconoscere che l'economia sociale di mercato tedesca, con la sua co-determinazione, le banche locali, sia quella che in Europa funziona meglio.
Quanto al mio approccio, non sono un comunitarista. Costruire comunità richiede leadership, energia, innovazione e atti formidabili di iniziativa individuale, e il comunitarismo non ha nulla a che vedere con questo. I mercati hanno bisogno di regole condivise, solidarietà, fiducia e intervento dello Stato. Perciò, non sono neanche un liberale...Il Blue Labour non considera gli esseri umani come merce che si muove priva di vincoli nel mondo, a caccia di stipendi più alti. Tanto più in quanto sosteniamo politiche internazionali che portano ad una mercificazione della terra nei loro paesi di provenienza, cosicché di fatto le persone sono costrette ad andarsene dalla propria patria. Ciò porta ad un taglio drastico dei salari, livellati verso il basso, e a una lotta tra migranti e gente del luogo. Dobbiamo rafforzare, piuttosto, le istituzioni di una vita in comune. Generare solidarietà nelle comunità attraverso l'interesse comune...".

Butcher vede nell'approccio brevemente descritto un velleitario tentativo di "riportate indietro le lancette dell'orologio civico ed economico". A sostegno della sua critica, cita la recensione che David Runciman (London Review of Books) propone de The Labour Tradition and the Politics of Paradox: The Oxford London Seminars 2010-11, l'ultimo lavoro collettaneo curato da Glasman, insieme a Jonathan Rutherford, Marc Stears and Stuart White.
La vera passione che anima il Blue Labour, nota Runciman, è la forte sensazione che il Paese (la Gran Bretagna, ndr) sia stata stuprata dai banchieri sotto gli occhi dei governi laburisti. Gli esecutivi blairiani sarebbero stati sopraffatti dagli affaristi della City perché privi delle risorse intellettuali per organizzare una resistenza, convinti com'erano della morte del Big State socialista, dell'inevitabilità della globalizzazione e della centralità del ruolo della politica nel far sì che i consumatori avessero accesso ai servizi alle condizioni migliori possibili data la mal parata. Per Glasman, invece, il consumismo si afferma quando il liberalismo alza bandiera bianca. Secondo l'influente intellettuale britannico recentemente innalzato alla Camera dei Lord, la risposta alla crisi che investe le società contemporanee sta piuttosto nel potere delle comunità auto-organizzate, perché solo quando gli individui si uniscono in nome di qualcosa di più sostanziale dei diritti condivisi essi riescono a far sentire la propria voce contro le minacce del mondo esterno. Glasman vorrebbe insomma intrappolare il capitalismo in associazioni locali che conferiscano alla gente la forza di ribellarsi all'affarismo imperante. Una micro-politica democratica.  L'ideologo, vicino a Ed Miliband, mette sotto accusa il liberalismo per la sua eccessiva astrattezza, per i vuoti richiama a giustizia, uguaglianza ed equità, spesso così lontani dalla dura esperienza quotidiana fatta di bisogni e interessi.
E' impossibile negare l'originalità di alcune suggestioni di Glasman, che evoca l'obiettivo del "Socialismo in una contea" ossia dell'"auto-governo all'interno delle istituzioni riformate del regno". Il titolo del suo libro "politics of paradox" fa riferimento ai paradossi più eclatanti della democrazia contemporanea: localismo e centralismo, risposta ai quesiti ed elusione degli stessi, apertura e chiusura al pubblico, flessibilità e sclerosi e soprattutto, la tendenza della politica a trasformarsi quando le cose vanno per il peggio abbinata all'incapacità di riformarsi dopo i successi. Vi è stato un momento in cui la democrazia è riuscita a tener testa al capitalismo. Tra le Grande Depressione degli anni trenta e lo Shock petrolifero degli anni settanta, i politici hanno saputo utilizzare il potere delle istituzioni democratiche per perseguire grandi finalità redistributive che incontravano l'approvazione delle pubbliche opinioni. Negli ultimi quarant'anni il compito si è rivelato arduo. Ciò che dell'analisi di Glasman non convince Runciman è la convinzione che la micro-politica possa sostituire interamente la democrazia rappresentativa legata alle istituzioni liberaldemocratiche. Se l'obiettivo del Blue Labour è organizzare una resistenza localistica contro le prerogative dello Stato, il movimento è destinato a una serie di sconfitte brucianti o a rimanere comunque sulla difensiva.

Runciman propone un'alternativa. Le crisi dell'Ue e dell'euro sono opportunità da cogliere. I laburisti (e i riformisti tutti) dovrebbero allargare i propri orizzonti e tentare davvero di incidere a livello europeo, utilizzando la loro influenza per parlare in nome delle opinioni pubbliche che si sentono oggi depredate dal capitalismo globale. Utopia? Può darsi, ma almeno non rassegnazione alla sconfitta. Il più grosso errore commesso da un leader brillante come David Miliband è stato di non accettare la nomina a ministro degli Esteri della Ue, rifiutando così di muoversi su un palcoscenico adeguato alle grandi battaglie del nostro tempo. Sotto questo punto di vista, conclude Runciman, non posso che riconoscere a Tony Blair, un politico che non amo, la lungimiranza di aver proposto un presidente dell'Unione legittimato  dal fatto di  essere eletto direttamente dai cittadini. Quella è stata una genuina e radicale presa di coscienza dei cambiamenti necessari a un profondo rinnovamento della democrazia rappresentativa in Europa. Piuttosto che cercare soluzioni locali, dovremmo riconoscere che i problemi che colpiscono i cittadini hanno assunto una dimensione globale e richiedono pertanto soluzioni globali.

Nel mezzo della tempesta che scuote i mercati internazionali e i nostri stili di vita, riprende Butcher, dovremmo considerare le opportunità che un effettivo governo macro-regionale è in grado di offrire. In un mondo polarizzato tra un'élite globale che vede le sue rendite in continua espansione nonostante la crisi e una eterogenea e sempre più proletarizzata classe medio-bassa colpita da un inarrestabile declino del potere d'acquisto, si avverte l'urgenza di adeguati strumenti di protezione dall'instabilità dei mercati. Una più profonda integrazione a livello europeo, ad esempio, permetterebbe un coordinamento delle politiche economiche statuali e consentirebbe un'efficace gestione nazionale delle insidiose forze globali che, anche in questi giorni, minacciano le prospettive di vita di molti cittadini. (A cura di Fabio Lucchini)
 

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