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LE SCELTE DELLA GERMANIA
Stratfor, agosto 2011,

Oltre un anno fa, la nostra rivista riprendeva le considerazioni di George Friedman, Stratfor, in merito alle scelte geo-economiche della Germania a fronte delle difficoltà che hanno colpito l'economia globale dal 2008 in poi (Germania, un leader sempre più solitario, Critica Sociale n. 5 / 2010). Già allora appariva evidente come la crisi economica in Europa stesse inducendo i tedeschi a riconsiderare alcuni aspetti strategici di fondo. Dalla seconda guerra mondiale in poi, la Germania ha perseguito due imperativi: mantenere stretti legami con la Francia e con il resto d'Europa per evitare ogni rischio di un nuovo devastante conflitto continentale e conseguire una stabile prosperità economica. Il ricordo delle gravi crisi economiche che colpirono il paese negli anni venti del secolo scorso e che contribuirono all'affermazione del militarismo e del nazismo ha fatto in modo che negli ultimi sessant'anni i tedeschi, da Konrad Adenauer in poi, abbiano mirato allo sviluppo economico come precondizione a una società benestante, stabile e pacifica. In questo contesto, l'alleanza con i francesi ha costituito il presupposto per garantire il progresso della Germania all'interno della cornice comunitaria. Se si eccettua l'unificazione delle due Germanie nel 1990, la situazione non ha subito sostanziali scossoni dalla fine della Seconda guerra mondiale sino agli anni duemila.

Gli eventi scatenati dalla crisi del 2008 hanno tuttavia minato la fiducia tedesca nell'Unione Europea come vettore di ricchezza e garanzia di stabilità. Un sentimento di insicurezza acuito dai recenti, e gravi, passaggi a vuoto delle economie mediterranee, Grecia in testa. Il triennio di crisi globale non ha fatto altro che confermare il ruolo preminente della Germania, un ruolo che negli ultimi decenni è stato confinato all'ambito finanziario. Tuttavia, posto che le dinamiche economiche assumono di giorno in giorno una natura prettamente politica e che le due sfere tendono vieppiù a intrecciarsi, è impossibile sottovalutare  la recente, vigorosa, virata di Berlino. La Germania, infatti, in linea con i propri interessi, sta tentando di riformulare la natura stessa dell'Unione Europea e dell'eurozona. Per la prima volta dopo decenni, i tedeschi ammettono implicitamente di voler riacquistare la supremazia politica, e non solo economica, in Europa.

Ora, a mesi di distanza, il think tank statunitense affida Peter Zeihan e Marko Papic un aggiornamento della situazione che verifichi gli sviluppi di un processo che pareva ben avviato nella primavera del 2010. Mentre la crisi finanziaria europea si complica e l'attualità ci parla di bond, rischi di default e piani di salvataggio, tre elementi di fondo paiono indubitabili. In primo luogo, l'Europa non può funzionare come un'entità unificata a meno che non vi sia qualcuno in grado di controllare la situazione e fornire un indirizzo; in secondo luogo, la Germania è il solo paese capace di esercitare una leadership; infine, i tedeschi sono consci del fatto che detenere una posizione preminente comporta dei costi, primo fra tutti il sostegno finanziario ai membri più deboli dell'Unione Europea. Non sorprende pertanto che in questi mesi in Germania si discuta su quanto la Ue sia ancora funzionale agli interessi nazionali.

Con l'approvazione, lo scorso 22 luglio, di un nuovo piano di salvataggio a favore della Grecia, che ha concesso ad Atene un'immediata ancora di salvataggio da 109 miliardi di euro, i tedeschi hanno messo in chiaro le proprie intenzioni, lasciando intravedere un futuro diverso per l'intera Europa.
L'atteggiamento ambivalente tenuto dalla Germania nei confronti del pericolante paese ellenico si spiega con la riluttanza di Berlino nel finanziare un sistema, quello greco, che pare comunque destinato all'insolvenza. Tuttavia, la Germania alla fine ha concesso il benestare al nuovo prestito perché l'immediato crollo di Atene non sarebbe stato nel suo interesse.  Nonostante gli squilibri, il sistema che attualmente governa l'Europa ha garantito alla Germania il raggiungimento dello status di grande potenza economica senza la perdita di una singola vita tedesca. Se si torna con la memoria agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, non si tratta di un aspetto da sottovalutare. Non vi è paese nel Continente che abbia beneficiato dell'eurozona più della Germania. Agli occhi della classe dirigente tedesca, l'eurozona ha rappresentato un utile strumento di arricchimento nazionale e di rilancio dell'influenza globale del Paese nel secondo dopoguerra, senza bisogno di ricorrere a una rimilitarizzazione che avrebbe diffuso il panico e il sospetto sia nel mondo occidentale che nell'impero sovietico.

Ciò premesso, davanti alla "tragedia greca" la Germania ha dovuto prendere una decisione complicata, ben descritta dal seguente dilemma: Permettere che le strutture istituzionali e finanziarie edificate dalle generazioni precedenti cadessero insieme alle velleità europee o salvare l'eurozona sottoscrivendo due trilioni di debito emessi ogni anno dai governi dell'eurozona stessa? Berlino ha optato per una soluzione definita "sub-ottimale" da Papic e Zeihan; si tratta del potenziamento dell'Efsf (European Financial Security Facility), una società veicolo, creata nel maggio 2010 dagli Stati membri della eurozona per preservare la stabilità finanziaria dell'area.

In sostanza, un meccanismo in grado di emettere bond garantiti dai paesi europei più ricchi, Germania in testa. Grazie a queste garanzie, l'Efsf è stato in grado di raccogliere fondi sul mercato dei bond per poi reindirizzare i capitali verso i paesi in difficoltà, chiedendo come contropartita programmi di austerità. Se le istituzioni europee sono fortemente influenzate dalla Germania, l'Efsf prende ordini dalla Germania! Nell'ultimo anno esso ha funzionato  come una banca privata, con un direttore tedesco. Il meccanismo si è rivelato insufficiente e a Berlino si è deciso di andare oltre, ridisegnando l'Efsf.

Come riportato da Isabella Bufacchi (Sole 24 ore, 22 luglio): " La potenza di fuoco, gli strumenti, il campo di azione, gli interventi dell'Efsf sono stati estesi e rafforzati per trasformare questo veicolo garantito dagli Stati dell'eurozona da mero erogatore di prestiti con il contagocce in prestatore di ultima istanza: un colosso con le spalle talmente larghe, si augurano i politici europei, da riuscire a mettere in fuga e spaventare la speculazione e rassicurare, agendo da guardiano della moneta unica, gli investitori che detengono titoli azionari e obbligazionari denominati in euro. I nuovi compiti assegnati all'Efsf, che fino a ieri ha finanziato il Portogallo e l'Irlanda concedendo prestiti con durata media di 7,5 anni assieme all'Efsm (European Financial Stabilization Mechanism della Commissione europea in rappresentanza dei 27), spaziano ora dal sostegno diretto alla Grecia, con prestiti da un minimo di quindici anni fino a trent'anni con un periodo di grazia di dieci, alla ricapitalizzazione delle banche, fino agli acquisti sul mercato secondario dei titoli di Stato emessi da qualsiasi Paese, non solo quelli aiutati finanziariamente nell'ambito di un piano di risanamento dei conti pubblici concordato con Ue e Fondo monetario internazionale. Quindi anche Italia, Spagna e Belgio."

Tutti i debiti pendenti, inclusi quelli che ricadevano nei programmi del vecchio Efsf, possono essere rilavorati in base alle nuove regole. Si è stabilito che l'Efsf possa partecipare direttamente al mercato dei bond comprando il debito governativo di Stati che non trovano altro acquirente interessato o agire preventivamente davanti al rischio di una crisi, senza il bisogno di negoziare un programma di salvataggio preliminare.  L'Efsf  così rinnovato potrà anche estende il credito ai paesi che prendessero in considerazione un salvataggio interno del proprio sistema bancario. Si tratta di un massiccio programma di consolidamento del debito sia per il settore pubblico che per quello privato. Per accedere ai finanziamenti i paesi in difficoltà non dovranno far altro che acconsentire a tutte le richieste del gestore del fondo, la Germania. E' da notare che il processo decisionale non avverrà a livello di istituzioni europee, ma al di fuori di esse.

In termini pratici, questi cambiamenti determineranno due conseguenze. In primo luogo, verrà rimosso ogni potenziale tetto all'ammontare di denaro che potrà essere raccolto dall'Efsf. In secondo luogo, tutti i bond degli Stati in difficoltà saranno rifinanziati a un tasso più basso su un periodo più lungo. In regime di Efsf tutto il debito sarà riconvertito in una nuova categoria di bond (definibili come eurobond) posti sotto il controllo tedesco da cui dipenderanno i destini dei paesi europei più fragili. D'ora in poi, i paesi in difficoltà saranno costretti a vincolarsi alla struttura dell'Efsf, i cui meccanismi, una volta accettati, condurranno gli aderenti a rinunciare alla loro autonomia finanziaria rispetto a Berlino. Al momento, ciò significa accettare i programmi d'austerità disegnati dalla Germania, ma nulla garantisce che la Germania limiti le sue condizioni alla sfera finanziaria e fiscale.

Si sta aprendo un nuovo capitolo nella storia d'Europa. A prescindere dalle sue intenzioni recondite, la Germania è ormai in grado di influenzare pesantemente le scelte degli altri membri Ue, "usurpando", de facto, larghe fette di sovranità nazionale. Lungi dall'arginare il potenziale geopolitico tedesco (come nelle intenzioni degli estensori dei trattati post-bellici e degli europeisti), l'Unione Europea ha finito per amplificarlo. Ciò non significa paventare la minacciosa rigenerazione della Wehrmacht, ma prendere atto degli effetti che la nuova ascesa egemonica tedesca avrà sugli equilibri dell'Eurasia.

Quali saranno le reazioni internazionali?

La Francia comincia a dare segni di autentico terrore perché sta realizzando di aver ormai perso il controllo sull'Europa che si illudeva ancora di recuperare. Parigi ha dato un contributo importante alla nascita dell'Unione Europea con l'intento esplicito di contenere la Germania, la principale potenze continentale due volte sconfitta nei conflitti bellici del novecento. Oggi, esistono le condizioni perché quello che è stato per decenni l'incubo francese, ossia l'ipotesi di una Germania egemone nel Vecchio Continente, possa materializzarsi.
I britannici, forse meno nervosi dei francesi, dovranno riflettere sui presupposti strategici del proprio rapporto con l'Europa. Con l'assertività della politica finanziaria di Berlino che si estende oltre i confini delle istituzioni comunitarie, il potere di veto che Londra conserva partecipando in esse perde di significato. L'Ue non è più una gabbia dorata per la Germania e questo spiazza i britannici, che si trovano a essere membri di una organizzazione internazionale che ha perso gran parte dell'attrattiva che tempo fa aveva spinto Londra ad aderirvi: ossia, ancora una volta, il contenimento della Germania.
Diverso il discorso per la Russia, che sa di avere delle carte da giocare di fronte alle pericolose oscillazioni delle istituzioni europee, mai amate dal Cremlino poiché concepite, al pari della Nato, come strumenti per limitare l'influenza continentale di Mosca. Con la Germania che tenta di occupare la sua naturale posizione di egemone in Europa, la Russia si prepara all'idea di negoziare con un solo decision-maker e non più con una pluralità di attori come in passato. Non è una novità che esistano delle sinergie tra le due economie. La Germania importa risorse energetiche dalla Russia, che a sua volta necessita di tecnologie e capitali per dare consistenza alle sue velleità da grande potenza. Ancora, la Germania ha bisogno di forza lavoro, mentre la Russia denuncia un surplus in tal senso. Allargando il discorso al dominio della grande strategia, l'innegabile compatibilità economica sembra il presupposto per fondare una solida partnership tra Mosca e Berlino sulle macerie del progetto europeista.
Anche qui, tuttavia, la storia di un secolo di conflitti esercita il suo peso e fa sì che la Russia non possa guardare con troppo entusiasmo alla completa rinascita del potere tedesco nel cuore dell'Europa. Peraltro, rispetto al passato, esiste oggi una cintura di dodici paesi indipendenti a separare le due potenze. Paesi "intrappolati" tra la rinascita tedesca e il consolidamento della Russia post-sovietica. Se Bielorussia, Ucraina e Moldova sono state di fatto reintegrate nella sfera di influenza moscovita
, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria cercano di preservare la loro libertà d'azione dalla tutela dei due giganti. La più ovvia alternativa per queste nazioni è rappresentata dagli Stati Uniti, ma gli americani, distratti dal defatigante confronto interno sull'innalzamento del tetto del debito e preoccupati dalle incerte prospettive di Wall Street, stanno valutando l'inaugurazione di un nuovo periodo di isolazionismo.

Siamo alla vigilia di un grande riallineamento? Senza dubbio, la propensione egemonica della Germania e l'esplorazione di nuove possibili alleanze da parte di Berlino lasciano presagire l'allentamento delle tradizionali fedeltà all'interno del mondo occidentale. Spiazza che a mettere in moto una simile dinamica possa essere la Germania, stanca di fungere da bastione economico dell'Europa e desiderosa, dopo sessant'anni di acquiescenza, di sfruttare la sua forza economica e la debolezza dell'area euro per giocare un ruolo politico di primo piano sulla scena internazionale. A discapito delle istituzioni comunitarie. (A cura di Fabio Lucchini)

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