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IN RICCHEZZA E IN POVERTA’

La Grande Recessione seguita alla crisi finanziaria del 2007-08 è stata la prima accentuata contrazione economica su scala globale dalla seconda guerra mondiale in avanti. La crisi, tutt’altro che superata, della finanza globale prosegue nel dispiegare i suoi effetti negativi e minaccia di influenzare negativamente la distribuzione dei redditi familiari e di aumentare gli indici di disuguaglianza e povertà. Lo rileva Andrea Brandolini (Servizio Studi di struttura economica e finanziaria della Banca d’Italia) nel rapporto The Great Recession and the Distribution of Househld Incombe (XIII Conferenza europea “Incomes Across the Great Recession” della Fondazione Rodolfo Debenedetti-Palermo, 10 settembre 2011). Se l’impatto di breve periodo della Recessione sui redditi familiari medi, sulla disuguaglianza nella loro distribuzione e sui tassi di povertà  relativi è stato nel complesso contenuto, il prolungarsi della sofferenza economica solleva ombre preoccupanti sul futuro dei sistemi occidentali, Italia in primis.
La situazione del nostro Paese, dati alla mano, appare particolarmente preoccupante. Un recente e documentato lavoro di ricerca analizza il passato e riflette con una buona dose di preoccupazione sul presente e il futuro del benessere degli italiani. Ne "In Ricchezza e povertà. Il benessere degli italiani dall'Unità a oggi", Giovanni Vecchi, docente di economia politica all'Università Tor Vergata di Roma, propone una storia d'Italia vista secondo la ricchezza dei suoi abitanti, scritta analizzando ben 20mila bilanci familiari e confrontandoli con indagini dell'Istat e della Banca d'Italia. Il quadro che emerge è chiaro: l’Italia è un paese cresciuto nei decenni passati a ritmi sostenuti ma che da tempo sta rallentando e oggi rischia l’involuzione.
Per quanto riguarda il Pil, questa tendenza è in atto già da due decenni: se dal 1861 il Pil per abitante italiano è aumentato di ben tredici volte, dal 1991 circa avanza alla velocità dello 0,6% all'anno, in un contesto in cui i redditi più alti sono gli unici a crescere sensibilmente, a fronte di un sostanziale blocco di quelli più bassi e di un galleggiamento di quelli medi. Oggi l'indice di disuguaglianza dei redditi, dopo essere precipitato dal 40% del 1971 a meno del 30% nel 1982, è risalito e oscilla fra il 33 e il 35%. Inoltre, chi è povero sembra condannato alla povertà, visto che il 90% dei casi è cronico, e oggi sia sta diffondendo una strisciante percezione di insicurezza anche fra chi può fare affidamento su un reddito. Tempi decisamente diversi dal 1989, quando l'indice di povertà assoluta dell'Italia unitaria scese al 3%, il livello più basso mai raggiunto.
Di particolare interesse l’analisi che Vecchi dedica alla vulnerabilità alla povertà, che coglie un aspetto cruciale dell’insicurezza esistenziale che attanaglia buona parte delle nostre società, ossia la probabilità di diventare poveri in futuro. E’ vulnerabile non solo chi è già povero, ma anche chi rischia di diventarlo. Il carattere innovativo del concetto risiede nel fatto che la sua misurazione si basa, allo stesso tempo, sul livello attuale dei redditi delle famiglie e sul rischio che questo si riduca in futuro a causa dell’incertezza dell’ambiente economico. Chiaramente, all’alba del 2012, ci muoviamo in una fase storica dove la stragrande maggioranza degli individui vive il proprio futuro occupazionale ed esistenziale come un grande interrogativo. L’incertezza rende gli italiani inquieti e limita la loro capacità di godere i livelli di benessere comunque raggiunti e certificati dai dati relativi al lungo periodo (i 150 anni di storia unitaria). Si potrebbe sostenere che l’Occidente gode comunque ancora di relativa agiatezza, soprattutto se si confrontano le condizioni dei cittadini europei e nordamericani con le misere moltitudini asiatiche e africane. Sono forse eccessive le attuali percezioni di insicurezza? Non coincidono con la realtà? Dati alla mano, non sembra il caso di eccedere nelle rassicurazioni.
Se è vero che la povertà assoluta nel nostra Paese è diminuita tra il 1985 e il 2001, non bisogna dimenticare la persistenza di sacche di povertà cronica. Si tratta della forma più odiosa di indigenza, quella in cui alle sofferenze causate dalla deprivazione estrema si aggiungono l’esclusione sociale e la mancanza di una speranza di riscatto. Inoltre, da un’attenta analisi dei dati proposti da Vecchi, si evince come la salute economica delle famiglie italiane nel periodo considerato non sia rivelata solidissima. Le stime mostrano che la vulnerabilità alla povertà è diffusa su ampia scala, dato che già agli inizi degli anni novanta del secolo scorso riguardava quasi la metà della popolazione e considerando che è ragionevole supporre che la situazione volga al peggio, soprattutto alla luce della cronica stagnazione del Pil italiano e degli effetti persistenti della crisi del 2008-09. (A cura di Fabio Lucchini)

In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall'Unità a oggi, Giovanni Vecchi, Il Mulino, Bologna 2011

Giovanni Vecchi è professore di Economia politica all’Università di Roma «Tor Vergata». Si occupa di teoria, misurazione e storia del benessere. Su questi temi ha pubblicato contributi sulle principali riviste internazionali. Partecipa, con la Ban­ca mondiale, alle missioni nei paesi in via di sviluppo per l’analisi delle condizioni di vita, povertà e disuguaglianza.

 

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