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DOPO LA TERZA VIA
Critica Sociale, maggio 2012,

Dodici anni fa la sinistra era al potere quasi ovunque in Europa. L'entusiasmo intorno ai destini della socialdemocrazia rinnovata erano diffusi, soprattutto in Gran Bretagna con l'affermazione del New Labour. Ora le cose sono cambiate. Nel momento in cui la Ue si trova ad affrontare una crisi esistenziale e all'indomani del ritorno dei socialisti al potere in Francia, possiamo davvero guardare con ottimismo a una prospettiva riformista per l'Europa? Con queste parole Olaf Cramme, direttore del think tank britannico e riformista Policy Network, apre l'incontro svoltosi al King's College di Londra per presentare il saggio collettaneo After the Third Way: The Future of Social Democracy in Europe, curato dallo stesso Cramme insieme a Patrick Diamond, ricercatore di Policy Network e del Nuffield College, Oxford, ed ex consulente di Tony Blair a Downing Street.

Diamond introduce il suo lavoro riconoscendo l'incapacità della sinistra riformista europea di lasciare un'impronta in termini di eredità politica dopo i successi elettorali degli anni novanta e dei primi anni duemila. Attualmente, la composita famiglia riformista europea (che, concisamente, Diamond definisce "socialdemocrazia") pare intrappolata nello stesso dilemma che la attanagliava negli anni dell'avvento del neo-liberismo thatcheriano e reaganiano: i socialdemocratici, oggi come allora, si dichiarano orgogliosi delle conquiste politico-sociali ottenute in passato, ma non sanno quale direzione intraprendere per il futuro.

Il nuovo conservatorismo, incarnato da Merkel, Sarkozy e Cameron, dopo aver vissuto un periodo di felice affermazione elettorale, si trova in difficoltà davanti alla crisi economica, perché l'austerità non basta a società europee impoverite, preoccupate e frustrate. Il risultato del 6 maggio in Francia e le sconfitte locali della Cancelliera lo testimoniano. Pertanto, le forze socialdemocratiche hanno la grande occasione di rilanciare un'idea di crescita equa e di riprendere e rinnovare quella narrazione interrotta che è stata la "Terza Via" tra socialismo e capitalismo, proposta da Tony Blair e da altri leader progressisti negli anni novanta. Nel nostro libro, conclude Diamond, grazie al contributo di autori prestigiosi e competenti si illustrano le tematiche che i riformisti europei dovrebbero affrontare per riproporsi, con credibilità, al governo. Infatti, anche in caso di successo elettorale, senza un progetto politico chiaro e definito si finirebbe semplicemente per gestire le macerie della crisi. Una soddisfazione passeggera.

Andrew Gamble, è professore e capo di dipartimento all'Università di Cambridge, e ha contribuito al saggio con un articolo dedicato alla "competenza economica" della sinistra. Stabilità dei prezzi e servizi pubblici efficienti servono senz'altro a garantire il prezioso bene della sicurezza economica, afferma, e in periodi di crisi non è poco. Tuttavia, se si vuole realizzare una politica economica che sia genuinamente riformista, è necessario garantire la mobilità sociale, in parole semplici dare a tutti i cittadini la possibilità di realizzarsi secondo le proprie capacità e i propri meriti. Affermare questo non significa auspicare un'avanzata inesorabile dello Stato, ma piuttosto tentare di realizzare un equilibrio virtuoso con il Mercato. Sbagliano coloro che associano Francois Hollande alle politiche di Mitterrand, perché il nuovo inquilino dell'Eliseo sa che il dirigismo del 1981 è impraticabile oggi e che riproporlo non contribuirebbe certo a rilanciare la reputazione economica della sinistra.

Qual è stato l'argomento polemico più efficace contro la socialdemocrazia negli ultimi trent'anni? Il Big Government! Nei primi anni dell'attuale crisi economica globale, molti hanno ritenuto che, date le evidenti responsabilità nell'accaduto del capitalismo finanziario, lo Stato dovesse recuperare l'ingombrante ruolo avuto in passato. Ma si è rivelato un breve ritorno di fiamma. Guardare al passato non serve, è opportuno fare un passo avanti. E' nella crescita equa e bilanciata, e non nell'elefantiasi burocratica, la risposta ai mali delle stanche economie europee, conclude Gamble.

Katrine Kielos, giornalista di Aftonbladet, il più importante quotidiano svedese (e scandinavo), offre una chiave di lettura originale, notando come il centro-destra europeo abbia adottato e riadattato parte dei programmi espressi dalla Terza Via negli anni novanta. Una flessibilità che ha indubbiamente pagato in termini di consenso. I "conservatori progressisti" (Cameron, Merkel, lo svedese Reinfeld) hanno rappresentato un fenomeno di successo e ancora governano in importanti paesi europei. E' una conferma indiretta del fascino della Terza Via. Nulla di nuovo, comunque, poiché la stessa sinistra europea si era già dovuta adeguare ad alcune istanze del neo-liberismo che avevano dominato la scena politica anglo-sassone negli anni ottanta. Ora, all'inizio di quello che appare come un nuovo ciclo politico, la socialdemocrazia deve avere la forza di avanzare una visione progressista. Una visione che faccia proprie le migliori idee, anche di altre tradizioni di cultura politica, e che mantenga viva la sua identità riformista, attenta alla tutela dei più disagiati ma anche alla promozione del dinamismo sociale.

Zaki Laïdi, professore di Relazioni Internazionali presso l'Institut d'études politiques di Parigi, chiamato a commentare le proposte del saggio di Cramme e Diamond alla luce dei risultati delle presidenziali francesi, parte da lontano. Una delle ragioni delle sconfitte della sinistra, a partire da quella clamorosa di Lionel Jospin nel 2002, è stata l'incapacità di ridistribuire la ricchezza senza colpire gli interessi del ceto medio. In altre parole, una certa indulgenza al classismo. Non stupisce pertanto che un personaggio come Sarkozy abbia potuto suscitare speranze, non solo a destra o al centro, ma anche a sinistra. Il fatto che egli non sia riuscito a mantenere le promesse di inizio mandato spiega altresì la sua chiara sconfitta, dovuta soprattutto alla disillusione delle fasce popolari nei suoi confronti. Nelle recentissime elezioni, la sinistra francese ha quindi recuperato le sue basi tradizionali di consenso, ma ciò non significa che l'inversione di tendenza sia definitiva. E' un consenso che andrà mantenuto, altrimenti evaporerà, come già successo nel 2002 a vantaggio di Le Pen e nel 2007 di Sarkozy.

In attesa di valutare le politiche dei socialisti francesi, si può sin d'ora affermare che la vittoria sia legata, oltre alla debolezza del presidente uscente, alla capacità di aggregare consenso intorno a una leadership riconosciuta e portatrice di un progetto chiaro. Fondamentale l'investitura democratica delle primarie, un modello di selezione dei candidati che si sta diffondendo in tutta Europa. Proprio a livello europeo ci si aspettano le prime risposte da Hollande e dai suoi omologhi progressisti che si augurano di tornare al potere in Germania, Italia, Gran Bretagna e Spagna: Il nuovo presidente francese sarà in grado di opporre un'alternativa economica, politica e culturale all'austerità tedesca? I riformisti riusciranno a interpretare il disagio sociale montante e a incanalarlo in politiche virtuose? E, finalmente, i progressisti europei daranno una risposta soddisfacente all'irrisolto dilemma tra Stato e Mercato? (A cura di Fabio Lucchini)

 

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