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EUROPA 2012. LA CRISI E' GLOBALE

Critica Sociale, ottobre 2012

Parlare di minaccia populista in Europa rischia ormai di apparire riduttivo. Il populismo permea ormai la destra e la sinistra, denigra le elite nazionali e le burocrazie euro-comunitarie e incontra i gusti di un'ampia porzione dei tradizionali bastioni del consenso liberaldemocratco, le classi medie. Il discorso radicale forse non raggiunge la profondità di analisi degli anni settanta, ma sfonda a livello elettorale come mostra il successo di alcune formazioni contestatarie al momento di affrontare le urne (vedi il Movimento Cinque Stelle in Italia).

In verità, non è facile accomunare sotto l'etichetta "populismo" movimenti, gruppi, correnti di opinione che poco hanno da spartire tra loro, se non l'opposizione al sistema istituzionale ed economico che guida il mondo occidentale da una settantennio. Non sono necessariamente pericolosi estremisti a trarre vantaggio dal deficit di credibilità/autorevolezza della "politica tradizionale" e dal declino della struttura socio-economica capitalista, ma è innegabile che il radicalismo stia guadagnando consensi e che lo stia facendo passando per la strada maestra del voto. Una circostanza impensabile sino a cinque anni fa.

Dalle colonne de El Paìs la scrittrice ceca Monika Zgustova propone un succinto giro d'orizzonte sulle forze e le tendenze che si agitano sulla scena continentale. Con la crisi economica paneuropea si moltiplica la voce di coloro che mettono sotto accusa la moneta unica e l'intero processo di integrazione comunitaria (Marine Le Pen in Francia), di coloro che lamentano la scarsa trasparenza dei processi decisionali e l'irresponsabilità dell'establishment (gli Indignados spagnoli) e di coloro (forze politiche vecchie e nuove) che si affermano promettendo il rinnovamento, non esclusivamente in senso riformatore e progressista. Una situazione che potrebbe condannare all'insuccesso il tentativo di stabilizzare la crisi economica europea mediante il rafforzamento istituzionale dell'Unione, aprendo piuttosto una ancor più acuta fase di incertezza, suscettibile a sua volta di alimentare le tensioni sociali.

Alle difficoltà interne potrebbero inoltre sommarsi minacciosi sviluppi esterni. Questa almeno l'analisi di Philip Blond, politologo britannico e direttore del think tank Res Publica, in un contributo per la rivista Prospect. Secondo Blond, i paesi dell'Unione Europea dovrebbero prestare maggiore attenzione a quanto accade ai propri confini.

Ad est, per esempio, le prospettive della Russia di Putin appaiono sempre più incerte, a causa della forte dipendenza nazionale dal volatile prezzo dei combustibili fossili. Per conservare credibilità interna e spazio di manovra internazionale, il Cremlino potrebbe presto riprendere la sua politica di espansione nelle ex periferie dell'Impero (soprattutto Ucraina e Bielorussia). Come reagirebbero i governi europei distratti dall'emergenza economica?

Sul fianco meridionale, mentre la Turchia cresce e si allontana dall'Europa, la crisi siriana e l'evoluzione incerta delle primavere arabe preannunciano una stagione di instabilità. La cacciata degli autocrati (filo-occidentali o filo-russi che siano) porterà al consolidamento della democrazia e della libertà o, piuttosto, a uno stato di guerra civile endemica, a una affermazione dell'islamismo politico e a un nuovo massiccio flusso migratorio verso ilVecchio Continente? E che dire della prossima scadenza dell'implicito ultimatum di Israele all'Iran rispetto al suo programma nucleare?

Interrogativi che non hanno risposta e che si riferiscono a questioni al momento non prioritarie per i leader europei. Ma ciò non significa che non siano importanti e urgenti.

Austerità, paura e rabbia sono da tempo parte integrante del nostro vocabolario. Resta da augurarsi che le importanti decisioni prese di recente in sede comunitaria contribuiscano a rilanciare davvero il progetto politico europeo, al momento unica bussola disponibile. Il rafforzamento del ruolo della Banca centrale europea è un passo importante per rassicurare i mercati e v'è da augurarsi che nessuno (Berlino in primis) abbia ripensamenti in proposito.  Tuttavia, sarebbe ingenuo ritenere che una opportuna scelta di governance economica possa dissipare, da sola, le nubi che si stanno addensando. Se si crede nell'Europa, si deve farlo fino in fondo, trasformandola in un vero corpo democratico, responsabile e in grado di rispondere alle sfide, non solo economiche ma anche politico-sociali, che le siparano davanti. Se si prosegue con la logica delle misure una tantum, del compromesso al ribasso e del rinvio sine die, logica prevalente nell'ultimo ventennio, il risultato sarà di dover imporre misure ancor più drastiche a cittadini sempre meno disposti ad accettarle. (Fabio Lucchini)

LE BIZZARRIE DEL POPULISMO ITALIANO

"E' UN PROBLEMA DI DEMOCRAZIA, NON DI AUSTERITY"

 

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