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LA PROSSIMA CRISI
Critica Sociale

Mentre ancora ci si dibatte nella morsa della crisi, una grande questione si profila all'orizzonte e promette di indebolire le basi della tanto agognata ripresa mondiale. Un recente e documentato editoriale apparso sull'Economist, oltretutto tra i più letti dell'ultimo mese nella versione online della rivista britannica, pone il tema dello strisciante conflitto economico che contrappone le sempre più inquiete nuove generazioni ai baby-boomers, i nati in Occidente tra il 1945 e il 1964.

Come noto, alla fine della Seconda guerra mondiale si assistette a un'esplosione delle nascite nel mondo euro-atlantico, negli Stati Uniti in particolare ma anche in Europa. Negli Usa, all'alba del 1964 i nati dopo la guerra ammontavano già al 41% della popolazione e si preparavano (come poi avvenuto) a dominare la scena politico-economica per il cinquantennio successivo. I baby-boomers hanno beneficiato di una serie di tendenze economiche, politiche e sociali (la crescita del trentennio 1945-1975, la costruzione del welfare state, la diffusione del lavoro femminile) che hanno consentito loro di vivere un'esistenza più agiata e gratificante sia dei loro padri che dei loro figli e nipoti.

Il caso statunitense è significativo del processo di lungo periodo che ha generato il gap di opportunità tra le diverse generazioni. A partire dagli anni ottanta, per rispondere alla stagnazione economica i governi federali Usa hanno cominciato ad abbassare la pressione fiscale, proprio mentre molti boomers iniziavano la propria carriera lavorativa. Da allora, il livello medio di imposizione nel Paese si è mantenuto su livelli inferiori al passato (dal 18% all'11% in meno) e ciò si è tradotto in un'esplosione del deficit pubblico statunitense, similmente a quanto avvenuto altrove. Erick Eschker, un economista della Humboldt State University, evidenzia come ogni americano nato nel 1945 avrà alla fine della sua vita un ammontare di trasferimenti statali pari a 2.2 milioni di dollari. Una cifra senza precedenti e destinata a rimanere insuperata. Una situazione che, oltre ad apparire iniqua a livello inter-generazionale, prospetta poche via d'uscita. E' una questione di fredda ma ineludibile aritmetica. Riprendendo il caso americano, tre sono le opzioni sul terreno: favorire la crescita mediante un'espansione della spesa pubblica, puntare sull'austerità e il rigore, manovrare l'inflazione.

Stimolare la crescita potrebbe essere d'aiuto, ma due economisti di Harvard come Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff puntualizzano che se il debito pubblico dovesse mantenersi ancora a lungo sopra il 90% (come da previsioni) l'impatto sulla crescita sarebbe senza dubbio negativo. Inoltre, v'è da considerare il declino di lungo periodo degli investimenti pubblici in America, che se negli anni sessanta ammontavano al 3% del PIL ora si attestano all'1. Un viatico scoraggiante per i sostenitori della spesa pubblica.

Austerità? Difficile da accettare ovunque, e gli Usa non fanno eccezione. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale servirebbero un drastico taglio dei trasferimenti federali e un altrettanto pronunciato aumento delle tasse (+ 35%) per rimettere in equilibrio i conti pubblici. Un prezzo politicamente inaccettabile per chiunque.

Una terza opzione rimanda alla possibilità per l'autorità monetaria di manovrare i valori dell'inflazione. Secondo Rogoff pochi anni di crescita dei prezzi intorno al 5% potrebbero aiutare le famiglie americane a ridurre più rapidamente i propri debiti. Una convinzione condivisa da due attuali membri del board della Federal Reserve, che ritengono che un più alto tasso d'inflazione sarebbe d'aiuto alla ripresa. Tuttavia, ancora una volta, il gap generazionale impedisce interventi di questo tipo. I giovani lavoratori sono per solito debitori, che traggono beneficio dalla capacità dell'inflazione di ridurre i tassi di interesse. Per le fasce più anziane, che invece hanno a disposizione abbondanti risparmi, vale l'opposto. Pertanto, coloro che auspicano che la Fed faccia ricorso all'inflazione per ottenere un qualche effetto redistributivo, incontrano forti resistenze, soprattutto fra i baby-boomers, che negli Usa come in Europa controllano ancora le leve del potere politico ed economico. Ma per quanto?

 

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