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RENATO MASSARI
di Enzo Collio

Era il 1965 quando conobbi Renato Massari, lui un personaggio già affermato, leader del PSDI milanese, ben conosciuto nel mondo politico, io un ragazzo da qualche mese alla guida della Federazione Giovanile del PSI milanese, sconosciuto ai più.

Nel mondo socialista ed in quello socialdemocratico si vivevano giornate di grande tensione e passione. Dopo anni di divisioni e di incomprensioni i due storici tronconi della tradizione socialista italiana si avviavano alla unificazione; in sostanza Nenni e Saragat, i due grandi del socialismo italiano, si apprestavano a ridare unità al partito socialista dilaniato, sin dal 1921 con la nascita del Partito Comunista, da innumerevoli scissioni tra le quali quella del 1947 capeggiata da Saragat fu forse la più dolorosa e consistente.

A Milano l'unificazione socialista voleva dire unire il PSI, guidato da Craxi, al PSDI guidato da Massari e quindi per me e per molti come me, giovani craxiani, entusiasti per questa grande operazione politica, era assolutamente necessario entrare in contatto con gli esponenti della socialdemocrazia non solo per costruire quei rapporti umani che sono alla base di una vera collaborazione politica ma anche per capirne le storie, sondarne gli umori, costruire delle alleanze in un periodo nel quale le correnti interne di partito spesso si configuravano come partiti nel partito.

Massari, minuto, di bassa statura, un viso regolare, bello ed espressivo si imponeva per la vivacità degli  occhi che confermavano abilità ed astuzia ma anche simpatia e grande umanità e per quel suo modo di argomentare, rauco ma preciso, semplice, comprensibile a tutti ma moderno, profondo, sempre aggiornato sui fatti più significativi e non solo della politica.

Portava con se, nel suo modo pragmatico di ragionare, tutta la storia del riformismo milanese, del socialismo municipale, il suo pensare ed il suo giudicare gli avvenimenti avevano la indelebile matrice dei Prampolini e dei Turati, dei Treves e dei Gonzales di cui spesso ci parlava.

Per noi giovani nenniani, seguaci di Craxi, era riscoprire dal vivo della sua voce le tante cose lette sull'epoca d'oro del riformismo socialista milanese che non sempre trovava eco positiva nel PSI per troppi anni influenzato dalla martellante propaganda comunista contro il "minimalismo" della socialdemocrazia.

Il 1966 vide, in un tripudio di speranze e di bandiere, l'atto formale dell'Unificazione Socialista ma i nostri nemici erano già al lavoro, nemici interni ed esterni che vedevano messi in pericolo i loro interessi elettorali e quindi di potere.

Per me fu facile sentirmi socialdemocratico, perché in quel pensiero trovavo le ragioni vere del mio impegno politico e quando, dopo solo tre anni dall'imponente movimento politico e culturale dell'Unificazione Socialista, la morsa del massimalismo, del comunismo e del conservatorismo democristiano, stritolava il neonato partito socialista unificato, decidevo di aderire al PSU guidato a livello nazionale dall'amico e maestro Mauro Ferri.

Una nuova scissione veniva scritta nell'album di famiglia del socialismo ma era in quel momento necessaria per salvaguardare i più profondi valori del socialismo democratico che da lì a qualche anno saranno condivisi anche dal PSI della segreteria Craxi.

L'intera componente di provenienza PSDI aderì al PSU e quindi mi ritrovai sotto le bandiere di Saragat e a Milano di Massari. Con me aderì al PSU Paolo Pillitteri e qualche settimana più il là, un grande amico delle battaglie giovanili e di partito, Giovanni Manzi e poi Catani, Mosini, Magliano, Squeri e tanti altri.

Massari ci accolse a braccia aperte, dimostrando non solo una grande umanità e disponibilità ma anche una acuta lungimiranza. Con il nostro gruppo di giovani intendeva rinnovare la socialdemocrazia milanese che era per lo più composta di vecchi e gloriosi compagni ma Massari voleva correre verso il nuovo, rafforzare le nostre posizioni anche nei confronti di un PSI che minacciava di essere risucchiato verso posizioni sempre più filocomuniste.

In questo modo, con un PSU, poi di nuovo PSDI, combattivo e rafforzato intendeva offrire una sponda politica a quei compagni ed amici che rimasti nel PSI in minoranza (con Craxi i Natali, Tognoli, Gangi, Finetti ed altri) combattevano una battaglia non facile contro le tentazioni frontiste sempre pronte a rinascere.

Artefice nei primi ani '60 della nascita a Milano del primo centro sinistra, consigliere comunale e assessore, nel 1968 Massari era stato eletto Deputato al Parlamento e del PSU a Milano era il leader naturale.

Ai giorni nostri sembra che tutta la politica debba mostrare il suo nuovo volto solo attraverso il ricambio generazionale come se nel nostro paese non si fosse mai cambiato nulla e che i giovani siano sempre stati tenuti lontano dalle responsabilità istituzionali ed amministrative.

Ebbene nel lontano 1969 Renato Massari, questo dirigente politico tutto Turati e Saragat, saldamente ancorato idealmente ai vecchi maestri, non tardò a manifestare la fiducia che nutriva nei giovani e con decisioni che stupirono non pochi, su indicazione sua e del partito, un giovanissimo Pillitteri venne nominato presidente della Triennale e successivamente consigliere e poi assessore al Comune di Milano, io, ancor più giovane, mi ritrovai alla vice presidenza della prestigiosa Metropolitana Milanese, Manzi presidente della complessa Azienda Municipale della Nettezza Urbana.

A Massari devo e dobbiamo gran parte delle preziose esperienze amministrative e politiche  maturate in quegli anni, la fiducia che ripose in noi fu una grande lezione di rinnovamento che influenzò anche gli altri partiti milanesi.

Instancabile organizzatore passava le giornate libere dai lavori parlamentari nell'ufficio di via Dogana attorniano da decine di compagni, amici, elettori, semplici cittadini che attendevano da lui una opinione politica, oppure un consiglio, un aiuto.

A tutti dedicava la sua attenzione in un'apparente confusione ma nulla gli sfuggiva, trovava una parola, un cenno, per tutti.

La sua agenda gonfia sino a scoppiare di biglietti, appunti, note sparse, si arricchiva ogni giorno di qualche nuovo schizzo perché Massari nutriva una vera passione per il disegno e per il ritratto in particolare e lo faceva con perizia ed acume cogliendo nei volti che sceglieva a modello gli aspetti più significativi della loro personalità.

La sua disponibilità ed umanità non aveva limiti e viveva la sua esperienza politica come una predicazione continua, spiegando, indirizzando, rassicurando, stimolando i compagni senza mai risparmiarsi, di sezione in sezione, di paese in paese.

Nel PSDI ho trascorso sedici anni della mia vita politica.

Anche quando nel 1975 i miei più cari amici, Pillitteri e Manzi, scelsero di rientrare nel PSI , io decisi di restare accanto a Massari e di continuare con lui la battaglia per l'affermazione anche in Italia dei principi della socialdemocrazia.

Furono anni non sempre facili in un paese continuamente percorso da correnti massimaliste ed estremiste; il Psdi anche a Milano subì attacchi e non solo verbali da parte delle forze più estreme del terrorismo rosso e nero ma Massari ci insegnò a resistere, a non retrocedere.

Il giorno dopo la devastazione della sede della federazione di piazza Duomo, Massari era già al lavoro a quella sua scrivania e noi tutti con lui, testardi come lui ci aveva insegnato ad essere.

Nel corso degli anni, perché nasconderlo, ebbi anche periodi di dissenso con Massari; in più di un congresso ci trovammo contrapposti ma mai venne meno il rispetto personale ed era sempre lui a cercare l'intesa, a tentare la via dell'unità a sdrammatizzare con un sorriso sincero sotto i baffi che si lisciava nei momenti di maggior tensione.

Oggi posso dire che forse in più d'una occasione fui trascinato dall'impeto giovanile ma quella era la mia età e lui, ne sono certo, lo ha sempre capito insegnandomi così la tolleranza quella che mostrò più di una volta nei confronti della mia opposizione che era fondata essenzialmente sulla contrarietà alle alleanze municipali con il PCI che si verificano un po' dovunque a cominciare da Milano.

All'inizio degli anni '80 lasciai la segreteria regionale del partito per entrare nella Direzione Nazionale con l'incarico di responsabile degli Enti Locali e contemporaneamente Renato Massari, anch'egli membro della Direzione Nazionale fu nominato Vice Segretario Nazionale del Partito.

Mi ritrovai così a Roma ancora una volta a fianco di Massari, in ruoli certo diversi ma restando  sempre a portata uno dell'altro.

Furono anni di lavoro duro ma entusiasmante, di grande impegno nel partito e nel governo dove Massari entrò come sottosegretario alle Poste e Telecomunicazioni.

Rammento ancora le serate passate in sua compagnia a Roma, dove mi ero trasferito; si parlava di politica sino a tarda notte e le sue analisi, spesso molto crude, erano sempre azzeccate perché acuto era il suo fiuto per le trappole degli avversari, perché sempre chiari erano in lui gli obbiettivi della nostra azione.

Accanto ad una cultura riformista tutta "Critica Sociale" aveva una modernità e lucidità non comuni per la sua generazione, forse meglio dei giovani capiva i giovani, forse meglio degli anziani capiva le regioni e le "profezie" dei maestri del passato.

Ultimo esponente della grande tradizione socialdemocratica milanese Renato Massari concluse la sua vicenda politica da parlamentare del PSI.

Io lasciai il PSDI, ormai in clamorosa crisi dopo la fine della segreteria di Pietro Longo, nel 1985 e rientrai  nel PSI, qualche anno dopo, al cadere del muro di Berlino, anche Massari, il socialdemocratico milanese per antonomasia, approdava nel partito guidato da Bettino Craxi che lo rieleggeva alla Camera dei Deputati.

Da quei giorni molte vicende hanno travagliato il mondo socialista ed ogni volta che ci incontravamo Massari aveva solo parole di speranza e trovava sempre la forza di spronare a continuare sulla strada che da sempre avevamo seguito: quella del socialismo democratico, della giustizia sociale, della fraternità e della solidarietà.

L'ho rivisto nella sua casa, suo ospite, l'anno precedente alla sua scomparsa, era affaticato dalle malattie che infierivano su di lui ma l'amore della moglie Vera, sua compagna di lotte politiche, e le cure instancabili della figlia Daniela riuscivano a fargli continuare la sua missione di solidarietà rivolta, alla fine della sua esistenza, ai bambini abbandonati nei più lontani paesi del globo.

Con una lucidità impressionante rammentava episodi e personaggi che la mia seppur più giovane memoria aveva già scordato; riconobbi così il Renato Massari conosciuto nella mia giovinezza anche perché il brillare dei suoi occhi, nel ricordo delle tante passate battaglie politiche, era ancora quello di una volta.

In una Milano ingrata e senza memoria storica sarà impegno di chi di noi sopravviverà a questa epoca di decadenza politica, culturale e morale ricordare Renato Massari e con lui tutti quegli uomini e quelle donne che lavorarono per la rinascita di Milano e la fecero diventare la capitale della solidarietà e della fraternità sociale.

 

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