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OCCUPY WALL STREET

Per David Runciman, professore di Storia della Democrazia all’Università di Cambridge, basta guardare lo slogan del movimento OWS We are the 99%, per rilevare che i conti non tornano. Lo slogan, che da New York si è diffuso a macchia in tutto il mondo occidentale come un marchio di successo, da solo svelerebbe l’inconsistenza del movimento che promuove.

Runciman, sul London Review of Books spiega: ‘99% è troppo in una democrazia’. Un numero così alto ricorda i risultati elettorali dell’ex blocco sovietico. Solo i dittatori come Lukashenko e Kim Jong Un sono capaci di un tale consenso. Una maggioranza di queste proporzioni non può essere compatta come afferma di essere.

Occupy Wall Street non è un partito e non si propone di raccogliere elettori. Si tratta di una protesta, che è nata dall’esasperarsi della crisi del 2008, e si prefigge di riunire chi, a differenza di un non identificato 1%, non si è arricchito alle spalle dell’intera economia occidentale. Ma anche con questo intento, 99% è un numero troppo elevato in un sistema democratico. Vorrebbe dire che: ‘Tutti siamo stati fregati, e se avessimo saputo quello che stava succedendo non avremmo permesso che accadesse. Adesso che lo sappiamo, possiamo fermarlo.’

Ma come? Runciman fa notare che un sistema nel quale il 99% della popolazione non ha parte attiva e viene fregato, non ha niente a che vedere con una democrazia. Quindi, se siamo stati tutti fregati, ciò implica che non possiamo migliorare il sistema, ma solo rimuoverlo per ricostruirne uno nuovo. Si parlerebbe allora di una rivoluzione, non di una semplice protesta.

Sebbene l’idea della rivoluzione possa avere qualche sostenitore, di certo non è quella la spinta che mette insieme il 99%. All’interno di questa maggioranza, l’intenzione principale e più condivisa è quella della riforma, non quella della rivoluzione. Bisognerebbe innanzitutto capire chi ha fregato chi e come. L’argomentazione principale è che i ricchi sono meglio organizzati. Invece il 99%, che dagli anni ’70 in poi, ha lasciato che l’1% depredasse la metà del profitto dello sviluppo economico, ha in comune di essere una schiacciante maggioranza e di essere divisa. Differenza fondamentale, acuita da una divisione, diffusa negli anni dalla cultura popolare americana, che ha separato le necessità di una esigua elite culturale da quelle del resto del paese. Il crack del 2008 ha spazzato via non solo i mutui della classe media, ma anche questo luogo comune. Non erano i laureati, i simpatizzanti di Cuba, gli intellettuali, a lavorare contro il bene comune e a fare la parte del lupo cattivo, ma i pragmatici professionisti di Wall Street. Qui salta fuori un’altra divisione: tra tutti coloro che affermano di essere il 99%, quanti hanno cercato di fare esattamente la parte del lupo cattivo prima che si scoprisse che i soldi erano finiti?

Il processo d’identificazione politica richiederebbe un tipo di analisi sociologica più accurata.  L’inconsistenza del movimento non rimane solo nell’ambito sociologico o semantico.  Parlano le immagini della protesta. Quel 99%, rappresentato da un manipolo di attivisti, spesso rimpolpato da qualche turista simpatizzante e da qualche giornalista di passaggio, non è sceso per le strade a protestare. Il grosso del consenso si è espresso in modo effimero, attraverso un’adesione virtuale, lasciando agli attivisti il compito di rappresentare la protesta, come se questi fossero leader eletti di un partito. Quello che permette la sopravvivenza dei partiti politici, oggi più che mai scollegati dall’elettorato, è l’incapacità degli elettori di seguire la politica del paese, affidando questo compito ai rappresentanti di preferenza. Il presupposto di una protesta non può essere questo: ci vuole una partecipazione, una presenza fisica, per creare un movimento. A confronto di quello che si è visto durante la primavera araba, l’autunno di Wall Street è stato piuttosto freddo.

In conclusione, Runciman identifica come vittime di questa illusione, i giovani disoccupati dell’Occidente, già vittime principali della crisi. Numeri preoccupanti che non è possibile sgonfiare con un’analisi accurata. Si va dal 17% degli USA al 50% di Spagna e Grecia. Questa nuova fascia debole non ha la sicurezza e la protezione che hanno avuto i loro genitori e prima ancora i loro nonni. Non hanno neanche goduto la relativa prosperità del recente passato.

Fregati dalla storia, fregati dal presente e dal futuro, infine fregati dalla maggioranza inesistente: ‘I giovani hanno meno pazienza e meno capacità organizzativa per una campagna a lungo termine’ scrive Runciman. ‘Sono più affascinati da un concetto comodo ma inesistente come quello di fare parte di un 99% effimero, fondato più sulla falsa partecipazione espressa attraverso i social network che intorno a un concreto impegno politico’. L’appello allora viene rivolto ai politici di professione. Più attenzione e cura per le minoranze, i giovani d’Occidente, bloccati dalla recessione, i giovani di oggi, informati, connessi ma tanto ingenui, i giovani che pensano che basti digitare ‘siamo il 99%’ per cambiare qualcosa. (Ilaria Calamandrei)

 

 

 

 

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