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"L'Internazionale Democratica"

Di che si tratti ancora non si sa. Sembra che sia il progetto di un'associazione promossa da partiti socialisti che oltrepassi i rigidi confini dell'Internazionale, ma che per ora vi si affianchi e non ne costituisca un'alternativa. Naturalmente la proposta tende comunque a superare la vecchia organizzazione che ha perso negli ultimi vent'anni sia un chiaro profilo politico sia la sua influenza, priva di temi e campagne internazionaliste coordinate, priva di peso nell'Onu.
E' una proposta che, al momento, ci pare indirizzarsi verso una  analoga idea avanzata dal PSI di Craxi e Martelli alla vigilia del crollo dell'Unione sovietica e alla vigilia della ormai fortemente voluta  dal cancelliere Kohl, prima degli altri, la riunificazione tedesca: l'Internazionale Democratica. 
Oggi la Germania - in cui la SPD di allora si oppose con forza alla proposta del Partito socialista italiano, viceversa condivisa dal socialismo latino, sia spagnolo, portoghese che di Mitterrand - è una sola e nelle prossime elezioni di settembre potrebbe scalzare (è l'auspicio) Angela Merkel: una Alleanza progressista a guida socialdemocratica tedesca giocherebbe un ruolo notevole nella politica europea, dimostrerebbe che la SPD è capace di influenza internazionale competitiva a quella dell'attuale Cancelliera conservatrice.

I socialisti del Sud Europa degli anni ‘80 immaginavano di oltrepassare - verso la liberaldemocrazia -  il confine socialdemocratico di stampo nordeuropeo per dare innanzi tutto uno sbocco all'imminente contraccolpo della fine del comunismo, con prevedibili attriti coi rispettivi partiti comunisti nazionali in procinto di restare orfani di Mosca. In secondo luogo, vi era l’obiettivo di controbilanciare, in una più ambia associazione progressista che coinvolgesse il Partito democratico americano, il vuoto politico a cui sarebbe stata esposta ad est l'Europa.
La Germania era stata era il perno dell'equilibrio est-ovest nella Guerra fredda con la sua Ostpolitik e dunque la SPD fu in disaccordo con l'Internazionale democratica sbilanciata ad ovest, verso gli Usa.  Da sempre leale innanzitutto agli interessi della propria nazione, si accodò all'asse franco-tedesco per l'Unione europea in una prospettiva folle di Eurasia, entro i cui confini sarebbe soffocato il socialismo continentale del "dopo_Muro" e dei suoi grandi leader.  
Oggi le parti sono invertite: la SPD ha bisogno di un'area di influenza europea per vincere le elezioni di settembre e, nell'attrito tra la Merkel ed Obama, preferisce l’equilibrio atlantico allo sbilanciamento asiatico.
La congiuntura potrebbe andare oltre l'austerity e dar corpo a una "nuova Europa" in caso di vittoria dei socialisti tedeschi. Dalla crisi politica dell'Europa la proposta di associazione liberalsocialista, nel solco della prima proposta italiana di trent’anni fa, può divenire una stabile visione geopolitica, da un lato, e di innovazione dei modelli sociali dal'altro. 
Non si tratta di una questione di natura ideologica, ma geopolitica. Ovvero una federazione tra i progressisti delle due sponde atlantiche che fonda il meglio dei rispettivi modelli sociali: il modello liberaldemocratico prevalente negli Usa con il modello socialdemocratico prevalente in Europa. 
Insomma, il "lib-lab" dai banchi di scuola e dalle biblioteche vedrebbe la luce di una propria vita politica, superando la vecchia ideologia socialdemocratica della redistribuzione della ricchezza per intervento dall'alto sui rapporti politici tra le classi sociali. L’obiettivo sarebbe contemperare la libertà dei mercati con la programmazione pubblica a cura delle istituzioni politiche, che hanno il dovere di  sapere dove le rispettive società hanno bisogno di andare, poiché senza regole il mercato non è libero, ma è preda del più forte.
In questa prospettiva l’"Alleanza progressista" (o Internazionale democratica) intreccia l'aspirazione liberalsocialista con  una visione sia federalista  sia laburista, poiché il principio dell'autogoverno è l'unico principio unitario di una società aperta alla  democrazia politica e alla democrazia economica sul piano geopolitico.

Di seguito, pubblichiamo un documento tratto dalla Critica Sociale del 1988 (un editoriale di Carlo Tognoli che analizzava la proposta di Craxi e Martelli del passaggio dall'Internazionale socialista all'Internazionale democratica)

L’ipotesi formulata da Bettino Craxi di definire “Internazionale Democratica” l’ Internazionale socialista ha un valore simbolico e politico nella prospettiva di unità della sinistra.

Nel periodo in cui il meglio della tradizione socialdemocratica ha trovato un’osmosi con i principi del liberalismo, nel solco dell’intuizione di Carlo Rosselli, pensare ad un ampliamento dei confini delle idee e della politica socialista - che ricomprenda le componenti democratiche e progressiste - significa introdurre un utile adeguamento ed un realistico aggiornamento rispetto all’evoluzione della sinistra italiana ed europea.

Abbandonati gli sterili legami con il marxismo rivoluzionario e la concezione collettivistica e statalista del comunismo, è pressoché inevitabile l’approdo ai lidi dell’umanesimo liberalsocialista.

A questo punto il termine “democratico” assume un significato anche in relazione alle varie e diversificate esperienze “laburiste” del movimento socialista come di altri settori, compresi quelli cattolici.

E’ un fatto non irrilevante che anche il segretario del Partito comunista (all’epoca Achille Occhetto, ndr) abbia fatto riferimento, sia pure in un contesto diverso, ai principi democratici e liberali.

Libertà, eguaglianza e fraternità, dalla rivoluzione francese in poi, non si sono coniugate frequentemente insieme: quante manifestazioni eretiche e anarchiche si sono avute in nome della liberta! Quanti delitti sono stati consumati in nome di una astratta uguaglianza! E quanto poco è stata praticata la fraternità!

Il senso della iniziativa socialista di questi anni va ricercato nel tentativo di rinnovare, salvaguardando i principi fondamentali del progressismo, ideologie e prassi che hanno esaurito la loro validità e messo in luce, nelle esperienze concrete, gli errori compiuti.

Si è arrivati finalmente nella sinistra al riconoscimento che tutte le tirannie, non solo quelle di destra ma anche quelle esercitate in nome del proletariato, sono portatrici di malessere, di diseguaglianze profonde e di rapporti disumani.

La conquista violenta del potere, anche attraverso rivoluzioni proletarie, non costituisce un salto di qualità ma un balzo all’indietro, mentre viene ribadito il valore del riformismo, sia pure adeguato alle esigenze del mondo contemporaneo.

I socialisti in Italia hanno saputo guardare avanti, superando una loro crisi che sembrava irreversibile e aiutando lo stesso Partito comunista ad affrontare i temi centrali di una revisione che già doveva essere posta all’indomani del XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica e che invece venne elusa dall’opportunismo togliattiano e dal tatticismo berlingueriano.

Riconoscendo, per rimanere sul terreno della politica italiana e della sua storia recente, la giustezza delle scelte compiute da Giuseppe Saragat in questo secondo dopoguerra, abbiamo anche chiuso una partita debitoria nei confronti di chi aveva con lungimiranza dapprima denunciato e poi contrastato massimalismo e frontismo, che sono state fra le prime cause delle sconfitte e dell’indebolimento della sinistra italiana.

Non c’è bisogno di affermare in termini notarili che Craxi è stato il continuatore della politica di Saragat: è nei fatti che il segretario del Psi ha condotto un’azione nell’ambito della quale tutti i semi dell’eredità dello scomparso leader socialdemocratico trovano un terreno fertile. Si tratta, naturalmente, di andare oltre e di sviluppare quelle idee secondo una visione attuale della lotta politica. Turati e Rosselli, Saragat e il Nenni dell’autonomismo fanno parte del bagaglio della moderna linea del Psi, che si è sposata con una craxiana ed efficace politica delle cose, i cui risultati stanno sotto gli occhi di tutti.

...

L’evoluzione delle cose dimostra quindi che nel mettere in discussione noi stessi, e nel guardare alla realtà senza pregiudizi, ma guidati dalla bussola di principi fondamentali, avevamo imboccato la direzione giusta.

Il dialogo per una grande unità è avviato. Chi farà calcoli meschini non raccoglierà frutti copiosi.

 

(Carlo Tognoli, Critica Sociale, Luglio 1988 - Estratti) 

 
Il Pd dopo l' elezione di Epifani. Sarà la svolta laburista?

Ha ragione De Michelis ( Linkiesta) quando afferma che un ex socialista alla guida del Pd non e' il segno ancora di una vera svolta.
Ma da Guglielmo Epifani, gia' leader della Cgil ( primo socialista a guidarla, dopo l ultimo ex Pci Cofferati), se il sangue non mente ci si puo legittimamente aspettare non solo l'assemblaggio di un partito a pezzi che nemmeno le fratture vecchia Dc spaccavano fino a questo punto ( peraltro la Dc era una federazione di partiti, piu' che un partito di sole correnti).
Ci si puo aspettare, in vista di ottobre, la preparazione di un "midas" del Pd.
Generazionale? Assolutamento non e' questo il punto. Non lo fu, nonostante la vulgata sul ricambio alla guida del partito socialista dopo la sconfitta alle elezioni del '76, neppure allora.
La generazione che " prese il potere" con Craxi in minoranza alla segreteria, fu la generazione dei giovani " piu vecchi", i nenniani, la generazione dell' autonomismo socialista, la generazione dei giovani del '56, di quelli nati nel mito frontista e scossi dagli eventi dell'invasione sovietica dell Ungheria.
Fu quindi un cambio non di linea, soltanto, ma di identità e di prospettiva. Una rivoluzione copernicana.
Nel pieno della crisi che sta portando tutta l'Europa nella recessione, chi prima ( il sud) e chi poi (Francia e in ultimo Germania), la Spd celebra alla fine di maggio l' anniversario della sua fondazione e propone di oltrepassare l'Internazionale socialista verso una Alleanza di progresso, una sorta di Internazionale democratica, che porterebbe anche il partito di Obama nella possibilita' di entrare nell associazione, da cui sarebbero espunle le scorie di regimi filo-comunisti e autoritari che hanno infestato l' IS.
Isocialisti tedeschi propongono quel che il Psi italiano e il socialismo latino proponeva negli anni 80.
Vedono cioè la necessità di una dimensione politica e organizzativa adeguata alle dimensione della crisi e alla dimensione degli interlocutori e delle controparti, oltre che alla dimensione giuridica e politica che supera il confine del singolo stato e del singolo partito. Al di la' della stessa Europa, in una sorta di Atlantismo che coniughi nella democrazia socialismo e liberalismo, l'una e l'altra sponda.
La sinistra italiana e' priva della storia adeguata per essere all'altezza di questa prospettiva; per di piu', mentre la finanza ha eliminato ogni barriera tra sè e la politica annettendosi l'economia e il lavoro e con essi le società, qui vige ancora il dogma  della divisione tra politico ed economico, tra partito e sindacato.
Ora, e' senz' altro evidente che si tratta di funzioni e ruoli distinti, non piu separabili. Non e' questione di cinghia di trasmissione, ma di riqualificare la rappresentnaza del movimento dei lavoratori e del ceto medio in alleanza col capitale produttivo. Il socialismo largo.
Una revisione interna al sindacato sulla rappresentanza e sulla contrattazione, che riforma la struttura delle relazioni industriali, sarebbe talmente dirompente da essere un evento puramente politico, non economico. È poiché questo passaggio e' urgentissimo, altrettanto lo è' giungere alla consapevoleszza che il sindacato debba farsi parte costituente del partito politico.
Si tratta di una svolta laburista che porta con sè innanzitutto il superamento delle tre confederazioni ( che costituirà la resistenza maggiore), la devolution sul territorio di ampi margini di  contrattazione, il federalismo in luogo del contratto nazionale unico: l' unita e' data appunto dalla politica, non dai meccanismi normativi "universali".
Eppoi la cogestione sul modello dei comitato di sorveglianza cui prende parte in modo paritario lGMetal ( ad esempio) in Wolksvagen, affiancata simmetricamente da una ripresa del mutualismo e dell' autogoverno del movimento dei lavoratori, anche qui in cogestione con le imprese: e' il superamento cioè della cultura classista che cova ancora nel mito della Classe generale quale "civiltà differente", "moralità diversa", "altra nazione". Una separatezza da guerra civile permanente da sostituire con la propria specifica responsabilità verso una sola nazione, consapevoli POLITICAMENTE di essere componente senza la quale la stessa nazione non c' e' più.
Il sindacato deve entrare nel partito politico, come componente congressuale, come nel Labour Party. La linea da Bissolati a Buozzi.
Solo così si avrà un Partito politico del Lavoro, che è il Midas del PD che ci aspettiamo gia' da ottobre. È che Napolitano auspicava alla Bolognina.
Non servono rese dei conti. Noi socialisti di Critica Sociale siam interessati a  un grande dibattito di altissimo livello per l'enorme influenza che avrà sul futuro dell Italia.
Serve il Midas nel PD della generazione del dopo '93-94, del dopo Tangentopoli e Mani Pulite. Come scrivono Ezio Mauro, Rino Formica ed Emanule Macaluso. È un aspetto che vediamo implicito nella disponibilità di Napolitano alla sua riconferma per dare una convergenza di quadro politico utile a una ricostruzione dalle fondamenta della politica, delle relazioni istituzionali e degli aggiornamenti costituzionali. In una parola dello Stato.
I socialisti contribuirono in modo indispensabile alla costruzione della società italiana dopo l'unità nazionale, e alla poi alla sua ricostruzione dopo il fascismo.
Epifani e' stato del Psi, il Psi non c e' più, ma il socialismo è una filosofia, una coscienza che va oltre il tesseramento.
Questo speriamo da Epifani, perché ( al netto dell' opinione corretta di De Michelis, anzi proprio in continuità  con quanto afferma) buon sangue non dovrebbe mentire.

 

 
La sinistra in Europa. Il report di Policy Network

Il primo maggio le celebrazioni della Giornata internazionale del lavoro sono state punteggiate da sporadiche proteste e manifestazioni di rabbia pubblica. In un simile contesto, il tradizionale mantra della sinistra a favore della piena occupazione risulta in netto e stridente contrasto con il più alto tasso di disoccupazione di ogni tempo a livello europeo, 10,9%,  con uno scioccante 24% per i giovani.
Nel frattempo, il dibattito sugli effetti di soffocamento economico indotti dall’austerità è oggi guidato dal Fondo monetario internazionale e da figure imprenditoriali di primo piano. L'opinione pubblica si sta spostando ulteriormente contro l’attuale approccio restrittivo. Sono sempre più autorevoli le voci (e i dati) che si oppongono al corso di politica economica che sino a pochi mesi fa appariva l’unico percorribile in tutto il Continente.
Eppure lo scetticismo verso la sinistra europea sta crescendo a un ritmo inquietante. In un tetro contesto, gli indici di gradimento crollano, come dimostra il fatto che solo l’11% degli elettori francesi conserva una visione positiva della politica di François Hollande per la crescita. I socialdemocratici danesi sono quasi in estinzione con il 16%, la percentuale più bassa del secolo. Il Partito laburista olandese è già calato di quasi il 9% da quando è entrato in un governo di coalizione. Allo stesso modo, i laburisti irlandesi hanno raggiunto meno del 5% in una recente elezione suppletiva, mentre il paese entra nel suo sesto anno di austerità.
Le cose non sembrano andare molto meglio per quelle forze che si muovono all’opposizione: in vista delle elezioni di settembre in Germania, i socialdemocratici tedeschi (Spd) non beneficiano affatto delle difficoltà e dei tentennamenti di Angela Merkel e sono accreditati del ​​23% dei consensi, lo stesso dato triste raggiunto nel 2009. In Spagna, il Psoe è appeso a un umile 23%, nonostante l'impopolarità del governo Rajoy  e l’incipiente crisi sociale che dovrebbe favorire gli sfidanti dell’esecutivo. Persino la costante leadership che il Labour Party di Ed Miliband fa segnare da tempo nei sondaggi in Gran Bretagna viene ora messa in dubbio.
Nel complesso, la congiuntura non sembra volgere al meglio per la sinistra europea, poiché gli elettori stanno tornando a premiare partiti di centro-destra considerati sino a pochi mesi fa in totale declino. Clamorosamente, l'Islanda ha recentemente scelto di nuovo i conservatori che erano in carica nel momento del tracollo economico del paese nel 2008, mentre in Irlanda, l’apparentemente screditato Fianna Fáil, formazione quasi spazzati via alle ultime elezioni , è ora  in testa nei sondaggi. Inoltre, due figure carismatiche e problematiche stanno tornando (o si apprestano a tornare) alla ribalta in Italia e Francia. Silvio Berlusconi ha un ruolo significativo, sebbene indiretto, nel nuovo governo di Roma e Nicolas Sarkozy, nonostante sia impantanato in scandali di corruttela, è dato al 34% nei sondaggi presidenziali francesi (Hollande è al 19%, dietro Le Pen al 23!).
Qualcosa si muove nel centro-sinistra italiano dopo il trauma dell’inatteso pareggio elettorale di febbraio. Il nuovo premier Enrico Letta, a capo di una grande coalizione, ha ora la possibilità di dimostrare che il Pd, dopo anni all’opposizione, può giocare un ruolo riformista di governo, anche in una situazione oggettivamente complicata dal punto di vista economico e politico. Che la disperazione del realismo sia l’ultima speranza per cambiare l’Italia? Questa è la sarcastica questione che sollevano in chiusura gli analisti del think tank britannico. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)

 
Spd, celebrazioni e cambiamento

L'SPD, giunto alla vigilia del suo 150esimo anniversario (il 23 maggio a Lipsia), è uno tra i più antichi partiti mondo, e, con più di 550.000 membri, il più grande, quanto meno per numero di iscritti, in Germania. Radicato nel mondo sindacale, è considerato da molti osservatori la forza politica che meglio ha rappresentato la complessa tradizione socialista democratica. Tuttavia, il momento della ricorrenza sembra preludere a un significativo cambiamento, soprattutto nei confronti di un’altra storica istituzione del progressismo internazionale.

L'Internazionale socialista ha infatti le ore contate, almeno nella sua versione attuale. I dirigenti socialdemocratici su questo argomento la pensano allo stesso modo. A parlare per tutti è stato il presidente Sigmar Gabriel, in un'intervista a Focus: “Bisogna rendersi realisticamente conto che l'Internazionale socialista non ha saputo negli ultimi anni dare un contributo sostanziale per limitare gli eccessi del mercato finanziario o per affrontare le altre sfide globali”.
Le celebrazioni di Lipsia, alla presenza del presidente francese François Hollande e di decine di leader di tutto il mondo (compreso l’ex presidente del Partito democratico Usa, Howard Dean), rappresenteranno l’occasione giusta per promuovere una nuova “Alleanza progressista”. D'accordo, anche se con qualche prudenza, i socialisti francesi, molto interessato il Pd che, come noto, non ha aderito all'Internazionale socialista. Coinvolti nelle discussioni di queste settimane anche i laburisti britannici.

Il logoramento dell'Internazionale socialista era da tempo evidente. Non è un caso che i dirigenti della Spd abbiano deciso di ridurre il contributo annuale e di retrocedersi a osservatori, come il Labour Party. Già due anni fa Gabriel aveva sollevato la questione, puntando il dito contro la presenza nell’organizzazione di forze politiche e leader che poco avevano da spartire con la tradizione del socialismo democratico (vedi l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak). Ora si vuole invece tenere a battesimo qualcosa di differente, un network che rafforzi lo schieramento progressista nel mondo.

Le ragioni della riorganizzazione sono diverse. Come spiega in un contributo per La Stampa Antonella Rampino, scopo della nuova Alleanza progressista sarà coordinare e cercare piattaforme comuni prima di andare al governo e fare in modo che quelle ragioni e tensioni ideali non finiscano nel sottoscala - com’è sempre stato - appena al governo ci si arriva, salvo poi magari perdere la volta dopo le elezioni. Il legame tra elezioni e politica nell’associazione di raccordo internazionale - che interessa particolarmente i Democrats statunitensi, - servirà a dare omogeneità alle configurazioni di centrosinistra europee, a fare squadra comune, ad affrontare insieme i problemi e a mettere in comune le soluzioni. Con un occhio ai movimenti in atto nei cosiddetti Brics, i latino-americani, gli asiatici e gli africani che hanno imboccato la via dello sviluppo e propongono modelli nuovi, e talvolta problematici, al riformismo progressista internazionale.

 

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