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"UNA CONFERENZA CONTRO LA DEMOCRAZIA"(2)

Frattini: Non si può negoziare su tutto, i nostri diritti non sono negoziabili

Franco Frattini, Ministro degli Esteri, 12 marzo 2009,

Caro presidente Pianetta, care amiche, cari amici dell'Associazione Italia-Israele, signor Ambasciatore dello Stato di Israele, è un'occasione ulteriore per me, un'occasione molto gradita – anche se non potrò rimanere molto a lungo qui – per esprimere ancora una volta con voi alcuni principi che debbo dirvi con sincerità ho ritenuto di dover esprimere doverosamente, prima che in questa sala, dinanzi al Parlamento. L'ho fatto ieri nel rispetto doveroso che il Governo ha di fronte al Parlamento, ma oggi è l'occasione con tutti voi che condividete alcuni valori e alcuni principi che ci ispirano, per ripetere e forse meglio precisare alcuni concetti.

Noi stiamo parlando di un tema che dovrebbe occupare le coscienze del mondo, il tema della lotta al razzismo, della lotta alla xenofobia, ad ogni forma di intolleranza. Noi crediamo che sia fondamentale che di questo tema, che tocca così profondamente i diritti di base della persona umana, si parli con trasparenza nelle sedi internazionali e che ne parlino le Nazioni Unite quindi è evidente che quando alla fine degli anni '90 le Nazioni Unite decisero di affrontare con una grande Conferenza internazionale proprio questo tema del razzismo, dell'intolleranza, l'Italia, a quell'epoca nel solco di una tradizione da sempre volta alla promozione e alla difesa dei diritti dell'uomo, si felicitò. Era ora che l'ONU pensasse di dire una parola chiara su questo tema. Poi però arrivammo dalle intenzioni alla realtà e voi conoscete tutti la storia. Conoscete cosa fu la storia di Durban 1 di quella Conferenza in cui l'allora Governo Berlusconi, rappresentato dal sottosegretario agli Esteri la presidente Boniver, si trovò di fronte ad uno scenario in cui il razzismo era utilizzato come leva per ottenere una condanna internazionale nei confronti di Israele, al di là delle regole e dei principi che avevano ispirato da sempre le relazioni internazionali. Quella Conferenza fu usata e abusata per lanciare giudizi e condanne, condanne che andavano ben oltre la critica (sempre legittima) ad un governo democratico qual è stato e sarà quello di Israele, ma che andavano fino a colpire l'immagine dell'ebraismo e quindi sconfinare nell'antisemitismo. Allora, noi abbiamo imparato una lezione.

Ci sono quelli che hanno nel cuore questi valori e che non dimenticano la lezione, anche se la lezione l'abbiamo appresa otto anni fa, ci sono coloro che dimenticano questa lezione e che pensano che oggi un negoziato forse definitivamente bloccato su un testo inaccettabile di 250 paragrafi che dicono tutto per non dire niente – salvo le orribili frasi antisemite e gli attacchi alla libertà di espressione – ci sono quelli che credono che su quel testo vi siano ancora degli spazi, dei margini di ottimismo. Noi abbiamo tentato. L'Italia è da sempre un Paese che ama il negoziato, che ama la mediazione. Noi siamo un Paese – lo abbiamo dimostrato mille volte – che in Europa è considerato, forse a giusto titolo, il Paese che meglio comprende le ragioni dello Stato di Israele, che dimostra tra tutti i Governi d'Europa amicizia e comprensione e con amicizia sa dire anche quando non si è d'accordo. Al tempo stesso siamo il Paese che ha rapporti con quel mondo arabo moderato che vuole la pace. Abbiamo partecipato da protagonisti alla Conferenza per la ricostruzione di Gaza promossa dall'Egitto. Abbiamo sempre detto che la riconciliazione e il dialogo tra le culture le religioni e le civiltà è uno dei nostri grandi obiettivi di politica estera, ma facendo questo noi non dimentichiamo le esperienze del passato e sappiamo leggere le situazioni che oggi stanno maturando.

Voi sapete cos'è successo: nel mese di ottobre scorso il lavoro preparatorio ha esaurito la sua prima fase. E' stato presentato un testo e da allora, da ottobre ad oggi, vi sono stati numerosi tentativi da parte italiana, da parte degli Stati Uniti d'America, da parte canadese, da parte di molti paesi dell'Unione Europea di modificare, di integrare, di cancellare intere frasi e interi paragrafi, tra tutti la parte relativa al Medio Oriente e allo Stato di Israele. Abbiamo chiesto come mai su 250 paragrafi vi siano cinque paragrafi che usano espressioni inaccettabili, antisemite, che falsificano la realtà. Abbiamo chiesto, ma come è possibile che su 250 paragrafi vi sia un solo contesto regionale nominato esplicitamente? Si parla sempre di grandi temi orizzontali, poi a un certo punto ci sono cinque paragrafi che nominano lo Stato d'Israele, il razzismo, un concetto che dipinge Israele come pericoloso per la sicurezza del mondo. Abbiamo chiesto, ma scusate noi pensavamo che si parlasse dei grandi temi orizzontali, perché si nomina solo e soltanto questa situazione per trarne poi affermazioni inaccettabili? Abbiamo poi chiesto ancora molte altre cose. Abbiamo chiesto perché si introducono principi che porterebbero al sacrificio di uno dei diritti fondamentali per noi democratici (per la democrazia israeliana come per quella italiana): la libertà di espressione. Perché si parla di un dovere di non esprimere la propria libera opinione, anche di critica, nei confronti di una qualsivoglia religione: la mia, quella islamica o qualsiasi altra?

Sto ripercorrendo questi mesi per spiegare a chi nel nostro Paese forse non l'ha ancora capito, sono in pochi per fortuna a non averlo capito, che noi abbiamo fatto veramente di tutto per cambiare questo testo radicalmente e che se ho deciso alla fine di assumere una decisione politica forte, politica ovviamente, è stato perché quel documento che è davanti agli occhi di tutti noi in queste ore a Ginevra è inemendabile. Un documento che può essere solamente sostituito da un testo non di 250 paragrafi ma da un testo snello che contenga in 15-20 paragrafi: i principi chiave della lotta al razzismo e della lotta all'intolleranza. Quindi è un testo inemendabile che noi avevamo tentato fino in fondo di emendare tramite un colloquio approfondito con i nostri partner europei che come noi hanno critiche, come noi non voteranno quel testo. A quel punto ci siamo sentiti dire no.

Abbiamo capito che non potevamo prestarci a questa sorta di tolleranza silenziosa perché abbiamo capito che potrebbe accadere – ma forse il nostro gesto contribuirà a cambiare le cose – quello che è accaduto nel 2001: i negoziati sono arrivati negoziando per il gusto di negoziare sul nulla fino all'ultimo giorno, i delegati si sono trovati davanti un testo inaccettabile, hanno espresso meraviglia, costernazione, non l'hanno condiviso ma il testo era lì. Noi questa volta non ci prestiamo, l'Italia non partecipa a questo gioco, non partecipa per tre ragioni. La prima è una ragione che riguarda la dignità delle Nazioni Unite in cui noi fortemente crediamo. Io non credo che si possa ogni giorno dire che le Nazioni Unite sono il perno della legittimità internazionale, che le Nazioni Unite sono la fonte della legittimazione per gli Stati e per i diritti dei popoli e poi immaginare che in un documento delle Nazioni Unite si dica che la libertà di espressione in certi settori non c'è più, che lo Stato democratico di Israele è uno Stato pericoloso per la sicurezza del mondo, che non ha diritto all'esistenza e men che meno alla sicurezza. Io credo che queste espressioni getterebbero discredito sulla credibilità delle Nazioni Unite in cui noi crediamo. Noi abbiamo compiuto questo gesto anzitutto per dire che noi consideriamo le Nazioni Unite come l'organismo da cui discende la legittimità delle decisioni internazionali, ma se nelle decisioni internazionali vi è un attacco antisemita di Israele, quale credibilità può avere questo documento? Come spiegare ai nostri figli perché noi troviamo proprio nel cuore delle Nazioni Unite la violazione di diritti fondamentali della persona?

Questa è la prima ragione e questa ragione l'abbiamo condivisa – lo dico a coloro che in Italia hanno inneggiato all'elezione del Presidente Obama – con il Presidente Obama. L'abbiamo condivisa con la nuova amministrazione Democratica americana con cui abbiamo sinora tutto in comune e niente che ci divide nelle grandi linee di politica internazionale, ma anche il coraggio di decisioni politiche forti. Allora francamente per questo comune sentire sul valore delle Nazioni Unite noi abbiamo detto: non possiamo prestarci col nostro consenso tollerante e silenzioso.

La seconda ragione è una ragione che certamente tocca il nostro interesse nazionale di Paese membro fondatore dell'Unione Europea. Bisogna dirlo con grande chiarezza. Abbiamo visto di recente, non tanto e non soltanto in questo caso, opinioni apparentemente sussurrate di contrarietà. Quanti colleghi europei a me personalmente hanno espresso pareri nettamente negativi soltanto pochi giorni fa su questo documento. Quanti colleghi hanno detto che mai il loro Paese avrebbe votato questo testo. Pensate mai che il governo danese che è stato attaccato con le bombe incendiarie per la famosa vicenda delle vignette danesi in giro per il mondo possa pensare di condividere un testo in cui quel caso viene preso e inserito per vietare la libertà di espressione riferita ad una religione? Lo capisce chiunque che questo governo di Danimarca (come me ha detto il collega ministro degli esteri) non lo condivide. Allora noi abbiamo una sostanza di ampio consenso su questa decisione, ma l'Italia ha ritenuto che questo consenso maturato nei colloqui bilaterali, nei rapporti interpersonali, non fosse sufficiente come gesto forte e visibile all'opinione pubblica d'Italia, d'Europa e ovviamente degli amici israeliani che guardano all'Europa con attenzione e talvolta con un po' di disillusione. Abbiamo pensato che si dovesse uscire dalla logica del colloquio bilaterale in cui si dice: “sì sì Franco hai proprio ragione quel testo va malissimo” al trarne le conseguenze pubbliche e io spero – lo dico francamente – che tutti i colleghi europei che hanno preferito in modo assolutamente legittimo non seguire per ora la scelta dell'Italia, la seguano prima o poi perché questi atti, questi documenti, questi testi sono atti che violano, non in modo “indiretto” ma sono atti che violano in modo “diretto” la carta europea dei diritti fondamentali. E, quella carta europea dei diritti fondamentali noi l'abbiamo appena inserita nel Trattato di Lisbona che è, e sarà, atto costituente dell'Unione Europea perché il Trattato di Lisbona integrerà i Trattati e lì dentro c'è la carta europea dei diritti. Se questo testo passasse, essa sarebbe non indirettamente ma platealmente violata.

Ecco la seconda ragione della scelta italiana. Noi abbiamo difeso la credibilità delle Nazioni Unite e diciamo francamente, la credibilità di questa Europea. Noi non possiamo limitarci a parlare nelle assise informali quando siamo obbligati al rispetto dei diritti fondamentali scritti in quella carta di Nizza; così facendo noi saremmo stati tolleranti, qualcuno ha detto saremmo stati complici silenziosi di una violazione. L'Italia non vuole essere complice, la nostra carta dei diritti fondamentali è per noi una carta davvero fondamentale.
Ma vedete questo atto dinanzi ai colleghi europei non ha significato la resa, l'abbandono, ha significato – io credo e mi auguro – un incentivo ad agire più fortemente, un incentivo ad un atto di coraggio politico di cui questa nostra Europa, che amiamo, se la vogliamo fare forte e politica, ha tremendamente bisogno. Questa nostra Europa non può occuparsi soltanto delle misure di aiuto economico ai Paesi in difficoltà ma deve occuparsi ogni tanto di principi assoluti che non possono essere diversi sennò, vedete, noi ci prestiamo alle critiche di chi non ama l'Europa e siccome io amo questa Europa non voglio prestarmi alle critiche di chi dice: questa è un'Europa del mercato, della moneta unica, dell'economia ma non è ancora un'Europa della politica. Perché se sulla libertà di espressione se sull'antisemitismo c'è dubbio se si debba o meno essere compiacenti o tolleranti, questa Europa ha bisogno di una iniezione di forza politica.
Il nostro è un gesto dimostrativo che certamente sta cominciando a dare frutti; noi stiamo continuando a mantenerci in contatto in queste ore con i colleghi membri dell'Unione Europea. Noi non negoziamo un testo non negoziabile ma parliamo con i colleghi europei per esprimere loro la nostra ferma volontà che si mantenga una rotta chiara e quella rotta chiara fuori dall'Europa aiuterà quegli altri Paesi che nel mondo arabo moderato non vogliono associare la loro immagine ad un atto dichiaramene antisemita, quei Paesi arabi moderati che vogliono camminare verso il consolidamento delle democrazie. E' anche per quei Paesi che noi dobbiamo dare un segno forte perché se noi europei, la culla dei diritti, non siamo i primi ad agire potete pensare che dal mondo arabo si levi una mano a dire fermiamoci un attimo? Noi dobbiamo aiutare quei Paesi.

La terza ed ultima considerazione che farò è una considerazione che vale “come persone”. Qui dico “come persone” che da sempre credono ad alcuni valori, lo dico con un paradosso, ma gli amici presenti capiranno. Credo che questa battaglia di libertà – di questo si tratta – è una battaglia che certamente noi facciamo condividendo l'auspicio, il desiderio, le speranze del popolo di Israele e dello Stato di Israele, ma è una battaglia che noi facciamo in nome di diritti assoluti che non sono né israeliani né italiani né francesi, sono di tutti noi perché se cediamo una volta su questo domani negozieremo sui diritti delle donne violentate, dopodomani negozieremo sul traffico dei bambini. Di questo si tratta, sono diritti altrettanto fondamentali, non possiamo prenderne uno e dire “su questo negoziamo” perché se apriamo una breccia sul diritto all'esistenza di uno Stato democratico apriamo una breccia nel cuore dei diritti fondamentali. Oggi tocca ad Israele domani toccherà a noi, toccherà ad ognuno dei nostri diritti fondamentali che oggi condividiamo con il popolo israeliano, ma domani? Se passiamo questo precedente nel silenzio senza prendere una decisione forte cosa potremmo dire quando ci si verrà a dire: vabbè in fondo oggi è la libertà di espressione? Domani chissà, qualcos'altro, forse la dignità umana, forse qualcuno rimetterà in campo la ben nota discussione che magari ci sono persone che si fanno saltare per aria e li chiamo “resistenti” non li chiamano “terroristi” e questi sono principi pericolosi.

Ho dovuto con una certa chiarezza ieri esprimere il mio pensiero in Parlamento. Un collega che ha espresso la sua legittima opinione ha rimproverato il governo italiano di non avere usato “il cesello della diplomazia”. Io sono stato colpito da questa espressione perché se si usa il cesello della diplomazia alla fine si accetta di dire che Israele è “solo” una minaccia e non una “seria minaccia” per la pace e la sicurezza internazionale. Abbiamo fatto una cesellata, abbiamo pennellato, abbiamo tolto un aggettivo ma abbiamo lasciato l'orrore di una violazione di sostanza. Io sono il capo della diplomazia italiana ma la diplomazia qualche volta si deve arrestare. Non si può negoziare su tutto, i nostri diritti non sono negoziabili.


Data: 2009-03-19







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