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INTERCETTAZIONI: STAMPA E GIUSTIZIA

Vi pare un paese serio, il nostro, in cui invece di onorare la certezza del diritto e la equa misura della pena al reato si tende a usare la legge per sfogare le proprie idiosincrasie?

Massimo Teodori, Prima Comunicazione, marzo 2009,

C'è qualcosa di grottesco nel fatto che il Parlamento, dopo accanita discussione, ha modificato la possibilità di svolgere intercettazioni dalla sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” a quella di “evidenti indizi di colpevolezza”. E' l'Italia del cavillo, dell'ambiguità e della discrezionalità, insomma dell'imbroglio. Potete immaginare cosa accadrà in un paese in cui vi sono centinaia di migliaia di leggi, e migliaia di leggine di “interpretazione”; potete immaginare quali e quante dispute si accenderanno intorno alla definizione di “evidenti indizi” che hanno preso il posto dei “gravi indizi” contenuti nell'originario  provvedimento del ministro della giustizia.

La verità è che intorno alle intercettazione si è animato un balletto poco commendevole. Per il fatto che il governo, con il ministro della giustizia Angelino Alfano, si è svegliato solo  quando sono arrivati al pettine i nodi personali del presidente Berlusconi che sembra fosse stato colto in conversari di tipo, diciamo così scambiopiccanti, con il suo amico Agostino Saccà. Ed è proprio allora che la talebana dell'informazione berlusconiana, l'ottima Deborah Bergamini, che pare fosse stata spiata anche lei in versione privata, si è lanciata in un affondo senza precedenti, proponendo che i giornalisti rei di indebite pubblicazioni fossero condotti in ceppi in prigione per almeno tre anni.

Vi pare un paese serio, il nostro, in cui invece di onorare la certezza del diritto e la equa misura della pena al reato - The Rule of Law, all'anglosassone -, si tende a usare la legge per sfogare le proprie idiosincrasie? Certo, ha ragione Pigi Battista, quando ammonisce i dirigenti della Federazione della stampa e dell'Ordine dei giornalisti “Non credete che il diritto alla riservatezza, il diritto di ciascuno a non vedere sfigurata e distrutta la propria reputazione, abbia un valore, uguale, non inferiore o superiore, ma semplicemente uguale, a quello giustamente attribuito alla libertà di stampa?”(Corriere della sera, 2 marzo 2009). Ma ha altrettanta ragione Vittorio Feltri che fa notare, proprio alla Bergamini, che “non è in discussione la tutela della privacy sacrosanta, ma il livore di un provvedimento in puro stile sovietico che scarica ogni responsabilità sull'ultimo anello della filiera cui si attribuisce lo sputtanamento organizzato degli intercettati, siano o no indagati, imputati o colpevoli” (Libero, 26 febbraio 2009).

Quando c'è da bilanciare due valori costituzionalmente rilevanti che tutelano l'individuo e la società - la libertà di informazione e il diritto alla privacy -, sarebbe preferibile che i legislatori usassero il fioretto e non la sciabola, come sono soliti fare gli attuali inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama. Che le intercettazioni in Italia siano troppe, e gestite in maniera abnorme da parte degli inquirenti, addirittura con la tecnica delle reti a strascico per cui si sparano mille colpi in maniera tale che alla fine qualcosa dovrà pur essere colpito, è inconfutabile. Ma non ha senso la protesta giacobin-giustizialista contro una più rigorosa disciplina delle intercettazioni che adegui i comportamenti dei nostri inquirenti agli altri paesi occidentali dove pure la giustizia funziona molto meglio che da noi. Si sa che cosa intenda Marco Travaglio con la sua passione per le manette quando dice che “Non c'è la necessaria reazione su questo disegno di legge che di fatto cancella la cronaca giudiziaria: è come se ci facessimo imbavagliare con il sorriso sulle labbra”, e dove può andare a parare il capogruppo del PD in commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti, quando dichiara “E' un regalo alla delinquenza che per avviare le intercettazioni la polizia giudiziaria debba individuare prima un colpevole” (La Stampa, 5 marzo 2009).

A noi, vecchi e inguaribili garantisti, convince molto più il parere del grande saggio della giustizia Giuliano Vassalli, presidente emerito della Corte costituzionale: “Auspico il ritorno alle indagini tradizionali, con più talento investigativo e meno apparecchiature elettroniche” (Il Messaggero, 26 febbraio 2009).


Data: 2009-04-10







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