Cesare Martinetti, La Stampa, 8 giugno 2009,La constatazione più desolata di questo voto europeo dominato dalle destre viene da Jack Lang, socialista francese di lungo corso: «Il partito socialista non sa più dar voce alla speranza». È una constatazione diretta al grande partito che fu di Mitterrand, ma si può estendere a tutta
Europa: in Germania l'Spd non approfitta delle difficoltà di Frau Merkel, in Spagna l'ultimo socialista vincente José Luis Zapatero viene per la prima volta battuto dai popolari eredi di Aznar, in Gran Bretagna Gordon Brown sprofonda in un incubo shakespeariano. In Italia le cose vanno come sappiamo e in questo momento il Pd non è in grado di contendere la leadership a Berlusconi.
Naturalmente non va dimenticato che l'affluenza è stata la più bassa da quando si elegge il Parlamento europeo a suffragio universale: 43% circa, sei punti in meno rispetto al 2004. Il record, a parte piccoli Paesi come Malta, sarà probabilmente italiano con una partecipazione di poco superiore al 50%. Un dato che non riuscirà comunque a ribaltare la fama dei nostri europarlamentari, oggetto di pesanti ironie a Bruxelles e dintorni dove sono risultati i più pagati, i più distratti e i meno assidui.
I «fainéants de Strasbourg», i fannulloni di Strasburgo, titolava ieri Le Figaro. Dunque elettori italiani meglio degli eletti: ma non è una novità.
Ma il segno politico generale, più ancora della vittoria delle destre, è l'eclisse dell'orizzonte politico socialista-laburista. La fotografia di Lionel Jospin, primo ministro francese, Gerhard Schroeder, cancelliere tedesco, Göran Person, capo del governo svedese, che accoglievano Tony Blair fresco vincitore a Londra sembra appartenere a un'altra epoca. Eppure era il giugno 1997, congresso del partito socialista europeo di Malmoe. La sinistra era al governo in undici paesi su quindici dell'Unione Europea, in Italia a Palazzo Chigi c'era Romano Prodi.
Cos'è accaduto? Ogni paese ha la sua storia, in Italia c'è il fenomeno Berlusconi, in Francia è spuntato un gollista che viene da lontano ma che ha saputo indossare una maschera di novità come Nicolas Sarkozy, in Germania Angela Merkel ha finalmente unito politicamente Est e Ovest.
Eppure il voto di ieri, più ancora che un trionfo della destre (Sarkò incassa un 28%, la Merkel un 38 perdendo però 6 punti), è davvero la fine di un orizzonte politico. In Francia gli ecologisti di Daniel Cohn-Bendit e José Bové (alleati con Eva Joli, ex giudice castigamatti, una specie di Di Pietro al femminile) arrivano alla pari (intorno al 16%) con i socialisti di Martine Aubry, icona appassita dell'ultimo mito socialista, le 35 ore. In Germania, dove crescono solo i liberali, la Spd scende al minimo storico e a settembre uscirà anche dal governo di Grosse Koalition.
L'unica vera vittoria della sinistra ha luogo in Grecia dove i socialisti battono i conservatori di Nuova Democrazia del primo ministro Kostas Karamanlis. Segnali di ripresa dei socialdemocratici si registrano in Svezia e Danimarca, dove però quei partiti rappresentano soprattutto l'idea di buona gestione e sicurezza sociale. Per la «speranza», di cui parla Lang, interpretata per un secolo da partiti che avevano bandiere variamente colorate di rosso forse è davvero finita. Dovrebbero guardare dall'altra parte dell'Atlantico dove la parola speranza si dice «hope» ed è nell'icona di Barack Obama.